Valérie Tong Cuong è nata in una banlieue parigina (il cognome vietnamita è del marito) e ha studiato letteratura e scienze politiche all’università. Ha lavorato otto anni nella comunicazione, e poi si è dedicata interamente alla scrittura (romanzi, racconti, sceneggiature) e alla musica. Il suo romanzo L’Atelier dei miracoli è stato tradotto in 16 Paesi, ha vinto il Prix de l’Optimisme 2014 e in Italia ha avuto una straordinaria accoglienza, amato dai lettori e dalla critica.
È da poco in libreria Perdonabile, imperdonabile (Salani 2015, titolo originale Pardonnable, Impardonnable, traduzione di Monica Capuano), riuscito romanzo corale nel quale l’autrice indaga il punto di vista di quattro personaggi di un clan familiare, i quali si trovano costretti a fare i conti con le proprie mancanze e debolezze. La causa scatenante è l’incidente occorso al piccolo Milo in bicicletta.
“Il cielo ci sarebbe caduto addosso”.
Durante un pomeriggio d’estate, il dodicenne mentre corre lungo una strada di campagna, cade. “...un istante prima dell’impatto, ancora ride pedalando a bocca spalancata”. Ai genitori Lino e Céleste, alla nonna materna Jeanne e alla zia Marguerite i medici lasciano speranze di guarigione “siamo fiduciosi, dovrebbe risvegliarsi”. Però Milo si trova in coma in ospedale, “esserino immobile”, il corpo abbandonato alle macchine, il volto coperto per metà da una fasciatura, “il cranio inturbantato”. La famiglia priva dell’elemento che li tiene uniti, va in pezzi in un coacervo di segreti, bugie, omissioni.
“Cosa ne sarà di noi in sua assenza?”
Abbiamo intervistato Valerie Tong Cuong di passaggio a Roma.
- Ha tratto ispirazione per la stesura del testo da un episodio realmente accaduto?
La storia è totalmente inventata, tuttavia mi sono ispirata a molte persone che mi è capitato di incontrare e mi hanno raccontato le loro storie. Ho la fortuna di avere molti scambi con i miei lettori, quindi sia la mia sia la loro esperienza mi è stata molto utile. È stato questo il lavoro che ho svolto prima di affrontare il tema del perdono.
- Il significato profondo del romanzo sta proprio nel titolo?
Sì, è proprio questo. È necessario impegnarsi sulla via del perdono se si vuole vivere appieno. Ma è un lavoro assai lungo e difficile.
- Scrive che “i grandi dolori uniscono sicuramente più delle gioie”, eppure la famiglia protagonista del romanzo va in pezzi. Ce ne vuole parlare?
Sì, i grandi dolori sono inevitabili, perché la vita ha questa dualità, è divisa tra gioia e dolore...
I dolori sono importanti, le grandi prese di coscienza si hanno in concomitanza con un grande dolore e non con la gioia, la quale tra l’altro è necessaria, tuttavia non ci consente di andare lontano, almeno non cosi rapidamente.
- “Non è stato un incidente: è stato un omicidio a più mani”. Lino e Céleste, Jeanne e Marguerite cercano di attribuirsi l’un l’altro la responsabilità dell’accaduto, perché?
È proprio dell’essere umano tentare di spiegare sempre tutto ciò che avviene. Soltanto quando si vede che c’è una propria responsabilità è possibile far cambiare le cose. Nel libro si vede che questi personaggi fanno tutto un percorso e a un certo punto capiscono qual è il proprio ruolo, la propria responsabilità. In questa maniera possono accedere al perdono sia per gli altri sia eventualmente per se stessi.
- “Tutte le famiglie felici si assomigliano fra loro, ogni famiglia infelice è infelice a suo modo”. L’incipit di Anna Karenina di Tolstoj si può applicare anche alla famiglia di Milo?
Direi che non esiste una famiglia perfetta quindi non esiste nemmeno una famiglia perfettamente felice, però esistono delle famiglie che sono capaci di raggiungere un determinato equilibrio nonostante le manchevolezze che avvengono all’interno del nucleo familiare. Secondo me ogni famiglia dovrebbe cercare di migliorare questo equilibrio parlando di più l’uno con l’altro e ascoltandosi. Cercandosi reciprocamente.
- È sempre valida la regola secondo la quale “non è con il tempo che si misura la profondità delle nostre ferite”?
Sì, nel libro si vede che le ferite molto profonde richiedono molto tempo per essere guarite. Il perdono non può avvenire rapidamente, perché il perdono si pone a fianco di una ferita inizialmente considerata imperdonabile. Quindi qualcosa di molto doloroso. Da qui la necessità che trascorra molto tempo per passare attraverso tutte le fasi che descrivo nel romanzo, che sono l’odio, la vendetta, ecc. Si può osservare come quest’odio, nel momento nel quale si prova, impedisca di vivere, senza peraltro risolvere i fatti del passato che l’hanno originato. Questa constatazione permette di giungere infine al perdono che è in definitiva un regalo che si fa prima di tutto a se stessi e poi alla persona che si perdona.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Perdonabile, imperdonabile: Valerie Tong Cuong racconta il suo ultimo romanzo
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