

Dal 7 Ottobre 2023 la terra palestinese è diventata lo scenario di una delle pagine più tragiche e aberranti del nostro presente: diciannove mesi contrassegnati per la gran parte da bombardamenti, rastrellamenti, cacce all’uomo dove sono diventati bersagli dei cecchini civili inermi, bambini e anche giornalisti. Ne è l’ennesima conferma la recente azione, decretata dal gabinetto di guerra proprio in questi giorni, di occupare la Striscia di Gaza e spostare tutti i civili gazawi, ancora collocati nel nord, nel recinto del sud, buon viatico per la definitiva espulsione.
La fragile tregua strappata a Israele dai mediatori arabi è durata solo due mesi, dal 19 gennaio al 18 marzo scorsi, poi, con il beneplacito della nuova amministrazione americana, il governo di Benjamin Netanyahu ha ricominciato a bombardare le principali città palestinesi, giustificando i nuovi attacchi con un presunto rifiuto di Hamas di liberare altri ostaggi e di accettare ulteriori misure proposte per consolidare gli accordi di pace.
Le reazioni sul piano internazionale sono state dapprima oltremodo blande; fronde minoritarie di politici e giornalisti occidentali, soprattutto nelle ultime settimane, hanno rivolto un’attenzione crescente, e uno sguardo più obiettivo a questa immane operazione di sterminio dove un ruolo da protagonista lo gioca ormai anche la fame, aizzata dal blocco degli aiuti umanitari.
Quel che ancora oggi suscita interrogativi è l’atteggiamento degli organi di comunicazione e della grande stampa italiana e internazionale. Il giornalista Raffaele Oriani è stato una delle poche voci che, fin dai primi mesi, ha scelto di fare il suo lavoro senza piegarsi a una stantia retorica occidentale: per onestà intellettuale, per raccontare i fatti attribuendogli dei protagonisti con un nome e un volto, delle cause e dei fini, per chiamare quel che avveniva con l’unico nome che gli competeva, ha rinunciato a prestigiose collaborazioni ma, soprattutto, ha scritto due libri editi da People con i quali ha smascherato il tentativo di occultare una verità per molti troppo scomoda per essere raccontata.
Gli abbiamo rivolto qualche domanda per comprendere meglio le dinamiche del conflitto, ma anche le logiche che soggiacciono alle fiacche narrative del sistema mediatico.
Intervista a Raffaele Oriani, giornalista e scrittore
Giornalista professionista, Raffaele Oriani ha lavorato al mensile Reset e al periodico Iodonna del Corriere della sera, ha scritto anche per D, Wired, GQ, ed è stato per dodici anni collaboratore de Il Venerdì di Repubblica che, nel gennaio 2024, ha lasciato denunciando la reticenza con cui la testata, e gran parte della stampa italiana ed europea, stava raccontando quel che succedeva a Gaza.
Tra gli ultimi libri pubblicati segnaliamo: I cinesi non muoiono mai (Chiarelettere, 2008, con Riccardo Staglianò); Gaza, la scorta mediatica. Come la grande stampa ha accompagnato il massacro. E perché me ne sono chiamato fuori (People, 2024) e Hassan e il genocidio (People, 2025, con Alhassan Selmi).
- Buongiorno Raffaele e grazie per il tempo che hai deciso di dedicare a Sololibri.net. Cerchiamo, innanzitutto, di fare chiarezza sul significato delle parole: che cos’è la scorta mediatica e perché la stampa internazionale ha assunto questo atteggiamento?


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Scorta mediatica è un’espressione molto cara a noi giornalisti: se la stampa libera concentra la sua attenzione su qualcuno che è in pericolo, ciò è una garanzia di protezione. In questo caso, invece, ho avuto la sensazione che l’attenzione della stampa internazionale e italiana - in particolare la grande stampa che interloquisce con la politica - fino a poco tempo fa, si rivolgesse non a favore delle vittime ma ai responsabili di questa strage, come a proteggerli.
Nei miei ultimi libri ho proposto un’analisi di questo fenomeno, ciò perché nella guerra l’ambiguità è quasi fisiologica, e la verità muore in guerra, qui però non siamo di fronte a una guerra, ma di fronte a uno sterminio e in quel caso c’è solo un fronte da coprire; bisogna documentare e narrare lo sterminio dalla parte delle vittime. Soprattutto in Gaza, la scorta mediatica (People, 2024), una sorta di pamphlet scritto quasi un anno fa, un lavoro agile ma molto dettagliato, ho descritto questo sistema normalizzante, entrando nel vivo di articoli ed editoriali di grandi firme. Tutto era già chiaramente comprensibile un anno fa, a una settimana dall’inizio dei bombardamenti, quando lo storico israeliano Raz Segal, il primo a parlare di genocidio, pubblicava il profetico articolo A textbook case of Genocide (13 ottobre 2023).
- Solo pochi giorni fa ancora leggevamo, su organi di stampa che possono ancora considerarsi indipendenti, roboanti titoli come “Hamas: bruciate tutto”, a proposito degli incendi divampati in gran parte del territorio israeliano. Quanto è realistico il racconto delle vicende delle ultime settimane? Ci sono stati, negli ultimi mesi, dei mutamenti di rotta nella linea editoriale di quotidiani, telegiornali e programmi di approfondimento?
Negli ultimi mesi, da quando sono ripresi i bombardamenti, abbiamo assistito a una rimozione ancora più forte. La vicenda di Gaza è sparita dall’agenda setting della grande stampa: soprattutto da quando ai bombardamenti si è sommata l’agonia per sete e per fame, si è passati dai borbottii al silenzio.
Tuttavia il rilancio che fa la politica israeliana è talmente forte che alla fine la stampa si è resa conto di non poter più tacere. In questi ultimi giorni, in particolare, ci sono stati dei riposizionamenti che per quanto maldestri e tardivi sono sempre utili: nei giorni scorsi Goffredo Buccini ha pubblicato un editoriale dove parla di stragi e atrocità e la recensione a tutta pagina che il Corriere ha dedicato al libro Genocidio di Rula Jebreal fino a un paio di mesi fa sarebbe stata impensabile.
Nonostante ciò è presto per affermare che ciò porterà a un incalzare concreto di natura anche politica.
- Al di là delle grandi testate il tuo caso testimonia chiaramente che qualcuno non è stato disposto a offrire un racconto edulcorato dei fatti. Chi vuole informarsi ha ancora la possibilità di attingere a una narrazione aderente alla realtà dei fatti? Se sì, dove e come?


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Tanti lo hanno fatto in questo anno e mezzo e da lì nasce lo scandalo di settori corposi dell’opinione pubblica. Se c’è una sensibilità sul genocidio di Gaza, se in città come Milano continuano a svolgersi manifestazioni molto frequentate e se c’è l’attenzione che anche io posso testimoniare quando vado a presentare i miei libri, è perché le persone hanno continuato a informarsi sui social dove possiamo reperire una piena di notizie che esce da Gaza, una marea di immagini che non raccontano scontri ma case polverizzate con gente sotto che viene fatta a pezzi. Il messaggio e chiaro e comprensibile da tutti, viene poi rilanciato in termini di rabbia, disgusto, dolore.
Nella comunicazione più istituzionalizzata non posso non citare il Manifesto che a proposito ha svolto un lavoro straordinario. Anche Presa Diretta ultimamente, grazie alla presenza della relatrice speciale delle Nazioni Unite sui territori palestinesi occupati Francesca Albanese, un’eccellenza italiana nel mondo che non ha mai avuto spazio su Repubblica e sul Corriere della sera, è riuscita a spiegare come stanno i fatti, in prime time su Rai Tre anche grazie alla testimonianza di Alhassan Selmi, coautore del nostro libro. Alla Rai ci sono colleghi che realizzano ottimi approfondimenti, che però rimangono confinati su RaiPlay.
- Qual è stata la reazione dell’opinione pubblica italiana di fronte al massacro messo in atto da Israele? Puoi parlarci dell’iniziativa L’ultimo giorno di Gaza, che si svolge oggi, in occasione della Giornata dell’Europa?
È un’iniziativa di un gruppo di intellettuali e attivisti che invita a essere attivi in Rete proprio il 9 maggio con contenuti di solidarietà a Gaza accompagnati dall’hashtag #ultimogiornodigaza. Sul versante politico è mancato l’impegno e lo sforzo catalizzatore dei grandi sindacati e dei grandi partiti, così da poter influire sui decisori politici internazionali. Alcune vistose eccezioni sono rappresentate da Alleanza Verdi-Sinistra e Movimento 5 Stelle che hanno mantenuto un atteggiamento coerente durante tutto lo sterminio, soprattutto la manifestazione dello scorso 5 Aprile è riuscita a richiamare l’attenzione sul massacro di Gaza legandolo al tema generale della pace.
L’informazione mainstream rappresenta una barriera perché parla di Gaza come di un fatto di cronaca nera e non come di un genocidio, ma la società civile non ha mai smesso di richiamare l’attenzione su questa vicenda. Anche quando ho interrotto con una lettera la mia collaborazione con Repubblica c’è stata una reazione travolgente nel web e nei social perché quest’argomento interessa, colpisce e scandalizza l’opinione pubblica.
- Uno degli elementi che mi ha piacevolmente colpito di Hassan e il genocidio è stata la solidarietà tra colleghi. Mi chiedo quanto possa averti impressionato la vicenda umana e professionale di Alhassan Selmi, il reporter palestinese coautore del libro. I giornalisti sono diventati dei bersagli dei cecchini israeliani e hanno pagato un elevatissimo tributo in termini di vite umane: che ruolo possono ancora giocare all’interno del conflitto?
Ci sono due categorie di giornalisti: i palestinesi e quelli che li guardano da fuori. I primi, spesso giovanissimi, diventati giornalisti proprio all’interno di questa vicenda, hanno fatto un lavoro eroico: Hassan ad esempio racconta che da diciotto mesi, quando sente il rumore di una detonazione e vede la gente fuggire, lui corre nella direzione opposta per vedere cosa sia successo e sentire le grida di aiuto delle persone ferite senza che nessuno possa fare niente.
Dall’altra parte c’è la grande sordità della stampa italiana e internazionale che non riesce a prendere una posizione e a esprimere una condanna contro la strage; non è stata spesa una parola per i colleghi, c’è stata un po’ di cronaca ma si aspetta ancora un editoriale degno di questo nome dove si racconti che il giornalista, invece di godere di una reale immunità, a Gaza è diventato uno dei bersagli più ambiti. Nella stampa italiana il bilancio è molto magro, forse solo i tedeschi hanno fatto peggio di noi.
Dal punto di vista del flusso dell’informazione questo è un genocidio documentatissimo: ogni giorno arrivano notizie molto dettagliate, con voci della primissima linea, quindi il lavoro di assemblaggio fatto da qui sarebbe molto facilitato. Il problema è a valle: l’informazione istituzionale riceve queste notizie ma si rifiuta di metterle in pagina, di fare approfondimenti e interviste ossia tutto ciò che è stato fatto per la guerra ucraina.
- Grazie per la collaborazione.

Recensione del libro
Hassan e il genocidio
di Raffaele Oriani e Alhassan Selmi
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La verità sul genocidio di Gaza: intervista al giornalista Raffaele Oriani
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