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Recensioni di libri

Tre gocce d’acqua di Valentina D’Urbano

Mondadori, 2021 - Non è una novità: lo stile di Valentina D’Urbano è coinvolgente e commovente, e suscita nel lettore emozioni sincere. Anche nei romanzi, forse, meno riusciti.

Beatrice Tibaldini
Beatrice Tibaldini Pubblicato il 06-11-2021
Tre gocce d'acqua

Tre gocce d’acqua

  • Autore: Valentina D’Urbano
  • Categoria: Narrativa Italiana
  • Anno di pubblicazione: 2021

Come si critica Tre gocce d’acqua di Valentina D’Urbano (Mondadori, 2021), che è un romanzo che sul web sembra raccogliere (quasi) solo opinioni positive? Provo lasciando una recensione un po’ schematica rispetto alle mie solite, così da andare per punti e assicurarmi di spiegare al meglio ogni opinione che vi propongo.

Lo stile inconfondibile di D’Urbano

Parto dalla cosa più positiva che ho trovato in queste quasi quattrocento pagine di romanzo: lo stile. Non è una novità in realtà, ma questo modo di scrivere che prelude in continuazione all’arrivo di una notizia-bomba, a quel dettaglio che farà dire: "Oh finalmente è arrivato il momento che stavamo aspettando" a me è sempre piaciuto. Invoglia tantissimo alla lettura, perché porta il lettore a crearsi delle aspettative che vuole siano mantenute e soddisfatte. Credo sia la caratteristica più bella che l’autrice possieda e che si rinnova e riverbera in ogni suo testo, anche in questo, che però è un po’ mal riuscito.
Anche le continue emozioni che nascono nel lettore sono perfette, ricche e sincere. Non ci sono dubbi sul fatto che questo libro faccia emozionare tanto e dal profondo, ci sono le lacrime (tante!) che sono un po’ il fine della storia, diciamocelo.

I personaggi: il punto dolente della storia

Penso che il problema principale del romanzo siano i suoi personaggi. Sono "finti" nelle scelte, si muovono malamente nello spazio, non riescono a sembrare a tutto tondo o pronti a "balzar fuori" dalla pagina e girare in mezzo a noi. Sono staticamente relegati alle pagine che li vedono protagonisti e nulla più, piatti nel loro non saper interagire col mondo esterno, quello dei lettori.

Trovo poi Celeste e Nadir insopportabili: nei modi e per le scelte che hanno preso — che ho trovato in alcuni tratti prive di senso, inutili e anche un po’ stupide —, ma anche per i richiami ad altre sue opere. E in questo mi riferisco a Celeste: sembra creata sul modello di Beatrice de Il rumore dei tuoi passi, senza però avere la stessa grazie e leggerezza; non appare mai come Celeste in quanto Celeste, ma sempre come immagine, fotocopia, di un’altra figura già raccontata. Non mi sembra che l’immaginazione manchi a D’Urbano per creare dei personaggi unici, con dei caratteri peculiari che li rendano indimenticabili e distinguibili, soprattutto quando si tratta di protagonisti!

Quanto a Pietro nutro una profonda delusione. Dei tre, lui è quello che più ho amato e ovviamente è quello che viene lasciato spesso a fare da "carta da parati", è accantonato ben presto nella storia, nascosto e poco partecipe. Mi rendo conto sia una sua scelta, per certi aspetti anche abbastanza comprensibile, ma così è anche troppo. Il focus sugli altri personaggi poteva essere dato anche senza sacrificare così tanto il povero Pietro, che tra tutti è quello che avrebbe modo di dare di più ai lettori.

Per restare in tema di personaggi voglio spendere un paio di parole anche sui genitori: ho letto in giro che alcuni li hanno trovati "genitori-fantasma", concordo. Hanno un ruolo che stride nella storia, in ogni occasione. Non sono riuscita, in quasi quattrocento pagine, a trovare un inserimento dei genitori che desse profondità al racconto, che non andasse in direzione completamente opposta a quella dei protagonisti. La loro impostazione è sbagliata perché sembrano aggiunti "a caso" nel testo, come se fosse per l’autrice necessario ci fossero, a prescindere dal filo tracciato dalla storia. A questo punto mi chiedo: sono i genitori-fantasma a essere sbagliati come "caratterizzazione" e interventi, oppure è la storia che non riesce a dare quello che avrebbe dovuto e quindi a coinvolgere i loro interventi aprendo nuove porte?

La sensazione complessiva: un romanzo un po’ pigro

Ultimo punto che mi sento di proporre — e poi mi fermo, promesso — è l’impressione finale che mi ha lasciato il romanzo: l’ho trovato pigro. Il testo è pigro nel senso che non sembra che i personaggi, la storia scelta abbiano appassionato per prima proprio D’Urbano che si è trovata così a portare avanti la stesura di un romanzo in cui forse neppure lei era interessata. C’è come l’impressione che sia un libro portato "a forza" al finale prefissato, senza crederci neppure troppo. Forse bastava dare qualche modifica ai personaggi per renderli più appassionanti ed empatici con i lettori — e con la stessa autrice — e non cadere in questo loop di lentezza e noia.

Questa sensazione che lascia è un peccato perché di base l’idea era molto interessante, una saga "familiare" in questo senso aveva del potenziale e come dicevo sopra gode di una scrittura davvero coinvolgente. Mi sarebbe piaciuto tuttavia poter dire che non solo l’idea era interessante ma anche la resa soddisfaceva ampiamente le aspettative. Peccato non sia accaduto...

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© Riproduzione riservata SoloLibri.net

Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Tre gocce d’acqua

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