
Un re, un saggio politico di Atene e la domanda sulla felicità: cosa può insegnarci, oggi, un greco vissuto nel V secolo a.C.? Forse, più di quanto crediamo, se abbiamo il coraggio di mettere in discussione il mito del successo.
Pensate: un greco vissuto nel quinto secolo prima di Cristo ha ancora qualche cosa da dirci sulla felicità. Se non siete i tipi da “il liceo classico è una scuola inutile” o ancora “il greco è una lingua morta” – ovvero, soprattutto se lo siete – questa lettura potrebbe fare per voi.
Stiamo parlando di Erodoto.
Erodoto di Alicarnasso, definito da Cicerone il padre della storia, è il primo scrittore di storia greca che ci sia giunto per intero. Non è il punto zero della storiografia, certo, ma nel naufragio degli autori precedenti – preziosissimi e perduti, pace all’anima loro – uomini dopo uomini dopo uomini, fino alla nascita della stampa, hanno stabilito che Erodoto avesse un non so che di imprescindibile: tramandarlo ai posteri, tramandarlo per intero, era qualcosa di indispensabile.
Con la mente aperta ai nuovi orizzonti culturali tipica di un viaggiatore, Erodoto raccontava, nei nove libri delle sue Storie, le guerre greco-persiane, senza per questo rinunciare a digressioni etnografiche o a riflessioni più ampie sull’uomo: greco, persiano, egizio, e così via. Sull’uomo: diverso e universalmente lo stesso. È per questo che alcuni ragionamenti erodotei, mutatis mutandis, possono trovare spazio anche tra noi, in mezzo alla nostra frenesia, per riflettere su quel tanto di umano che ci accomuna. È così che giungiamo all’oggetto di questo articolo.
L’incontro tra Solone e Creso


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In un passo del primo libro delle Storie (I, 30-33), Erodoto consegna la memoria di un incontro: l’incontro tra Solone, noto politico e saggio ateniese, e Creso, il re di Lidia. Giunto Solone nel suo regno, Creso fa scarrozzare l’ospite di qua e di là, per mostrargli la moltitudine di tesori e ricchezze. Ci teneva, infatti, a sapere chi, per Solone, fosse l’uomo più felice della terra. Interrogativa reale o interrogativa retorica? Facile, a immaginarsi: retoricissima. Creso pregustava già nella mente una sola inequivocabile risposta: ricco com’era, non poteva che essere lui, l’uomo più felice della terra. O forse no?
Forse, no. La risposta di Solone lascia infatti il sovrano di sasso. Per il legislatore ateniese, l’uomo più felice di tutti era stato, udite udite…Tello di Atene.
Chi? Vi starete domandando. Chi? Si è domandato Creso. Esatto, avete afferrato bene: Tello di Atene. Ma è proprio qui che sta il punto.
Chi era Tello di Atene
Tello di Atene era un uomo qualunque. Avete presente lo zio Franco acquisito, la bisnonna Maria o la cognata Concetta? Proprio così: semplici persone, la cui esistenza non ha però per questo meno dignità o valore di quella del politico di turno o del fenomeno musicale del momento – su questo, mi auguro, saremo tutti d’accordo.
Tello non era altrimenti noto a nessuno, eccezion fatta per Solone e qualche compare ateniese. Mentre la sua città era fiorente, aveva avuto figli gagliardi, li aveva visti crescere e, cosa più importante, aveva avuto una bella fine, morendo in condizioni agiate mentre difendeva gli Ateniesi contro gli abitanti di Eleusi, meritandosi così la sepoltura a spese dello stato.
Un uomo qualunque di Atene, l’ultimo degli ultimi, con una vita semplice priva di grandi sconvolgimenti era ritenuto da Solone più felice di Creso e della sua compagine di tesori. E per giunta anche noi, ancora oggi, a distanza di quasi tremila anni, siamo qui a ricordarci della buon’anima di Tello di Atene, uomo qualunque, reso imperituro dalla menzione dello scrittore di Alicarnasso. È forse arrivato il momento di domandarci il perché, di tutto ciò.
Erodoto non manca di fornirci le debite spiegazioni, riportando per intero il discorso che Solone avrebbe rivolto al re per giustificare la sua imprevedibile risposta. Per semplificare, quel che Solone aveva riferito suonava più o meno così:
“Io non ti posso dire, o Creso, che sei tu l’uomo più felice della terra, banalmente perché non conosco la tua fine. E, di tutte le cose, prima bisogna guardare come si concludono. Dei giorni che compongono la vita di un uomo, infatti, nessuno è mai uguale al precedente, perché l’uomo, in tutto e per tutto, è un caso (πᾶν ἐστι ἄνθρωπος συμφορή): molti individui il dio, dopo aver concesso loro le migliori fortune, li ha poi abbattuti fin dalle fondamenta”.
La differenza tra fortuna e felicità
È la condizione intrinseca di imprevedibilità della sorte a rendere l’uomo un caso. È per questo che, secondo Solone, chi si trova momentaneamente in una dimensione di fortuna non si può definire “felice”. È solo più fortunato, più capace, rispetto a chi è privo di mezzi, di far fronte ad ostacoli e imprevisti. Ma non è detto che sia più felice.
Il discrimine tra fortuna e felicità sta nel modo in cui la vita si conclude: è solo a quel punto che un uomo può essere detto felice. E se un individuo semplice e povero, dopo aver condotto una vita priva di disgrazie, con figli gagliardi, in condizione tutto sommato soddisfacente, termina anche nel migliore dei modi l’esistenza, è lui a essere il più felice di tutti. Prima, può solo essere considerato fortunato.
Il discorso che Solone rivolge a Creso non è frutto del caso, ma ha una funzione ben precisa. L’arroganza di cui Creso dà prova pretendendo di essere validato nel proprio stato di felicità avrà come contraltare la fine misera a cui andrà incontro: perderà un figlio e perderà il regno, che sarà inglobato dal celebre sovrano dei Persiani Ciro il Grande nel 546 a.C. Al tempo stesso, però, quando sarà posto sulla pira, si ricorderà delle parole di Solone, invocando il suo nome e guadagnandosi la pietà di Ciro, che lo risparmierà e ne farà un suo consigliere.
Significato del dialogo di Solone e Creso


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Vale la pena domandarsi: cosa vuole dirci Erodoto, che ritiene questo dialogo meritevole di memoria, oggi? Che prima della fine, esistono solo persone fortunate e non felici? Che la fortuna, per quanto favorevole possa sembrare, rimane subordinata al caso? Che non serve a nulla nutrire invidia per i soggiorni pagati degli influencer o per le Pagani collezionate dai miliardari, perché non tutto ciò che luccica è in effetti oro e perché la ruota gira?
No. Che ce ne viene? Questo farebbe di noi null’altro che sadici pronti a soffiare sul fuocherello dell’invidia per far piombare nel baratro chi ha l’aria di passarsela meglio e far girare il vento a nostro favore. No. Che ce ne viene?
Soffermiamoci, piuttosto, sulla scelta di Solone. Solone si trova a decretare quello che per lui è l’uomo più felice della terra. E sceglie un personaggio oscuro: non è noto alle Muse, non è cantato da Omero, non è il più ricco tra i ricchi. Tello di Atene altri non è che un personaggio qualunque che è riuscito a dare un senso alla sua modesta esistenza, senza passare alla storia, gesti eclatanti o troppo rumore. Tello di Atene, in altre parole, possiamo essere tu, tu e pure tu. Che la fortuna, è una forza troppo bastarda per farvi affidamento: si finisce scottati, colpiti e affondati. Che la condizione di benessere non è direttamente proporzionale a ciò che di materiale si può ostentare. Eppure, perché è così difficile convincersene?
Forse perché serve una bella sprangata, come quella che è toccata a Creso, che si lagnava sulla pira. Forse perché comprenderlo con la ragione non è sufficiente, tocca portarne i segni sul corpo come cicatrici, incarnarne la testimonianza.
Ma Erodoto, per noi, c’è ancora: è qui nelle vesti di monito, di lettera spedita dal passato che invita a non attendere la scottatura per comprendere da un lato il valore della semplicità come modello di vita e dall’altro l’importanza di non oltrepassare i limiti umani, di perseguire la giusta misura, di non barattare un ideale fumoso di grandezza per la consapevolezza di quanto labili siano, tutte le cose. Altrimenti, ci pensa la vita. E quando ci pensa la vita, lì sì che c’è da perderci il sonno.
Suggerimenti bibliografici
- Erodoto, Le Storie. Libro I. La Lidia e la Persia, a cura di David Asheri, Fondazione Valla, 1988.
- Luisa Moscati Castelnuovo, Solone e Creso. Variazioni letterarie, filosofiche e iconografiche su un tema erodoteo. Atti della giornata di studi – Macerata 10 marzo 2015, Macerata: EUM Edizioni, 2016.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Chi è l’uomo più felice? La risposta di Erodoto nel dialogo tra Solone e Creso
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