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Storia della letteratura

La mia sera: testo, parafrasi e analisi della poesia di Pascoli

Scopriamo insieme testo, parafrasi, analisi e figure retoriche della poesia La mia sera di Giovanni Pascoli.

Eleonora Daniel
Eleonora Daniel Pubblicato il 01-02-2021

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La mia sera: testo, parafrasi e analisi della poesia di Pascoli

La mia sera è una poesia di Giovanni Pascoli appartenente alla raccolta Canti di Castelvecchio. Composta nel 1900, la poesia è interamente costruita su un’analogia: quella tra il paesaggio al tramonto, finalmente sereno dopo un giorno di tempesta, e lo stato d’animo del poeta.

Com’è costruita questa analogia? Scopriamolo insieme con testo, parafrasi e analisi del componimento.

La mia sera: testo

Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c’è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!

Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell’aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell’umida sera.

È, quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d’oro.

O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell’ultima sera.

Che voli di rondini intorno!
che gridi nell’aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l’ebbero intera.
Nè io... e che voli, che gridi,
mia limpida sera!

Don... Don... E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra...
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch’io torni com’era...
sentivo mia madre... poi nulla...
sul far della sera.

Parafrasi

Il giorno è stato pieno di lampi (per un temporale), ma adesso arriveranno le stelle, le stelle silenziose. Nei campi si sente il gracidio delle rane. Le foglie dei pioppi tremano, scosse da un vento leggero e sereno. Nel giorno che fulmini, che tuoni! E che pace, la sera!
Compariranno le stelle nel cielo così tenero e vitale. Là, vicino alle allegre ranocchie, un fiume gorgoglia monotono. Di tutto quel tumulto cupo, di tutta quella bufera così aspra, non rimane che un dolce singhiozzo in questa sera umida.
Quella tempesta infinita è finita in un fiume canoro. Dei fulmini fragili non restano che nuvole di porpora e oro. O stanco dolore, riposa! La nube che nel giorno era più nera è quella che ora vedo più rosa, in questa sera che finisce.
E come volano le rondini qui intorno! Che grida per l’aria serena! La fame accumulata nel corso del giorno prolunga la cena gioiosa degli uccelli. I pulcini nel nido, nel corso del giorno, non hanno potuto avere intera la propria razione idi cibo. E neppure io... E che voli, che gridi, mia limpida sera!
Don... Don... (Rintoccano le campane) E voci di tenebra azzurra mi dicono: dormi! Mi cantano: dormi! Sussurrano: dormi! Bisbigliano: dormi! Mi sembrano canti di culla, che mi fanno tornare com’ero... Sentivo mia madre... poi più nulla... sul far della sera.

Commento

Come già detto, La mia sera è costruita su un’analogia: la serenità del paesaggio di campagna serale, dopo una giornata di tempesta, è specchio dell’animo del poeta. Questi due nuclei tematici (natura vs poeta) polarizzano il componimento, che progressivamente si sposta dall’osservazione della natura alla riflessione personale.

Il paesaggio circostante è caratterizzato da una quiete resa ancor più evidente dal contrasto con il giorno. Questo contrasto, a livello semantico, è reso dalle continue coppie antitetiche: “scoppi”/"pace", “cupo tumulto”/"dolce singulto", “fulmini”/ “cirri”, le nubi prima nere e poi rosa...

Non solo: il temporale del giorno è strumento fondamentale perché la quiete stessa possa esistere. Sotto questo aspetto, la poesia richiama un altro componimento: La quiete dopo la tempesta di Giacomo Leopardi.
Entrambe le poesie partono dallo stesso evento fisico per spostarsi poi su un piano ragionativo, di astrazione spirituale, ma se la riflessione di Leopardi culmina in una legge universale (sintetizzabile in “piacer figlio d’affanno”), l’approdo di Pascoli sfocia in discorso personale.

La quiete della sera, infatti, rievoca le ninne nanne della madre nella culla. La vita del poeta, vissuta come travaglio fin dall’infanzia (segnata dalla morte del padre, al centro della poesia X agosto), sarà riassorbita nel nido originario, nel sonno della morte.

Analisi metrica e retorica

La mia sera è composta da cinque strofe, ciascuna costituita da sette novenari e un senario. Le rime seguono lo schema ABABCDCd: i novenari sono a rima alternata (con qualche rima ipermetra: “tempesta”-"restano", “sussurrano”-"azzurra"), mentre il senario finale termina in tutte le strofe con la parola “sera”.

L’analogia di cui abbiamo già parlato, per quanto costituiva della poesia, non è l’unico procedimento retorico messo in atto da Pascoli. Oltre alle allitterazioni e agli enjambement ("pioppi / trascorre", “restano / cirri”, “nera /fu”...) presenti, tra le altre figure retoriche presenti nel componimento, segnaliamo:

  • Onomatopea: l’osservazione della natura da cui prende le mosse il componimento è sottolineata dall’utilizzo di onomatopee (es. “gre gre” e “Don... Don...”).
  • Antitesi: come accennato, la quiete della sera appare grazie alla contrapposizione con il tormento del giorno, realizzata tramite l’accostamento di termini come “scoppi”/"pace", “cupo tumulto”/"dolce singulto". Un’antitesi evidente è anche quella presente ai vv. 17-18: “infinita tempesta / finita”.
  • Personificazione: “singhiozza monotono un rivo”.
  • Climax discendente: “cantano”, “sussurrano”, “bisbigliano”.
  • Sinestesia: “voci di tenebra”.
  • Ossimoro: “fulmini fragili”, “tenebra azzurra”.
  • Apostrofe: “O stanco dolore, riposa”, “mia limpida sera”.
  • Reticenza: dal penultimo verso della penultima strofa e per tutti i successivi la poesia è caratterizzato da un sempre crescente uso dei puntini di sospensione, che rafforzano con inquietudine ipnotica l’immagine finale del sonno (e, in ultimo, del sonno come metafora della morte).
  • Sineddoche: “nidi”.
  • Metafora: l’invito al sonno finale è metafora della morte.
  • Anastrofe: “è quella infinita tempesta / finita in un rivo canoro”, “la parte, sì piccola, i nidi / nel giorno non l’ebbero intera”
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La mia sera: testo, parafrasi e analisi della poesia di Pascoli

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