In questo bellissimo saggio emerge che l’aspetto simbolico la fa da padrone quando nominiamo Auschwitz: c’è tutta la potenza di un piano diabolico per sterminare ebrei, zingari, omosessuali.
Quelli che non vanno bene per stirpe o per razza e quelli intollerabili perché non vivono nella normalità, ammesso che la normalità abbia un significato univoco (ora siamo grati alle definizioni di genere, ma c’è ancora molto da fare per accettare l’essere umano nella sua totalità).
Piotr Cywinski, direttore del Memoriale e del museo di Auschwitz-Birkenau, scrive un saggio duro, difficile e attuale. Tra i concetti che lo scrittore mette in rilievo c’è la toponomastica dei campi di concentramento:
“I campi della morte costruiti dai tedeschi sul territorio polacco erano sempre, per così dire, nelle retrovie, sul limes imperium, all’estremo margine di una regione. Come i campeggiatori che scelgono l’angolo più remoto, dietro qualche cespuglio, per scavare la latrina, la buca per l’immondizia (...) Treblinka era ai margini del Governatorato generale”.
Quindi, i campi di concentramento erano già collocati ai margini, dove non era possibile scovarli, non tanto per la vergogna, aggettivo che non esisteva nell’ideologia nazista ma perché per gente da eliminare ci volevano posti celati, nascosti; non troppo comunque, perché i campi erano anche industrie dove lavoravano operai che sarebbero morti con la fine delle loro forze fisiche.
“La memoria non può essere lasciata da parte, respinta e non ci si abitua mai. Nel mio caso, l’attività che mi salva e mi impedisce di pulire via tutto in modo meccanico è firmare le lettere e i certificati per le famiglie delle vittime”.
Le famiglie non dimenticheranno mai l’orrore, ma i visitatori dei campi?
Può dirsi disdicevole, per una famiglia che gira per Auschwitz, aver sete, aver fame, dover fare la pipì?
Non siamo in un Memoriale qualunque, ci vuole stile anche nel dolore.
Ecco perché da storico chi ha scritto “Non c’è una fine. Trasmettere la memoria di Auschwitz” si chiede se non sia arrivato il momento per le nazioni europee di fare il punto sulla questione dell’immigrazione.
I nuovi clandestini che arrivano da Paesi in guerra mai dovranno pensare di essere arrivati in un Paese “disumano”. Mai.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Ancora un libro per il Giorno della Memoria: “Non c’è una fine” di Piotr M. A. Cywinski
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