Nella poesia La tartaruga Trilussa ci regala un’immagine inedita e divertente della tartaruga, l’animaletto che tutti associamo a una lentezza che fa il paio con la ponderazione, l’equilibrio e, quindi, con la saggezza.
Con la schiettezza e la sincerità che distinguono il dialetto romanesco, il poeta mette a disposizione di tutti un messaggio morale che, grazie alla forma poetica, continua ancora ad affascinare dopo più di un secolo e non risulta mai banale o scontato.
Carlo Alberto Salustri (1871-1950), in questa celebre favola in versi che recupera la tradizione greca che fa capo a Esopo, nasconde dietro la vicenda ironica e leggera dell’incontro di due animali immaginari un messaggio educativo e un insegnamento ben più profondi, che sottolineano il divario tra due tipi umani che guardano alla vita e al mondo in modo nettamente differente.
Comparsa nella raccolta “Ommini e bbestie”, pubblicata per la prima volta a Roma, dall’editore Enrico Voghera, nel 1914, La tartaruga di Trilussa diventa anche uno specchio fedele dell’italietta liberale giolittiana, che si avvicina lenta lenta alla modernità e, mentre oscilla inconsapevole tra mediocrità ed entusiasmo, si approssima pericolosamente al grande baratro del primo conflitto mondiale.
La tartaruga di Trilussa: il testo
Mentre una notte se n’annava a spasso,
la vecchia tartaruga fece er passo
più lungo de la gamba e cascò giù
cò la casa vortata sottoinsù.
Un rospo je strillò: "Scema che sei!
Queste sò scappatelle
che costeno la pelle…
- lo sò - rispose lei
- ma prima de morì, vedo le stelle.
La tartaruga di Trilussa: analisi e significato della poesia
Facendo proprie le scelte di un altro grande poeta romano, Giuseppe Gioacchino Belli, Trilussa sceglie la poesia dialettale come il mezzo espressivo più adatto per descrivere autenticamente la società del suo tempo. Egli si rifà, però, anche a Esopo: come il cantore greco mette in versi semplici favole che, come nel caso de La tartaruga, hanno in genere un significato più profondo: egli riesce così a criticare garbatamente quei costumi che altrimenti non potrebbero essere oggetto di scherno.
Lo dimostra bene il fatto che Trilussa poté scrivere anche durante il Fascismo: nonostante il regime avesse dichiarato guerra aperta ai dialetti, i suoi componimenti furono tollerati perché giudicati leggeri, divertenti e non eccessivamente caustici.
In questa poesia Trilussa ci presenta una tartaruga che è, sì, vecchia quindi - almeno così dovremmo presumere, tenendo presente anche un altro componimento di Trilussa dove una saggia tartaruga conversa con una lucertola - saggia, ma anche un po’ sbarazzina, sognante e sprovveduta, che se ne va a spasso e fa il passo più lungo della gamba. Si tratta, insomma, fin dalle prime righe della poesia, di una tartaruga con dei connotati morali alquanto diversi da quelli che di solito si attribuiscono a questo animale, vocato per sua natura all’oculatezza, alla ponderazione e alla cautela. L’avventatezza costa cara al nostro rettile che cade e si ritrova sottosopra, con il guscio rivolto a terra e gli occhi al cielo.
A godersi la scena troviamo l’altro protagonista della vicenda, un rospo, animale tradizionalmente brutto, che abita luoghi infimi e sporchi, bassifondi umidicci, fangosi e pieni di melma, acque stagnanti, ferme e ombrose, mai limpide e cristalline.
Le parole del rospo risultano di primo acchito un po’ offensive, poi più lucide perché ricordano alla tartaruga che certi azzardi possono costare la vita; per tutta risposta la tartaruga oppone una superiore consapevolezza e uno scanzonato ottimismo che dischiudono la possibilità di vedere le stelle prima di morire.
Dietro la semplice vicenda che vede protagonisti la tartaruga e il rospo si nasconde, quindi, un topos ben presente anche nelle favole antiche, quello dell’ambizione. Si tratta di un sentimento che separa nettamente chi ne è sprovvisto, le persone piccole, grette e meschine, sempre pronte a giudicare e magari anche a trarre piacere dalle disgrazie dalle disavventure altrui, da chi, invece, lo incarna al meglio, rischiando, tentando l’azzardo, andando oltre le proprie possibilità, pur di raggiungere un traguardo più alto, una condizione, o un punto di vista privilegiato.
Rimandi sociali e contesto storico della poesia di Trisulla
Diversamente da altri componimenti di Trilussa, come Er nemico, La tartaruga non ha uno spiccato significato politico. Nonostante questo, se volessimo correlare la nostra poesia e il suo messaggio morale allo scenario sociale di quegli anni potremmo facilmente richiamare alla mente le masse sempre più presenti nell’Italia di inizio Novecento. Migliaia di uomini anonimi, indistinti, di bassa estrazione sociale, che Giolitti si sforzava di includere nella giovane nazione con il suffragio universale (quello maschile arrivò in Italia nel 1912) e con strumenti previdenziali come le assicurazioni sulla vita (anche l’Istituto Nazionale delle Assicurazioni nasce con una legge del 1912), per evitare le sommosse e i borbottii che sarebbero arrivati pochi anni più tardi, col Biennio rosso.
Trilussa certo non disprezzava il popolo, anzi, con la sua poesia dialettale parlava anche ad esso, ma di certo, nell’Italia di quegli anni, di personaggi che, ciascuno a suo modo, puntavano alle stelle, più o meno probabili che fossero, ce n’erano molti: spiriti liberi dal grande slancio vitale come i futuristi di Filippo Tommaso Marinetti, nazionalisti interventisti alla Corradini, socialisti rivoluzionari e bellicosi come il giovane Benito Mussolini, solo per fare qualche nome.
Stile e struttura metrica de La Tartaruga di Trilussa
La poesia di Trilussa ha come suo tratto naturale un sapore popolare: Trilussa sceglie il dialetto romanesco innanzitutto perché i suoi componimenti sono scritti per i cittadini della Capitale e perché vuole che i romani lo capiscano.
Non è solo una scelta di autenticità profonda o di irriverenza naturale, il romanesco è la lingua che per secoli è stata usata quando si componevano le pasquinate, scherzi poetici e rampogne giocose che sono gli antenati più illustri dei sonetti del Belli o dello stesso Trilussa.
Per quanto riguarda la metrica il poeta opta per un misto di endecasillabi e settenari, una combinazione metrica privilegiata, nella poesia italiana, da chi ambisce all’ampiezza e alla chiarezza dell’espressione; si concede, tuttavia, una discreta libertà usando, all’occorrenza, anche endecasillabi tronchi o quinari. Da ciò risulta il seguente schema rimico: AABBCddcD.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “La tartaruga” di Trilussa: significato e analisi della poesia sull’ambizione
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