Non si può fare a meno di parlare di Saltburn, il film più chiacchierato (e controverso) del momento. L’ultima pellicola diretta dalla regista britannica Emerald Fennell, nota per Killing Eve e Una donna promettente, appare come un prodotto cinematografico di difficile definizione, in grado di creare dei cortocircuiti persino nella critica - e non solo. Amazon Prime Video, la piattaforma streaming che ha reso il film disponibile in Italia nel dicembre scorso, lo definisce contemporaneamente “commedia” e “dramma” generando nell’immediato un comprensibile smarrimento negli utenti-spettatori che si accingono a scegliere quale film vedere. Allo smarrimento si aggiunge anche un pizzico di curiosità per una pellicola così anomala e originale anche nell’estetica pop della locandina: cos’è “Saltburn”? Che significa?
Lo smarrimento e la curiosità sono senza dubbio le sensazioni ideali con cui approcciarsi a Saltburn, perché state pur certi che non vi abbandoneranno sino alla fine del film.
Saltburn, un film che disorienta
La trama narra le vicende di Oliver Quick (interpretato dalla stella nascente del cinema irlandese Barry Keoghan, Ndr), un ragazzo di umili origini che è giunto a Oxford grazie a una borsa di studio, e della sua amicizia con Felix Catton (che ha il volto di Jacob Elordi, idolo delle teenager), rampollo di una nobile famiglia britannica. Il proseguire lineare delle vicende - storia di disagio adolescenziale, atmosfera scolastica, bullismo e queer drama - subisce un brusco cambio di registro quando Oliver viene invitato da Felix a trascorrere le vacanze estive nella sua residenza di Saltburn. Da questo momento in poi iniziano a susseguirsi degli avvenimenti inspiegabili che trascinano lo spettatore in un vortice di emozioni oscure, in un’altalena costante di angoscia e stupore, in cui si snoda una spirale di amore e ossessione tra atmosfere gotiche e vampiresche, strane pratiche erotiche e un plot da dark comedy.
A fare la fortuna di Saltburn è stato un passaparola divenuto virale sul web e sui social network: non si contano i meme o i post (ironici ma non troppo) ispirati alle scene del film di Fennell. Il tutto ha generato una vera e propria febbre, spingendo gli utenti a guardare Saltburn, se non altro per farsi una propria personale opinione a riguardo.
Ma, in un film in cui molto - o quasi tutto - è lasciato apertamente al libero giudizio dello spettatore, il risultato non potrebbe essere più contraddittorio: c’è chi urla allo scandalo, chi lo trova inquietante, chi lo ritiene addirittura divertente. Tutti si accapigliano e nessuno è concorde. Alcuni consigliano di non vederlo in famiglia, mettendo già in guardia sul contenuto “scottante” di alcune scene o sui potenziali retroscena horror.
Quel che è certo è che Saltburn non è un film facilmente definibile né riconducibile a un genere vero e proprio; la curiosità che esercita sullo spettatore si regge proprio sulla tensione costante che riesce a creare, sulla sua imprevedibilità, sulla sua insondabilità. Sembra di procedere in un labirinto di cui non si indovina la fine. Le immagini, però, sono così vivide che si imprimono in maniera spiazzante sulla retina e vi rimangono, scolpite come attraverso un flash, anche a visione conclusa.
In definitiva si potrebbe definire Saltburn come un film “disturbante”, poiché si regge su una fusione esplosiva di inquietudine, ansia e disagio; forse il sentimento che domina nello spettatore, di fronte a certe imprevedibili svolte narrative, è proprio il disagio.
Se le invenzioni più iperboliche (e trash) che dominano la trama sono da attribuire a delle scelte “originali” della regista Fennell, che è anche autrice della sceneggiatura; di certo lo stesso non si può dire della storia, che riecheggia temi e personaggi già noti (avete presente Il talento di Mr Ripley?) e un classico della letteratura inglese.
Il libro che ha ispirato la trama di Saltburn è infatti Ritorno a Brideshead (nell’originale è Brideshead Revisited) di Evelyn Waugh, pubblicato nel 1945. Al romanzo di Waugh di certo la regista ha deciso di aggiungere un bella dose di trash, condita in salsa pop e una colonna sonora da tormentone; ma in sostanza è sempre la stessa vecchia storia.
“Ritorno a Brideshead”: il romanzo di Waugh che ha ispirato Saltburn
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Saltburn è dunque la Brideshead di Evelyn Waugh? Sì e no, ma di certo l’ambiguità è la carta vincente di entrambe le storie.
Il film di Fennell è ambientato in un tempo imprecisato ma indubbiamente attuale, che molti indentificano con i primi anni duemila; mentre Ritorno a Brideshead di Waugh ci narra di quell’epoca irripetibile e decadente precedente la Seconda guerra mondiale, è ambientato proprio sulla soglia di un mondo che sta per finire per lasciare spazio ad un altro.
Il protagonista del romanzo di Waugh si chiama Charles Ryder ed è - proprio come il nostro Oliver Quick - uno studente di Oxford. Un giorno conosce Sebastian Flyte, l’eccentrico rampollo di una famiglia di nobile stirpe, i Marchmain. I due non potrebbero essere più diversi, ma ben presto l’energia incontenibile di Sebastian travolge il timido Charles e diventano inseparabili, tanto che il giovane Flyte convince l’amico a trascorrere le vacanze estive con lui nella sua residenza di Brideshead.
Charles entra così nel mondo dorato cui appartiene Sebastian, e ne è completamente rapito, come soggiogato. Ben presto il giovane scopre che tutti i componenti di quella nobile famiglia - che si professa orgogliosamente “cattolica” in barba alla tradizione anglicana - hanno qualcosa di irrisolto, una specie di inquietudine marcescente che li divora da dentro. Charles è in egual modo attratto dal comportamento sopra le righe e sconveniente di Sebastian - alcune pagine rivelano l’ambiguità del loro rapporto - e dalla sua sorella minore, Julia. Intanto non manca di subire il fascino di Lady Marchmain, fervente cattolica, rimasta sola dopo l’abbandono del marito, che però non vede di buon occhio il suo ateismo e teme che possa portare il suo Sebastian sulla cattiva strada.
Qui le due trame, del libro e del film, divergono. Ritorno a Brideshead non è un thriller; e forse la seconda parte della pellicola di Fennell è più debitrice a Il talento di Mr Ripley di Patricia Highsmith.
Nel romanzo di Waugh troviamo alcuni temi chiave, come la presa di coscienza della distanza di classe e il ritratto di un mondo sfavillante basato sul privilegio che sta tuttavia per scomparire inghiottito dalle fauci della guerra, ma la narrazione prende ben presto una piega malinconica. Charles Ryder, al contrario dell’Oliver di Saltburn, non può essere infatti definito un “arrampicatore sociale”. Il protagonista è l’unità di misura attraverso cui il narratore stabilisce lo stato di decadenza della nobile famiglia Flyte.
La dimora di Brideshead, con le sue tradizioni e i suoi riti immutabili, sta per essere travolta dal vento avverso della guerra che ne metterà in discussione le fondamenta e i dogmi religiosi. Un mondo chiuso in sé stesso, del resto, non può sopravvivere e dietro la devozione della famiglia Flyte si nasconde ipocrisia e un cuore arido. Lo scoprirà lo stesso Charles, che assisterà impotente alla spirale discendente imboccata dall’amico Sebastian tra alcol e perdizione. Raggiunti i quarant’anni il nostro protagonista ha alle spalle un matrimonio fallito e osserva la vita attraverso la lente del cinismo, ma il suo cuore batte ancora per Julia che sembra ricambiarlo.
Al suo ritorno a Brideshead, a guerra conclusa, troverà la grande villa semidistrutta e immersa nella più cupa decadenza, ma scoprirà ancora integra la cappella privata voluta da Lady Marchmain. Lo spazio ora è stato aperto ai soldati, perché vi si possano recare a pregare. Il tema principale dell’opera di Evelyn Waugh è il flusso costante del tempo al quale non ci si può opporre; tutto viene lentamente sbriciolato e corroso dall’azione del tempo, tranne Brideshead che rimane in piedi, eterna e ineliminabile, come un fantasma o un ricordo al quale il protagonista sempre ritorna.
Se la cifra dominante del libro di Waugh è la nostalgia, la riflessione sull’azione del tempo e sulla redenzione, lo stesso non si può dire del film di Emerald Fennell.
Saltburn riprende i temi e le atmosfere decadenti che hanno reso Ritorno a Brideshead il capolavoro di Evelyn Waugh, gioiello intramontabile della letteratura inglese, ma mescola le carte in tavola creando un gioco travolgente e pericoloso. La bellezza del film sta soprattutto nel disorientamento che riesce a creare, nelle emozioni contrastanti e conturbanti suscitate da certe scene; non tanto nel finale, che appare a tratti scontato e richiama, forse fin troppo, la conclusione luciferina del libro di Patricia Highsmith.
Rimane tuttavia sullo sfondo - e richiamata anche nel titolo - la presenza di una decadente magione inglese: Saltburn o Brideshead è forse la vera protagonista implicita, una grande dimora nobiliare che richiama il topos narrativo delle “case stregate”, e in parte spiega il fascino occulto esercitato dalla storia.
Saltburn: il trailer
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Saltburn”, il film cult tratto dal romanzo di Evelyn Waugh
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