Eva Clesis è lo pseudonimo di una giovane scrittrice nata nel 1980 a Bari. Grafica pubblicitaria,
ha lavorato per agenzie e studi sia come collaboratore interno che come free-lance. Pubblica
qualche articolo su importanti riviste letterarie fino all’esordio come autrice del libro ‘A cena
con Lolita’ pubblicato dalla Pendragon nel 2005. Nel settembre del 2008 esce il suo secondo
romanzo ‘Guardrail’ per i tipi della sempre attenta Las Vegas edizioni, casa editrice di cui
abbiamo già tessuto in passato le lodi intervistando anche il direttore e scrittore Andrea Malabaila,
soprannominato dalla sua scuderia di autori: Il Sindaco. Il grande momento arriva quando la casa
editrice Newton Compton la contatta per proporle di scrivere uno dei 101, la collana che tanta
fortuna ha portato ad autrici come Micol Beltramini e Federica Bosco. Eva accetta e a luglio di
quest’anno esce ‘101 motivi per cui le donne ragionano con il cervello e gli uomini con il pisello’
che continua a riscuotere successo nei molti incontri in giro per l’Italia.
Eva, intanto ti do il benvenuto a quella che non sarà la solita intervista chilometrica, ma solo 4
chiacchiere contate.
E intanto io ti ringrazio!
- Prima chiacchiera: Voglio partire da una cosa che ti è accaduta qualche settimana fa. Un
gentiluomo ha affermato che il tuo successo sarebbe dovuto solo al tuo aspetto fisico, che
riesci a pubblicare solo grazie alla tua avvenenza, immagino sottintendendo altro. Questa è la
dimostrazione che per il tuo ultimo libro non poteva esserci titolo più azzeccato?
Piuttosto è la dimostrazione che pochi conoscono i meccanismi dell’editoria, che di sicuro a
volte sono legati a motivazioni che poco hanno a che fare con la qualità di uno scrittore, ma che
in linea generale sono di tipo imprenditoriale. Pubblicare un libro costa. Ci sono i costi interni,
come editing, impaginazione e grafica e quelli di stampa e distribuzione che sono i più gravosi.
Con questo non escludo, ripeto, la possibilità che tramite vie più corte e nascoste si arrivi a
pubblicare, dico solo che vista la spesa che comporta stampare, distribuire e pubblicizzare un libro,
l’editore investe sull’autore e quindi deve credere in lui/lei in termini di vendibilità, e non certo
di avvenenza. Editoria a parte, per quanto mi riguarda ho un senso della morale “relativista” ma
non per questo traballante. Con la scrittura così come nella vita sono una persona seria e motivata
e chi mi conosce sa che non sono mai stato tipo da lusinghe e manfrine. Conosco una sola via per
pubblicare ed è sempre stata quella senza scorciatoie, ovvero lavorare sodo dietro i miei manoscritti.
Cene e salotti strategici non sono per me.
- Seconda chiacchiera: Pubblichi ‘A cena con Lolita’ e rischi di farti appiccicare in fronte
un’etichetta incancellabile. Non hai avuto paura che i lettori avrebbero potuto vedere in
questo tuo esordio l’ennesimo tentativo di emulare l’arcinota Melissa? Adesso coi 101
motivi… metti il tuo nome sulla copertina di un libro che ha come titolo uno dei più grandi
luoghi comuni della storia dell’umanità. Vuoi rovinarti alla nascita oppure sei semplicemente
molto coraggiosa?
Buona la prima, mi sa che sono semplicemente masochista. “A cena con Lolita” è un romanzo del
2005 che considero un buon esordio e che è stato pubblicato molto in ritardo rispetto a quando
è stato scritto, ovvero nel 2001-2002, quando il libro della Panarello ancora non c’era. Quando
finalmente ho deciso di pubblicarlo era il 2004. Intanto Melissa P. aveva avuto un grande successo
e gli editor in primis snobbavano il mio manoscritto pensando all’ennesima scopiazzatura, di
cosa non si è ancora capito, dato che i libri erano molto diversi. Ma c’era il pregiudizio per cui
un’opera “alla Melissa P.” era diventata un qualsiasi libro che parlasse di sesso come un romanzo
di formazione. Se ci si pensa non è un campo di ricerca così ristretto. Quando poi il mio libro è
uscito, i commenti dei lettori mi sono sembrati i più morbidi rispetto alla fatica che avevo fatto per
pubblicarlo, anche perché chi ha letto il libro sa cos’è, mentre i pregiudizi in genere abbondano tra chi non ti legge eppure vuole dire la sua. Per quanto riguarda i 101 si è verificata un po’ la stessa
cosa: accidenti, avevo raggiunto un minimo di credibilità con "Guardrai"l e guarda che faccio subito
dopo! Scrivo una guida con l’intento di parlare di luoghi comuni su uomini e donne cercando
di farne un libro brioso e pieno di riferimenti culturali al tempo stesso. Ma non imparo mai?
Evidentemente no, forza perché sono testarda e convinta di potermi scollare e scrollare le etichette
di dosso a forza di scrivere.
- Terza chiacchiera: Alice, la protagonista del tuo secondo romanzo ‘Guardrail’, nonostante
tutta la sofferenza che vive, continua a credere nella possibilità di essere felice, a cercare il suo
paese delle meraviglie, e non si arrende di fronte a niente pur di riuscire. Qual è il limite oltre
il quale il dolore si fa irrimediabile? Si può davvero sempre rinascere oppure esistono tristi
approdi in cui la vita inspiegabilmente ti porta, ai quali abbandonarsi senza possibilità?
Non sono convinta che dopo la caduta ci si possa rialzare sempre, lamentando qualche graffio e
niente più. Penso anzi che un limite esista, diverso per ognuno di noi: è il limite oltre il quale la
sofferenza ti cambia lasciandoti in uno stato dormiente, rigido e prevenuto. L’infelicità è come un
letargo. Quando sei infelice hai il cuore congelato e la volontà di diventare la persona che un tempo
volevi essere si è come sbiadita. Per uscirne bisogna reagire, certo, ma crescendo diventa sempre
più difficile, hai l’illusione che i giochi si siano già fatti: questo perché l’infelicità è direttamente
proporzionale alla nostra incapacità di cambiare vita per guarirci e di trovare l’alterità, il confronto.
Guardrail in questo è un libro molto simbolico, dove Alice rappresenta gioventù e caparbietà,
mentre il personaggio della nonna è annichilito dalla piega che ha preso il suo destino e si è ormai
come fossilizzato.
- Quarta chiacchiera: In una recente intervista dichiari: “Inviare manoscritti senza avere
nessun punto di riferimento concreto in una casa editrice, scrivendo l’indirizzo sulla busta e
stop, equivale a non spedire niente rimettendoci però i soldi”. Mi trovi più che d’accordo, però
io una speranza agli autori talentuosi gliela voglio dare, visto che ho te ospite che incarni senza
dubbio un buon esempio di riuscita. Qual è la strada quando si è privi di contatti importanti,
ma in possesso di ottime qualità e storie nel cassetto?
Posto che ancora non mi considero un “buon esempio di riuscita”, il consiglio che do sempre e
comunque a chi scrive è uno, ovvero di non farlo con l’illusione di ottenere da subito soldi e
successo, oltre alla rispettosa notorietà che ha chi lavora in campo culturale. Molti scrittori che noi
oggi amiamo hanno avuto una vita difficile e controversa e il riconoscimento per loro è arrivato
tardi o addirittura postumo. Altri invece hanno avuto la fortuna di essere scoperti prima e di
pubblicare più facilmente e con maggior plauso. I percorsi sono tanti e imprevedibili, ma questo non
vuol dire attaccare la penna (o la tastiera) al chiodo, ma ricordarsi che purtroppo esistono limiti
contestuali (le case editrici ricevono molti manoscritti e privilegiano per forza di cose quelli richiesti
o segnalati), che bisogna lavorare sodo sulla propria scrittura per potersi affermare e che bisogna
essere umili e aperti ai pareri dei professionisti che criticheranno e valuteranno quello che abbiamo
scritto. Sono tanti gli esordienti che provano a pubblicare ma si sgonfiano al primo intoppo, persone
che dicono “o pubblico in grande o niente” oppure che rifiutano di lavorare su ciò che hanno scritto.
Se un manoscritto non è pubblicabile invece si torna a scrivere, si modifica, si scrive del nuovo, ma
non si rinuncia mai. Ci vuole tanta ostinazione e un pizzico di fortuna, oltre al talento. Io ad esempio
sposo la politica dei piccoli passi. Prima si pubblica qualche racconto sulle riviste e si cerca di
capire come gira il mondo editoriale, leggendo tanto e informandosi tanto. Poi, se si ha un libro nel
cassetto, si contattano le case editrici con un catalogo simile a ciò che si è scritto, tenendo conto che
le piccole case editrici oneste (cioè che non chiedono soldi per pubblicare) non solo esistono ma
sono anche le più coraggiose con gli esordienti. Spedire senza criterio sperando che qualcuno un bel
giorno ci scopra è invece la mossa peggiore: certo può capitare, ma è come affidare la propria vita
alla fortuna comprando un biglietto della lotteria. Poi si può provare a farsi rappresentare da un
agente o a trovare dei contatti diretti (editor, redattore) di una casa editrice più importante.
Insomma, la strada per diventare scrittore è impervia e io dopo cinque anni posso dire di averla
appena cominciata, ma non ci faremo mica scoraggiare da qualche ostacolo, no?
Questa era l’ultima chiacchiera: non mi resta che salutarti e ringraziarti per aver accettato il
mio invito, facendoti molti in bocca al lupo per il tuo futuro. Se vuoi lasciare un messaggio al
mondo intero, qui puoi farlo.
Mondo intero, ricordati che anche l’ascolto fa parte della conoscenza.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Eva Clesis
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