Grandi momenti di Franz Krauspenhaar

Uno sbruffone ecco, come si presenta Franco Scelsit, scrittore con infarto, se fosse possibile scrivere così su una carta d’identità.
L’ospedale dove si cura, il protagonista di “Grandi momenti” di Franz Krauspenhaar lo chiama l’ospedalino, perché non prende niente sul serio, tranne le macchine di serie, le donne, che sono tutte delle poco di buono, e il suo conto in banca, l’unica cosa che sale e va bene, da quando con uno pseudonimo si è inventato il personaggio di Stan Dolero, protagonista di thriller da autogrill per lettori che vogliono una scrittura facile e veloce.
Politicamente scorretto, anaffettivo, vive ancora con la madre che chiama colonnello e con il fratello, che cerca di aiutare Franco con una saggia autoironia.

Franco pensa spesso di suicidarsi, perché a parte la palestra e un distaccato cameratismo con gli altri infartuati, la sua vita scorre lenta e prevedibile. Nel suo dolore dimentica che nessuno è immortale e che un infarto può capitare a chiunque.
Non conosce la grazia, né è mai attraversato da un pensiero religioso, da un rigurgito mistico. Hic et nunc, possibilmente con una bella birra ghiacciata tra le mani.
Fa fatica a lasciare Milano e la sua famiglia anche se alla sua città dedica queste parole:

“Milano è una città di morti, o di ricoverati ad libitum, come il sottoscritto. È un sanatorio”.

Poi, a complicare le cose, c’è il rapporto fantasmatico con il padre, morto da decenni, che lui vede ancora e ne ricorda le parole, insieme alle quali avverte anche molti rimorsi.
Si sente un ragazzo di vita invecchiato e leggendo il libro ci viene in mente non solo L’accattone di Pasolini, ma anche il fratello maggiore di Vittorio Gassman nel Sorpasso.

Eppure Franz Krauspenhaar ci toglie tutta la retorica dell’Italietta bella da vivere, dove i giorni scorrono felici e beati, le donne sono belle e il mangiare è sano e buonissimo.
Anzi, Franco Scelsit non vede l’ora di partire - anche se è un falso movimento - immaginandosi a New York o a Berlino, nelle città vive che non dormono mai.
Scritto benissimo, con grinta, con passione, questo libro merita il premio anti-Strega. Dovrebbe avere più lettori e a questo servono le recensioni, a far conoscere scrittori di razza.