
Max Weber fu uno dei principali protagonisti del dibattito teorico tedesco tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento: il suo pensiero influenzò profondamente la ricerca storica, la sociologia, di cui è considerato uno dei padri, e l’economia.
Anche se non espresse una filosofia vera e propria, Max Weber, definito da alcuni il Marx della borghesia, seppe individuare con chiarezza i tratti caratterizzanti della modernità, per questo con le sue opere dovettero confrontarsi personalità di primo piano, come Heidegger e i filosofi della Scuola di Francoforte.
Scrittore prolifico, Weber offrì contributi imprescindibili in molte scienze storico-sociali, e alcuni dei suoi saggi sono ancora oggi di grande attualità per comprendere il ruolo determinante di alcuni fenomeni sociali, quali la religione.
Scopriamo, allora, insieme la vita, le opere e il pensiero di Max Weber.
La vita e le opere di Max Weber
Nato da una famiglia borghese e liberale, Max Weber (Erfurt, 21 aprile 1864 – Monaco di Baviera, 14 giugno 1920) studiò Giurisprudenza e, negli stessi anni, approfondì anche discipline quali la storia, l’economia, la filosofia e la teologia.
Dopo aver avviato la sua carriera accademica con studi di carattere storico, sposò Marianne Schnitger, che diverrà una valente sociologa (col nome di Marianne Weber), e insegnò per alcuni anni Economia Politica nelle università di Friburgo e Heidelberg.
A causa di una grave crisi nervosa trascorse alcuni anni sabbatici in cui viaggiò per l’Europa e negli Stati Uniti poi, rientrato in Germania, fondò la rivista “Archivio di scienza sociale e politica sociale”.
Tra il 1903 e il 1906 pubblicò i principali saggi di metodologia delle scienze sociali e riprese l’insegnamento ad Heidelberg dove strinse contatto con molti intellettuali dell’epoca.
Di fronte alla Grande Guerra assunse prima posizioni interventiste poi optò per il pacifismo e, negli anni successivi, contribuì alla stesura della Costituzione di Weimar.
Critico nei confronti dell’antisemitismo, del pangermanesimo e del leninismo, colpevoli di non garantire i diritti delle minoranze, dopo la fine della guerra Weber insegnò a Vienna e a Monaco, dove morì prematuramente.
Tra le sue molte opere, ricordiamo, per la loro imprescindibilità e attualità:
- L’etica protestante e lo spirito del capitalismo (1904-1905);
- Scritti di sociologia della religione (postumo);
- Economia e società (postumo);
- Il metodo delle scienze storico-sociali (raccolta postuma degli scritti di metodologia, curata dalla moglie);
- le conferenze La scienza come professione e La politica come professione (1919).
Max Weber e il metodo delle scienze storico-sociali
Se escludiamo gli studi storici, ormai datati, la riflessione di Max Weber prende le mosse dal dibattito sul metodo delle scienze storico-sociali. A quel tempo, la cultura tedesca distingueva nettamente tra le scienze della Natura (le scienze propriamente dette) e le scienze dello Spirito (ovvero le scienze storiche e sociali), caratterizzate da oggetti, metodi di ricerca e finalità diverse. Riguardo alle seconde andava per la maggiore la teoria di Wilhelm Dilthey, un filosofo storicista, secondo il quale l’oggetto delle scienze storico-sociali era la realtà “interna” dello Spirito e il loro procedimento, di stampo psicologistico, consisteva nella comprensione di una esperienza vissuta (Erlebnis) e, quindi, differiva totalmente dalla spiegazione concettuale delle scienze naturali.
Weber prende subito le distanze da Dilthey affermando che la peculiarità delle scienze storico-sociali risiede nel fatto che non riconducono un fenomeno a una legge generale (come, ad esempio, posso fare con un oggetto che cade a terra, quando spiego questo evento con la legge di gravità), come le scienze naturali, ma studiano un oggetto (una guerra o un gruppo sociale) come una singolarità non replicabile; le scienze sociali hanno, quindi, un orientamento all’individualità.
Questa individualità, poi, non appartiene alla struttura dell’oggetto indagato, ma è il frutto di una scelta effettuata dallo storico o dal sociologo. È lo scienziato sociale a scegliere il proprio oggetto di ricerca e ad attribuirgli così un’importanza maggiore rispetto a infiniti altri che ritiene meno o per nulla significanti.
Tale scelta avviene in base a dei valori, scelti dallo scienziato e mutevoli (in base al periodo storico, alle tendenze di ricerca, alla temperie culturale), e sono tali valori, individuati dagli scienziati stessi, a conferire significato e a rendere un oggetto della ricerca più rilevante di altri, e quindi degno di essere indagato. Ciò implica che la ricerca storica sia sempre unilaterale e prospettica, perché ogni scienziato sceglie i suoi oggetti di indagine in base ai suoi valori, e asistematica, perché ogni ricerca non può essere ricondotta a un sistema totale di conoscenze.
Anche se la ricerca storica muove da presupposti soggettivi, per Max Weber deve però produrre dei risultati oggettivamente validi; ciò è possibile grazie a due fattori:
- l’avalutatività delle scienze storico-sociali: ossia il fatto che tali discipline debbano descrivere e non formulare giudizi di valore sui fenomeni che studiano (i miei valori possono portarmi a studiare le battaglie greche ma, dal punto di vista scientifico, non avrebbe alcun senso dire, ad esempio che la battaglia di Maratona è stata buona o cattiva);
- la spiegazione causale: che regola anche la comprensione storica e deve occuparsi di individuare una serie di fattori rilevanti che vanno, poi, inseriti in uno schema di rapporti, che possa essere verificato;
La ricerca storica, inoltre, per essere considerata oggettiva, deve essere fondata su fatti che possano accertati sulla base delle fonti storiche e deve conformarsi a regole empiriche generali. Per capire se un evento è stato davvero determinante bisogna considerare cosa sarebbe successo se non si fosse verificato e vagliare anche questa possibilità alternativa. Ciò può avvenire tenendo conto di regole generali dell’esperienza che riguardano, ad esempio, la condotta umana.
In definitiva, quindi, anche se le scienze storico-sociali non possono prevedere come le scienze naturali, possono comunque avanzare, con una certa probabilità, ipotesi obiettive su ciò che potrebbe succedere o che sarebbe potuto succedere. Ciò anche grazie ai tipi ideali, ovvero a delle concettualizzazioni di realtà storiche, che non si presentano mai nella realtà storica per come sono concepiti, ma che sono utili per meglio comprendere un evento storico e per confrontarlo con fenomeni simili (posso, ad esempio, teorizzare il dispotismo illuminato, isolando le sue caratteristiche discriminanti, per poi effettuare comparazioni con i vari dispotismi illuminati che si sono effettivamente dati nella storia del Settecento: quello di Federico II di Prussia, più militaresco; quello di Maria Teresa d’Austria, più attento a ridurre il potere ecclesiastico; quello di Pietro Leopoldo, più sensibile ai diritti umani, ecc.).
Max Weber: la religione e lo spirito del capitalismo
Nelle sue analisi sociologiche Weber critica anche la prospettiva di Marx, affermando che l’economia è un fattore solo rilevante, e non determinante, nel decorso storico. Lo sviluppo sociale, infatti, secondo Weber, può avvenire anche grazie ad altri elementi di grande rilevanza. Uno di essi è la religione come ben dimostra la celebre analisi che il nostro sociologo propone ne L’Etica protestante e lo spirito del capitalismo. Weber considera, a tal proposito, le società calviniste, dove era molto diffusa l’idea della predestinazione e nota come, a livello psicologico, il successo nel lavoro inizi ad essere considerato un segnale inequivocabile della grazia divina. Ciò avrebbe portato tali società a un forte impegno nel lavoro, al rischio, all’investimento di capitali, quindi, in definitiva, a gettare le basi della società capitalistica.
Le analisi sociologiche di Max Weber: l’azione e il potere
Ancora oggi attuali, le riflessioni sociologiche di Max Weber si concentrano, innanzitutto, sui vari tipi di agire sociale, riguardo ai quali egli distingue tra:
- agire razionale rispetto allo scopo, dove si ricercano i mezzi più efficaci per conseguire determinati fini;
- agire razionale rispetto al valore, dove l’azione viene determinata dalla credenza che un determinato comportamento abbia di per sé un valore incondizionato (a prescindere dagli effetti che produce);
- agire affettivo, influenzato, cioè dalle emozioni;
- agire tradizionale che è determinato, appunto, da tradizioni, usi, costumi e consuetudini.
Altrettanto nota è la classificazione dei vari tipi di potere politico:
- il potere legale-razionale, basato sulla convinzione di una superiorità delle leggi e sul diritto di comando che queste assegnano a chi è chiamato a esercitare il potere;
- il potere tradizionale, fondato sulla presenza di un’autorità costituita che governa legittimamente e sul valore sacrale delle tradizioni;
- il potere carismatico, contraddistinto da una particolare fiducia nei confronti di una personalità carismatica, che crea intorno a sé dei seguaci.
Lo stato moderno è contraddistinto da un agire razionale rispetto allo scopo; la natura del potere, invece, è più ambigua perché nelle società reali si nota una commistione delle tre forme di potere tematizzate dal sociologo.
A proposito dello stato rimane celebre la definizione che ne offre Weber: un’associazione politica che possiede il monopolio legittimo della forza, ossia che può esercitare la coercizione sulla base di un ordinamento giuridico.
Il mondo del disincanto
Max Weber riflette anche sull’intero decorso dell’umanità, nel quale rileva un processo di disincantamento. Dopo aver assistito al passaggio da una religiosità magica (legata agli elementi naturali) a una religiosità profetica (propria dei grandi monoteismi) ora il mondo attraversa una nuova stagione, che assegna alla religione un ruolo sempre più ridotto: sono sempre maggiori gli ambiti secolarizzati (che hanno abbandonato una prospettiva religiosa e che hanno raggiunto una propria autonomia concettuale) del sapere e la scienza e la tecnica hanno assunto una preponderanza sempre maggiore quando si tratta di spiegare i vari fenomeni (per questo si parla di intellettualizzazione). Con Nietzsche, si potrebbe dire che Weber concorda sul fatto che Dio sia morto e ne trae le conseguenze stringenti sul piano sociale e politico.
Queste tendenze sono espresse al meglio dalle moderne società capitalistiche occidentali, contrassegnate da una presenza crescente della burocrazia e, soprattutto, da quell’agire razionale in base a scopi, da quella ragione calcolante che porta a massimizzare gli effetti di un’azione, a prevedere e a selezionare i mezzi più idonei per realizzare determinati fini.
Non si tratta di un facile ottimismo: Max Weber si rende pienamente conto delle ambiguità di questo mondo disincantato, dove valori diversi confliggono e la scienza, seppur dominante, si rivela impotente quando si tratta di capire quali valori debbano guidarci.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Max Weber: vita, opere e pensiero del teorico della modernità
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