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Significato di parole, proverbi e modi di dire

Perché si dice «essere un Cerbero»? Dal mito al modo di dire

«Essere un Cerbero» significa comportarsi da guardiano severo, controllare tutto, e sottoporre gli altri ad una disciplina molto rigida, a volte senza una reale necessità, ma solo per il puro gusto di infierire.

Rosa Aimoni
Rosa Aimoni Pubblicato il 22-11-2017

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Perché si dice «essere un Cerbero»? Dal mito al modo di dire

Cerbero è un personaggio mitologico molto conosciuto, che viene spesso citato quando si parla di mitologia greca e di letteratura. Il cerbero, infatti, compare nell’“Eneide” di Virgilio (VI) e nella “Divina Commedia” di Dante, ma anche in molte altre opere letterarie.

L’espressione essere un Cerbero è ormai utilizzata quotidianamente e in diversi contesti. Prendiamo, per esempio, questa frase del Corriere della Sera:

“Soraya Saenz de Santamaria è diventata la donna più potente di Spagna... e da questa mattina è anche la «reggente» della Catalogna. Per settimane è stata il Cerbero che non ha ceduto di un millimetro sul terreno sempre più scivoloso per i ribelli della Generalitat: la legge”.

Partiamo dalla mitologia greca. Cerbero era figlio di Echidna e Tifone; era un mostruoso cane a tre teste, con la coda di serpente e degli orribili serpenti che circondavano il suo collo.
Secondo altre fonti, aveva invece cinquanta o cento teste; in ogni caso, era spaventoso a guardarsi, e proprio in virtù della sua forza bruta e del suo aspetto minaccioso aveva il compito di sorvegliare l’Aldilà, il regno dei morti comandato dal dio Ade.
In questo contesto non si può parlare di inferno ma solo di regno dei morti, perché l’Aldilà dei greci non era suddiviso in zone distinte destinate ai peccatori o ai santi, ma era semplicemente un luogo dove tutte le anime affluivano. Il regno di Ade non era strutturato, come avviene nel Cristianesimo, in base alla logica del contrappasso, secondo la quale ogni anima deve ricevere una punizione o un premio a seconda della condotta tenuta in vita.
Una volta entrati nel regno dei morti, non si poteva più uscire. Cerbero si trovava nella pianura del fiume Stige, la stessa regione da dove Caronte, il traghettatore, faceva scendere le ombre dei trapassati dopo averle trasportate dalla terra.
Il cane a tre teste aveva il compito di impedire che le anime dei defunti potessero scappare dal regno dei morti e ritornare in quello dei vivi, e per questo era un guardiano inflessibile. Robert Graves (1895-1985), scrittore e studioso di cultura greca, nel suo rinomato saggio intitolato “I miti greci” descrive così Cerbero:

“Un cane con tre teste (o con cinquanta teste come altri sostengono), chiamato Cerbero, monta la guardia sulla sponda opposta dello Stige, pronto a divorare i viventi che si introducono laggiù, o le ombre che tentino di fuggire”.

Per questo motivo, essere un Cerbero significa comportarsi da guardiano severo, controllare tutto e sottoporre gli altri ad una disciplina molto rigida, a volte senza una reale necessità, ma solo per il puro gusto di infierire.

Nella “Divina Commedia” Dante posiziona Cerbero all’Inferno, in particolare nel Terzo Cerchio, quello dei Golosi, coloro che in vita furono troppo ghiotti di cibi e bevande. Qui Cerbero viene descritto come una “fiera crudele e diversa”, con “tre gole” e “occhi vermigli”, che scuoia e squarta i dannati per poi divorarli.

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