Anselm di Wim Wenders porta la visione alla sua massima capacità espressiva, trasformando l’opera del pittore e scultore tedesco Anselm Kiefer in un percorso visuale immersivo che sfrutta la tecnologia 3D per trasportare lo spettatore all’interno della mente creativa dell’artista.
Sarebbe tuttavia riduttivo confinare l’ultima pellicola di Wenders al solo aspetto visivo: non si tratta di una pura sequenza di immagini straordinarie, l’effetto sonoro vi gioca un ruolo importante, dalle musiche di Leonard Küßner sino ai sussurri sibillini pronunciati dalle statue e ai versi altisonanti proclamati ad alta voce. La parola scritta, ancora una volta, assume un ruolo centrale, in particolare la parola poetica che ha il nome di un poeta caro a Kiefer: il rumeno naturalizzato francese Paul Celan.
Il libro di poesie di Paul Celan è il vero filo conduttore dell’intero documentario: lo troviamo nelle mani di Anselm bambino, poi tradotto nella retrospettiva che, da adulto, lo stesso Anselm Kiefer aveva dedicato al poeta, esposta per la prima volta a Parigi con il titolo Pour Paul Celan.
Le poesie di Celan traducono l’inquietudine esistenziale dell’artista tedesco e danno voce al suo dolore persino nei momenti più drammatici e inenarrabili, come la morte della madre narrata attraverso i versi di Bacca di lupo.
Madre, io
ho scritto lettere.
Madre, non venne risposta.
Madre, venne una risposta.
Scopriamo tutte le analogie tra le poesie di Paul Celan e l’opera di Anselm Kiefer.
L’opera di Anselm Kiefer e le poesie di Paul Celan: similitudini e analogie
Link affiliato
Se Kiefer aveva tentato una rilettura pittorica del testo di Celan, ecco che Wim Wenders sperimenta invece una rilettura biografica della vita di Kiefer attraverso Paul Celan. E ci riesce. I versi di Celan sono il fil rouge che unisce le varie sequenze della pellicola sino al maestoso finale.
Kiefer, per presentare la sua retrospettiva a Parigi nel 2021, aveva dichiarato che Paul Celan non si era limitato a contemplare il nulla, ma l’aveva sperimentato e attraversato. In quell’occasione l’artista tedesco definiva la poesia di Paul Celan “una lingua aliena”, che proviene da lontano, da un altro mondo al quale ancora non abbiamo avuto accesso.
La lingua di Paul Celan viene da così lontano, da un altro mondo in cui non siamo ancora stati confrontati, ci arriva come quella di un alieno. Facciamo fatica a capirla.
I versi oscuri e tenebrosi di Celan si fanno chiave di lettura esperienziale dell’opera di Kiefer; un nesso che il regista Wim Wenders ha colto in tutta la sua carica significativa, non solo poetica ma anche di forte incidenza biografica.
Nei quadri conturbanti di Kiefer, nelle sue sculture ipnotizzanti e materiche, viene colta la fedeltà artistica alla voce “aliena” di Celan.
Proprio come il poeta francese, Anselm Kiefer ha attraversato il nulla e ciò che ci consegna attraverso le sue opere è la visione - a tratti destabilizzante, sovversiva, capace di lasciarci attoniti - di quel “nulla”.
Un episodio chiave narrato nel documentario ci consente una visione chiarificatrice: nel 1967 Paul Celan incontrò il filofoso Martin Heidegger. I genitori di Celan erano morti nei campi di concentramento nazisti, tuttavia il poeta scriveva in lingua tedesca e se ne sentiva colpevole: pertanto chiese a Heidegger una spiegazione, sperava nella salvezza di una parola o di un gesto che tuttavia non arrivò. La mancanza di comprensione per Celan fu la fine, tanto che il poeta si suicidò alcuni anni dopo. Questa è la stessa ragione che attraversa incessantemente l’opera di Kiefer che continua a riavvolgersi su sé stessa riproponendo un interrogativo straziante: il perché del Male.
Anche Anselm era un bambino traumatizzato dalla guerra e dalla morte dei genitori che trova nei versi di Celan una voce affine: entrambi, il poeta e l’artista, trasformano l’arte nell’espressione pura delle tragedie della storia.
Paul Celan si confrontò per tutta la vita con la celebre sentenza di Adorno, ovvero “l’impossibilità di scrivere poesie dopo Auschwitz”. Il risultato fu una delle sue opere più celebri, la poesia Todesfuge in italiano Fuga di morte, che mette in versi l’elaborazione storica dell’Olocausto.
La poesia viene citata interamente nel documentario Anselm di Wim Wenders, perché traduce perfettamente anche la visione di Kiefer:
Nero latte dell’alba ti beviamo la notte
ti beviamo al mattino e a mezzogiorno ti beviamo la sera
beviamo e beviamo
Nella casa abita un uomo che gioca con i serpenti che scrive
che scrive all’imbrunire in Germania i tuoi capelli d’oro Margarete
I tuoi capelli di cenere Sulamith scaviamo una tomba nell’aria là non si giace stretti
In una sua famosa opera Kiefer ricopre le ali di un aereo di piombo con dei fiori di papavero dando un’illustrazione visiva simbolica della poesia di Celan. Il papavero, secondo il poeta, è il simbolo dell’oblio, come espresso nella raccolta dal titolo Mohn und Gedächtnis (in italiano Papavero e memoria), scritta poco dopo la liberazione del campo di concentramento di Auschwitz.
Non era la prima volta che Kiefer si approcciava a un’opera letteraria, lo avrebbe fatto con Finnegans Wake di Joyce e più di recente con Solaris di Stanislaw Lem, ma Celan rimarrà per sempre il suo indiscusso spirito guida. Li accomuna una profonda comprensione del nulla e un terrore, altrettanto primigenio e folle, dell’oblio: Anselm Kiefer potrebbe essere definito il Paul Celan della pittura. Tra il piombo e i girasoli, le piume e la cenere, il filo spinato e le stelle, in una visione vangoghiana della vita, sempre in bilico tra passato e futuro.
“Anselm” di Wim Wenders: una recensione, dall’incubo all’epifania
Dall’infanzia vissuta in un paese devastato e brutalizzato dalla guerra sino alla memoria intesa come ricerca, obbligo, ossessione.
In tutte le sue opere Kiefer ci lascia scorgere l’abisso che la poesia di Celan traduce in parole; eppure non ci permette di smarrirci completamente in quella visione, ce ne dà solo un assaggio, poi ci salva afferrandoci per il gomito dall’orlo del baratro e trasformando l’incubo in un’epifania.
La frase conclusiva del documentario di Wenders non è una poesia di Paul Celan - come molti potrebbero credere - ma una citazione dello stesso Kiefer:
La fanciullezza è una stanza vuota, come l’inizio del mondo.
Nella sequenza finale troviamo Anselm Kiefer, ormai anziano, mentre tiene sulle spalle l’Anselm bambino che potrebbe essere il suo nipotino.
Nel documentario il piccolo Anselm è interpretato proprio dal nipotino di Wim Wenders, Anton Wenders dagli occhi azzurrissimi, a suggerire l’idea di un passaggio generazionale.
Bernardo di Chartres diceva che noi siamo “come nani sulle spalle dei giganti”, perché grazie a coloro che ci hanno preceduto e alla loro saggezza ora possiamo vedere delle cose più grandi e più lontane; attraverso questa idea il filosofo ribadiva il concetto di cultura come una forma di “architettura umana” in costante costruzione.
Nel finale del documentario di Wim Wenders il concetto viene ripreso e sostanzialmente ribaltato: il gigante si pone sulle spalle il nano per assicurarsi di vedere sempre il mondo occhi giovani. Kiefer adulto sorregge sé stesso da bambino, come a suggerirci che la vita è un ciclo continuo ed esiste sempre una promessa di futuro racchiusa dentro di noi. La dualità, composta dall’uomo e dal bambino, è l’ultima immagine del documentario di Wenders: così come è duale l’arte di Kiefer, i suoi angeli caduti, irrevocabilmente scissi tra spiritualità e materia, che in realtà sono uomini.
“Anselm” di Wim Wenders: il trailer
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il legame tra Anselm Kiefer e le poesie di Paul Celan nel documentario di Wim Wenders
Naviga per parole chiave
Approfondimenti su libri... e non solo News Libri Curiosità per amanti dei libri Dal libro al film Paul Celan Anselm Kiefer
Lascia il tuo commento