Il sonetto “Amore è uno desio che ven da’ core” di Giacomo da Lentini fu composto per partecipare a una tenzone volta a classificare la natura dell’amore.
Tre funzionari della Magna Curia, la corte itinerante di Federico II di Svevia, si sfidano a colpi di rime. Un bel busillis: non sono degli sprovveduti, parliamo di giurisperiti, esperti di legge e ars dictandi che si dilettano a poetare. Nasce così il sonetto di Giacomo da Lentini “Amore è uno desio che ven da’ core”: vediamo testo e analisi.
“Amore è uno desio che ven da’ core”: testo del sonetto
Amore è uno desi[o] che ven da’ core
per abondanza di gran piacimento;
e li occhi in prima genera[n] l’amore
e lo core li dà nutricamento.Ben è alcuna fiata om amatore
senza vedere so ’namoramento,
ma quell’amor che stringe con furore
da la vista de li occhi ha nas[ci]mento:ché li occhi rapresenta[n] a lo core
d’onni cosa che veden bono e rio
com’è formata natural[e]mente;E lo cor, che di zo è concepitore,
imagina, e li piace quel desio:
e questo amore regna fra la gente.
“Amore è uno desio che ven da’ core”: parafrasi del sonetto
L’amore è un desiderio che proviene dal cuore per l’intensità del piacere provocato dalla vista della donna. Sono gli occhi a generare l’innamoramento, il cuore lo alimenta con il ricordo.
Talvolta si ama senza vedere l’oggetto amato, ma la passione vera nasce solo dalla vista, perché gli occhi trasmettono subito i dati positivi e negativi di ciò che vedono e il cuore, ricevute tali informazioni, ricorda ciò che ha visto, immaginarlo gli procura piacere e accende il desiderio. È questo l’amore che regna tra gli uomini.
“Amore è uno desio che ven da’ core”: analisi e commento
Il sonetto “Amore è uno desio che ven da’ core” ha una struttura argomentativa con presentazione della tesi, dell’antitesi o confutazione, di due argomentazioni a sostegno.
La quartina incipitaria contiene la tesi: l’innamoramento deriva dall’azione di guardare la donna e dal piacere che ciò provoca, solo in un secondo momento il cuore sostiene, nutre, alimenta la passione grazie al ricordo. Quest’ultima parola non c’è, ma “cuore” indica anche la facoltà immaginativa oltre a quella sensitiva. Quante volte accarezziamo col pensiero il ricordo di una persona che ci piace? La tesi, che stabilisce l’interdipendenza tra occhi e cuore, deriva dal De Amore di Andrea Cappellano. Scritto tra il 1174 e il 1204, il trattato accoglie e codifica in modo originale le teorie d’amore più diffuse, dando vita a una tradizione che influenzerà stilnovisti e Dante.
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Tra i nuclei teorici compare l’amore inteso come passione istintuale derivante dall’esperienza soggettiva della vista. Gli esempi letterari si sprecano. Ricordate quando Romeo vede Giulietta per la prima volta? Un vero colpo di fulmine.
Cosa c’è di strano? In fondo il rovesciamento prospettico della pubblicità “mostra” un prodotto per spingere all’acquisto, perché l’individuo desidera ciò che vede. E la saggezza popolare lo conferma ex contrario con il proverbio “occhio non vede, cuore non duole”.
La seconda quartina contiene l’antitesi, ammettendo eccezionalmente la possibilità di innamorarsi senza vedere la donna. Il bersaglio polemico è l’amor de lohn dell’occitanico Jaufré Rudel. Concessiva a parte, il poeta ribadisce che l’innamoramento passionale si verifica solo de visu.
Le terzine contengono due prove a sostegno della tesi. La passione nasce dalla vista; l’immaginazione conserva e amplifica piacere e desiderio. Attenzione: secondo Giacomo da Lentini gli occhi fotografano passivamente ciò che vedono, a rielaborare l’immagine sarebbe la facoltà del “cuore”.
Origine e storia del sonetto “Amore è uno desio che ven da’ core
Il sonetto fa parte di una tenzone sulla natura dell’amore, una disputa letteraria tra gentiluomini, tre funzionari della Magna Curia che si rispondono per rime:
- Giacomo da Lentini che Dante nel canto XXIV del Purgatorio chiama "Il Notaro";
- il cancelliere Pier delle Vigne, segretario di Federico II di Svevia caduto in disgrazia che il Sommo Poeta immortala tra i suicidi nel canto XIII dell’Inferno;
- Jacopo Mostacci, probabilmente valletto e falconiere imperiale.
A dare il via al dibattito fu il Mostacci con il sonetto “Solicitando un poco meo savere” dove apre la questione: l’amore vive autonomamente fuori dall’uomo oppure consiste nel sentimento di chi lo prova? Il tema, che a noi può sembrare capzioso, è riconducibile alla distinzione della filosofia scolastica tra essenza (sostanza immutabile e eterna) e accidente (qualità transitorie). Anche se nel testo afferma di essere incerto invitando gli interlocutori a pronunciarsi, la sua posizione è chiara: l’amore è un accidente, in quanto stato d’animo originato dal piacere.
A lui risponde Pier delle Vigne nell’omologo “Però ch’amore no si po’ vedere”: l’amore è una sostanza la cui forza d’attrazione reale e concreta ricorda una calamita. Entrambi concordano su due aspetti. L’innamoramento è qualcosa di immateriale, non lo vediamo e non lo tocchiamo. Però l’esperienza dimostra che esiste e che domina gli uomini.
Come abbiamo visto la posizione teorica di Giacomo da Lentini aderisce a quella di Andrea Cappellano. Amore è un accidente, perché è un sentimento interiore generato e alimentato dall’esperienza della vista di qualcosa che ci piace.
Al netto delle teorie delle similitudini familiari, della corrispondenza, dell’ammirazione, della chimica formulate da psicologia e neuroscienze. Per tacere la suggestione letteraria dell’affinità elettiva e del colpo di fulmine, ad oggi la natura dell’amore e il processo dell’innamoramento restano un mistero. È questo il bello. Nei grandi interrogativi della nostra esistenza, forse le domande contano più delle risposte.
Chi è Giacomo da Lentini
Giacomo da Lentini (1210 -1260 circa) è considerato il protagonista della cosiddetta Scuola siciliana, la prima scuola poetica italiana che fiorì alla corte di Federico II di Svevia. Non si tratta di una scuola nel senso moderno del termine, ma di alcuni dignitari della Magna Curia che si dedicavano alla poesia per diletto. Però, considerando la frantumazione politica della Penisola e la mancanza di un centro di irradiazione linguistico, va ascritto loro il merito di formare un drappello coeso per lingua e argomenti. I loro versi celebrano l’amore in un volgare siciliano raffinato che rivisita la lirica trobadorica.
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