Antonio Delfini (1907-1963) è un autore con cui ogni appassionato di letteratura dovrebbe fare i conti per la sua bravura e singolarità.
Fu un isolato, un appartato, orgoglioso della sua marginalità. Volle a tutti i costi essere antipatico, non immaginandosi che così rivelava il dolore esistenziale dovuto al suo disagio, al non trovare un posto tra gli altri; così in definitiva mostrava la sua irriverenza carica di umanità.
Con la raccolta I racconti vinse postumo il Premio Viareggio. Come poeta pubblicò una sola raccolta (se si esclude un’autoedizione), ovvero Poesie della fine del mondo. Anche Giorgio Bassani fu un suo estimatore.
Delfini dichiarò di fare “malapoesia”, ovvero di scrivere male, del male e del proprio male. Una poesia amara, non edulcorata, beffarda, cruda, crudele. Potrebbe essere definito a ragion veduta come il poeta italiano più antilirico del Novecento, che però dovrebbe anche essere stimato per la sua sincerità disarmante, senza indulgere mai nel pietismo, nel confessional e senza mai istigare alla lacrima facile.
Il poeta ebbe il dono di mettersi veramente a nudo e mostrarsi realmente per quello che era, rivelando anche tutte le sue idiosincrasie.
In questa poesia giovanile dal titolo “Avvertimento”, Antonio Delfini ci narra le ragioni della sua solitudine e sembra farsi beffe di noi, delle nostre certezze.
“Avvertimento” di Antonio Delfini: testo
Non venite con me
ché sono solo
E andar coi solitari
è come andar di notte
per le strade senza luce
Essi non vi danno nulla
che vi serva nella vita
Sono gente povera
che non ha da dire
se non dio mio mio dio
O senza soldi o senza idee
che facciano per voi
Sono tutti poveri
tutti abbandonati
con un sorriso triste
sulle labbra bianche
Sanno far dei segni
sanno balbettare
ma solo in modo strano
Voi non ci capiresteNon vi annoiate per carità
lasciatemi innocente
della vostra noia.
“Avvertimento” di Antonio Delfini: analisi e commento
Questa poesia è giovanile e antecedente alla sua raccolta, per l’appunto scritta nel 1932. Sono versi liberi: diversi settenari, quinari, senari.
C’è una similitudine significativa: “i solitari sono come strade senza luce”, il cui significato è comprensibile a tutti.
La lirica è basata sull’autocommiserazione e sul ripiegamento interiore, che qui lasciano il posto alla rabbia e all’invettiva, presente in altri suoi componimenti.
Qui non c’è il risentimento per la mentalità angusta della provincia, per il suo mondo chiuso, ma è prevalente l’autocolpevolizzazione, il sentirsi un uomo da poco senza però giungere all’autogogna. Non c’è solo la disillusione, secondo Marcello Fois cifra stilistica di Delfini, ma addirittura il poeta si svaluta.
Se, insomma, lui ha poco da offrire al prossimo è per l’incancrenirsi nel suo animo della solitudine, che a suo avviso è una brutta bestia e come tale abbruttisce le persone.
Il suo umore è depresso. Mantiene a ogni modo un basso profilo, incolpandosi e non ergendosi a giudice degli altri. Gli altri sanno divertirsi, sanno vivere la vita a differenza del poeta e quindi li esorta a non perdere tempo con lui che li annoierebbe.
Il poeta, forse, vorrebbe divertirsi e far divertire; vorrebbe essere e sentirsi in mezzo agli altri e con gli altri. Si avverte un senso globale di esclusione dalla vita e dalla socialità. Il sentimento prevalente è quello della rassegnazione unita alla consapevolezza che l’uomo è un animale sociale: infatti non viene fatto nessun accenno alla beata solitudo dei latini, alla solitudine come fonte di spiritualità, meditazione, autoperfezionamento.
La solitudine viene ritenuta addirittura dal poeta “inutile”, come se inutili fossero l’eremitaggio, il raccoglimento interiore, la preghiera. Ma forse tutto è un gioco ironico e il poeta vuole farsi beffe di noi, delle nostre certezze.
Non a caso l’unico endecasillabo (il verso è di dieci sillabe, ma l’accento tonico è sulla decima) con dialefe è:
Non vi annoiate per carità
Si tratta del verso più emblematico della poesia, che anticipa la clausola finale magistrale, vera intuizione figurata e ironica al contempo, che stupisce, sorprende, fa sorridere e anche riflettere:
lasciatemi innocente/ della vostra noia.
Ecco allora che Delfini agilmente scavalca l’ostacolo e ribalta tutto: anche gli altri si annoiano, la noia fa parte della vita e a poco serve anche stare insieme. Almeno il poeta è comunque innocente di causare noia agli altri e forse questo è il lato positivo della solitudine.
La poesia di Antonio Delfini
La poesia di Delfini può essere considerata un “anticanzoniere”: l’innamoramento come l’odio sono fenomeni di proiezione, cioè si proietta il meglio o il peggio di sé sull’altra persona. Dopo una delusione sentimentale cocente si può passare dall’amore all’odio. Quindi potremmo affermare che la poesia di Delfini è anche poesia scaturita dalla proiezione. L’innamoramento, come l’odio, per Freud sono meccanismi di difesa dell’io.
L’assoluta originalità del poeta sta nel rendere manifesto il suo odio, cosa assai rara nella poesia italiana, anche in quella più recente, che infatti discende dallo stilnovismo e dal petrarchismo (i cui autori invece che proiettare odio o amore sublimano la loro sessualità). Il poeta dichiara il suo disprezzo per i modenesi, come il suo disprezzo per una ragazza un tempo amata. In Delfini abbiamo un rovesciamento, un cambiamento radicale di atteggiamento nei confronti di quella che è stata la donna amata, fino a renderne note le generalità e a “spubblicarla”.
Non a caso si trovavano un tempo pochi esemplari della sua raccolta poetica, perché in gran parte furono acquistati dalla famiglia della giovane di Parma, che il poeta mise in cattiva luce perché deluso. Oggi siamo abituati a molto peggio, ma all’epoca anche un libro di poesia poteva dare scandalo.
Da parte di Delfini fu frutto solo di misoginia e maschilismo, mal comune anche oggi del maschio italico? Oppure fu solo frustrazione per un rifiuto o un addio non voluto?
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Avvertimento”: la poesia giovanile di Antonio Delfini
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