
L’attore Sam Claflin veste i panni di Edmond Dantès nella recente serie tv Rai.
In un grande classico come Il conte di Montecristo, pubblicato da Dumas padre nel 1844, sono racchiusi i più vasti sentimenti che l’uomo possa provare, carichi di una passione viscerale al pari della furia distruttiva che spinge il protagonista Edmond Dantès a pianificare la sua vendetta, filo conduttore di tutto il romanzo, che si potrebbe definire come un’ascesa verticale dagli istinti terreni alla redenzione.
Per quale motivo facciamo riferimento a Edmond nei termini di un agente della Provvidenza, come dichiarato da lui stesso in uno dei passi del libro? I suoi stratagemmi sono studiati con una cura meticolosa, volta ad annientare i suoi nemici, come Villefort, Danglars e Mondego, coloro che gli hanno tolto ben quindici anni di vita, arrecandogli danni fisici e morali che hanno risvegliato nel protagonista una ferocia spietata.
Da un giorno all’altro, Edmond è stato privato dell’amore paterno e del sentimento nobile provato per la dolce Mercedes, con cui si sentiva pronto a progettare il suo futuro. Le dimensioni di questa ingiustizia giungono a fagocitare la persona di Edmond, che si tramuta così in un uomo astuto e intenzionato a mettere in atto ogni sua mossa, a creare degli alter ego efficaci che possano coprire la sua vera identità, ponendo attenzione ad ogni movimento dei suoi detrattori pur di raggiungere il suo scopo: smascherare i loro comportamenti e privarli di ogni bene.
Il conte di Montecristo assume le fattezze di una mente superiore, è un osservatore di prima categoria, un personaggio enigmatico che affascina gran parte della società parigina, in cui riesce ad inserirsi senza alcuna difficoltà, creando una vasta rete di influenze e di rapporti. La sua è una condotta divisiva, mette in discussione la morale e spiazza completamente il lettore, i cui pensieri oscillano tra giudizi di varia natura. In questo romanzo imperniato sull’avventura, sull’amore, sulla vendetta, sull’inganno, sulla dissimulazione e sulle declinazioni più deplorevoli dei comportamenti umani, è centrale un binomio come quello tra istinto e ragione, che dà origine a sua volta al duello tra etica e religione: la progettualità di Edmond in una prima fase è pertinente ad una volontà suprema come quella divina, che ridefinisce la giustizia e punisce l’ignominia. Il conte appare come una divinità risalita dai bassifondi degli inferi, cova dentro un’ira illimitata che acceca la ragione, come se non fosse realmente lui ad agire ma un impulso irrefrenabile.

Recensione del libro
Il conte di Montecristo
di Alexandre Dumas
Soltanto sul finire di tutta la vicenda, Edmond comincia a riflettere, a pensare alle scelte compiute, alle decisioni prese senza raziocinio, alla violenza che lo ha guidato in ogni singola azione e comprende che la via effettiva per la redenzione è un’altra, ossia aspettare e sperare, lasciare che la vita faccia il suo corso senza cercare a tutti i costi di controllarla e di esercitare il proprio dominio. La vendetta ha instillato dentro di lui una soddisfazione effimera, lo ha reso un abile trionfatore ma gli ha sottratto la sua natura più autentica.
Il signor Zaccone, Sinbad il marinaio, Lord Wilmore, il conte di Montecristo: tutte le identità fittizie si dissolvono e cadono nell’oblio, nell’esatto momento in cui Edmond realizza che la grandiosità dell’essere umano e l’unico modo per sentirsi davvero liberi consiste nel rimanere fedeli alla propria essenza e scacciare quell’ira che ci consuma dall’interno fino a renderci schiavi e a tenerci soggiogati.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Edmond Dantès: analisi del personaggio del Conte di Montecristo, tra istinto e ragione
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