Dove tutto diventa possibile di Sarah Lark

“Dove tutto diventa possibile” (Giunti Editore, 2017, titolo originale Eine hoffnung am ende der welt, traduzione di Lucia Ferrantini) di Sarah Lark, narra una travolgente passione nella selvaggia Nuova Zelanda alla fine della Seconda Guerra Mondiale.

Luglio 1944. La diciannovenne Helena Grabowski, dai capelli scuri e gli occhi blu cobalto e la bionda sorella sedicenne Luzyna vivevano in una baracca sovrappopolata, in un campo profughi nei dintorni di Teheran, in Persia. Le Grabowsky provenivano da Leopoli, allora in territorio polacco. Helena si svegliava quasi tutte le notti a causa del sonno agitato di Luzyna. Come molti altri profughi polacchi, i quali dopo la Siberia avevano trovato accoglienza in Persia, anche Luzyna soffriva di incubi. A Teheran, le sorelle erano al sicuro, ma i ricordi del passato continuavano a perseguitarle. Ma nell’autunno del ’39 l’esercito russo dopo il fatidico accordo tra Stalin e Hitler [2], aveva marciato sulla Polonia. Poi, per “russificare” del tutto la Polonia orientale, Stalin aveva ordinato la deportazione della maggior parte della popolazione polacca in campi di lavoro in Siberia, per far spazio a nuovi coloni russi. Nel giugno del 1941 era arrivato il miracolo: la Germania aveva violato il patto di non aggressione che aveva reso possibile l’annessione della Polonia all’impero di Stalin. Quest’ultimo, per combattere contro Hitler era stato costretto a passare dalla parte degli Alleati, i quali a loro volta avevano imposto al dittatore bolscevico la condizione di riavviare rapporti diplomatici con il governo polacco in esilio. Grazie a quelle trattative, si era giunti a un’amnistia per i polacchi deportati in Siberia, così Helena e Luzyna erano tornate di nuovo libere. Quindi le due sorelle erano finite in Persia, al seguito del nuovo esercito polacco formato da ex deportati. La Persia era un Paese sotto controllo degli Alleati, dove i polacchi godevano dello status di rifugiati politici. Gli abitanti del campo, persone tristi e senza radici, venivano nutriti e potevano seguire corsi di cucito o di lingue ma nessuno si era preso il disturbo di abbellire quel posto, di farlo sembrare meno simile a un lager. Tuttavia, restava la gradevole vista delle vette della catena montuosa degli Elburz, in lontananza. Il padre e la madre delle ragazze, Janek e Maria, erano morti durante la permanenza della famiglia in Siberia. Quasi nessuno, nel campo, aveva dei piani per il futuro. Al contrario, la volitiva Helena, quando era venuta a conoscenza della disponibilità della Nuova Zelanda di accogliere profughi polacchi

“immaginava prati verdi con branchi di pecore, casette di legno colorate abitate da persone gentili”

si era sentita attratta da quella terra della speranza. Purtroppo la ragazza aveva superato i limiti di età previsti e soltanto la vivace sorella minore poteva accedere al programma di trasferimento. Al momento della partenza, grazie a un inatteso ritardo di Luzyna, impulsivamente Helena aveva preso il posto della sorella.

“Un nuovo Paese, una nuova vita...”.

Una nuova esistenza attendeva la ragazza allietata dall’amore dell’aviere neozelandese Sergente James McKenzie, V Reggimento Bombardieri della RAF.

“La mia Helena ovviamente è un personaggio fittizio ma la sua storia è vera”. Alla fine del coinvolgente volume l’autrice tedesca ricostruisce l’odissea vissuta dai profughi polacchi dopo il patto tra Hitler e Stalin. Le vicissitudini di Helena sono quelle di tanti esseri umani che per sopravvivere puntano il loro sguardo verso una terra sconosciuta, là dove tutto può essere possibile. Una narrazione veritiera e intensa pone al centro dell’attenzione la tragedia di popoli in fuga costretti a lasciare la propria terra a causa di ingiuste e assurde motivazioni. Un tema attuale al quale sembra tutt’oggi quasi impossibile trovare una soluzione. “Quando si perde una casa, se ne trova una seconda”.