La Terrazza del Pincio è uno degli scorci più suggestivi di Roma: il luogo dal quale sembra di osservare la Città Eterna per intero, stringerla in un pugno, elevare lo sguardo oltre la semplice visione sino a sfiorare la superficie inafferrabile di un mistero. È proprio questo luogo a essere protagonista della poesia di Antonia Pozzi dedicata a Roma: si intitola, non a caso, Terrazza al Pincio ed è nitida come una fotografia o un fermo immagine.
Come la maggior parte delle poesie di Pozzi riporta in calce una data e un luogo precisi: “Roma, 27 luglio 1929”. Con le sue “parole leggere” la poetessa cattura l’essenza di Roma che è l’eternità: i versi si elevano al di sopra del tempo e delle ore, cogliendo la visione che tutti noi, anche adesso, potremmo avere dinnanzi a quel punto panoramico che, proprio come la prua di una nave, ci immerge nel cuore della capitale. Da lì si osserva Roma come un mare aperto: la città galleggia nella lontananza e noi siamo la polena che la attraversa, sembra quasi di poter spiccare il volo come i gabbiani che riempiono l’aria con i loro gridi.
Antonia Pozzi in Terrazza al Pincio non ci restituisce solo la magnificenza di un panorama, ma le sensazioni pulsanti di un’anima. L’incanto di Roma appare venato di nostalgia, si fa quasi doloroso come il profumo pungente degli oleandri, diventa già ricordo, una reliquia del tempo fissata da un luogo e da una data.
In occasione del Natale di Roma, scopriamone testo, analisi e commento.
“Terrazza al Pincio” di Antonia Pozzi: testo
Dai viali, a fiotti, corre sullo spiazzo
una fragranza amara d’oleandri.
Roma, immensa, s’abbuia a poco a poco,
sfiorata di rintocchi. Non un volto,
né una voce, né un gesto afferro intorno:
solo l’anima tua, solo il mio amore,
sbiancato dalla tua purezza. In breve,
nel cielo smorto di sfrenata attesa,
proromperà un rimescolio di stelle.Roma, 27 luglio 1929
“Terrazza al Pincio” di Antonia Pozzi: analisi
Come molte poesie di Antonia Pozzi, Terrazza al Pincio è ambientata di sera, al crepuscolo, un’indicazione temporale che spesso si ripete nelle sue liriche che presentano titoli analoghi come Crepuscolo, Sera, Notturno, poiché al tramonto è associato di frequente il tema del ritorno o del commiato.
Qui Pozzi si serve di un’efficace sinestesia, facendoci sentire anzitutto l’odore - che è pungente, nostalgico, impregna le narici - la “fragranza amara di oleandri” che ci accompagna lungo i viali sino a consegnarci la grande visione panoramica di Roma sul far della sera.
Vediamo la Città Eterna nel momento solenne in cui si adombra ed è ecco che la sinestesia di Pozzi raggiunge la sua massima climax: all’odore degli oleandri si aggiunge il buio e, infine, il suono grave dei campanili che scandiscono l’ora e quindi l’incedere della notte.
Roma, immensa, s’abbuia a poco a poco,
sfiorata di rintocchi
Antonia non si limita a mostrarci un panorama o un paesaggio, ma ce lo fa sentire sottopelle: la sua Roma è attraversata da una sofferenza latente, da uno struggimento che è già simile alla nostalgia o al rimpianto. Eppure il tempo corre, non aspetta, il cielo si adombra e presto spunteranno le prime stelle. Nella seconda parte della poesia si assiste a una sorta di scollamento tra tempo fisico e tempo interiore, è come se la poetessa alludesse ad altro: non è più lo spettacolo di Roma che osserva ma la persona da lei amata, ecco che a quella visione il resto svanisce “né una voce né un gesto afferro intorno”. L’epifania finale data dal cielo in cui prorompe un “rimescolio di stelle” dunque non riguarda più la visione come spazio sensoriale, ma il sentimento: è un moto dell’anima ciò che la poetessa ci descrive, qualcosa che trascende la superficie e si inabissa nella profondità del sentire.
Nella conclusione Pozzi riesce a esprimere perfettamente la vertigine che si prova sulla Terrazza del Pincio, quando sembra di poter abbracciare l’intera di città, di incunearsi con lo sguardo in ogni strada, in ogni via, persino nei cunicoli più ombrosi e, infine, alzarsi sulla sommità del cupolone come spiccando il volo aereo di un gabbiano.
Il verso finale rende visivamente quanto enunciato ed è ancora una volta governato dal campo semantico della luce e della sua assenza, c’è il contrasto bianco-nero: nel cielo buio prorompono brillanti le stelle.
Quell’ultimo verso ci commuove perché non è solo un mero passaggio temporale ciò che Antonia Pozzi sta descrivendo, ma è l’irrompere della felicità: una gioia irrefrenabile e transitoria, dura quel che dura, come la luce di una stella; eppure è a proprio modo immortale e da sola basta a comporre una vita. L’immensità di Roma, vista dalla Terrazza del Pincio, pure sembra non bastare a contenere l’ondata implacabile della felicità che infatti si riversa nel cielo.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Terrazza al Pincio”: la poesia di Antonia Pozzi per Roma
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