“Questo è un libro sulla memoria. Contro tutte le certezze che puoi avere su questa memoria”.
Massimo Popolizio legge con coraggio “Pastorale americana” (Emons, 2016, versione integrale, 1 CD Mp3: euro 18,90; download: euro 11,34) espandendo nella sua interpretazione, se possibile, l’epica del romanzo di Philip Roth (Einaudi, 1998, titolo originale American Pastoral, traduzione di Vincenzo Mantovani), Premio Pulitzer nel 1997, dal quale Ewan McGregor ha tratto l’omonimo film da oggi 20 ottobre in programmazione nelle sale cinematografiche italiane.
Parola per parola, riga per riga, pagina per pagina, la prosa magistrale di Philip Roth da un lato, ora narrazione pura, ora flusso di coscienza, ora incredibile parodia, e la voce sempre flessibile, sempre giusta di Popolizio dall’altro, danzano in equilibrio perfetto. Un’analisi dell’America attualissima, sociologica ma anche emotiva, un flusso potente che Massimo Popolizio “tenta di governare”, come dice, e che tra gli anfratti, le case borghesi, certe ritualità sociali che perpetriamo per pura noia, ci mostra il lato oscuro. Del singolo, della società, della vita. E ci dimostra in modo inequivocabile, ancora una volta, come si possano dipingere formidabili affreschi di un paese e di un’epoca secondo la migliore tradizione del romanzo moderno.
Secondo Philip Roth, nato a Newark nel 1933, il film del divo scozzese, qui alla sua prima prova da regista è
“l’unica trasposizione cinematografica all’altezza del libro”.
La pellicola, presentata al Festival di Roma, protagonisti lo stesso Ewan McGregor, Dakota Fanning, e Jennifer Connelly, mette in luce tutte le contraddizioni dell’American Dream.
“Mi ha spezzato il cuore il personaggio dello Svedese, che sembra l’incarnazione del sogno americano e che invece viene spezzato dalla vita. Un padre che insegue la figlia scomparsa e nella ricerca smarrisce se stesso. Una storia che mi ha travolto, forse anche perché sono padre di quattro femmine. E poi il mio è un film su un pezzo importante di storia d’America. Ci sono due generazioni a confronto, quella del Dopoguerra che crede nel sogno americano e quella successiva, schierata contro il Vietnam, che lo contesta. Due sogni che entrano in collisione. E una storia intima racchiusa dentro un grande affresco d’epoca”
ha dichiarato McGregor durante una recente intervista.
La trama del romanzo
Lo chiamavano “lo Svedese”, nel liceo di Newark, New Jersey. All’anagrafe era Seymour Levov, il ragazzo che tutti avrebbero voluto essere. Alto, biondo, atletico, ebreo, Levov eccelle nel baseball e, nell’America degli anni Cinquanta, è destinato ad eccellere nella vita: il successo professionale, quello famigliare, la villetta borghese. Ma la lunga ed estenuante guerra del Vietnam squasserà l’America e coinvolgerà personalmente Seymour, nel modo più tremendo: l’amata figlia Merry, diventata una violenta radicale, sparirà con l’accusa di terrorismo. È il rovesciamento, la caduta, la fine senza appello dell’American dream che lo scrittore Nathan Zuckerman, abbagliato fin da ragazzo dalla solarità senza ombre dello Svedese, sente la necessità di narrare. Philip Roth ci mostra il lato oscuro in quello che è un grande romanzo politico ma anche emotivo. L’ affresco epico di un paese e di un’epoca in un libro sulla memoria.
“Chi è pronto ad affrontare la tragedia e l’incomprensibilità del dolore? Nessuno. La tragedia dell’uomo impreparato alla tragedia: la tragedia di tutti”.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Pastorale americana” di Philip Roth: da oggi al cinema e presto anche in audiolibro
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