

La famiglia Piccolo della Calanovella da Palermo, nel 1933-34, si trasferisce a Capo d’Orlando, deliziosa cittadina del messinese che, tra mare e pendii boschivi, evoca gesta paladine. Va ad abitare a tre chilometri dal paese in una villa di contrada Vina, situata su un poggio.
All’orizzonte lo scenario delle Eolie accende l’immaginazione, i sensi partecipano a un godimento singolarmente estetico. Sembrano modellate; miticamente paiono zattere galleggianti.
La visione dell’isola di Salina dovette ammaliare Tomasi di Lampedusa, per parte di madre cugino dei proprietari e spesso da loro ospitato: quasi dialogava con lei, tanto che volle usarla come predicato nobiliare del suo protagonista: don Fabrizio Corbera, principe di Salina. Si dice che in questa casa egli abbia scritto alcune delle pagine del Gattopardo.
Villa Piccolo a Capo d’Orlando
La residenza signorile accoglieva le figure più prestigiose della cultura italiana e siciliana. Spartano l’arredamento tale da contrastare con la luminosità dell’ambiente esterno. La villa, un tempo abitata da Casimiro, Lucio e dalla sorella Agata Giovanna, è difatti esposta a una lussureggiante schiera di specie vegetali dal fascino lucreziano. Vi si può apprezzare un lungo pergolato di grappoli di glicini pendenti, i cui diversi colori formano un meraviglioso quadro di natura botanica vivente, mentre secolari ficus e pini secolari alimentano una dimensione pressoché estatica.
È la sinfonia di odori, colori, visioni che ha avvolto l’anima del poeta, facendolo vibrare come un’arpa.
Splendida la rievocazione di Vincenzo Consolo:
Alla casa dei Piccolo si arrivava per una ripida stradetta a giravolte, bordata di piante, iris, ortensie, che finiva in un grande spiazzo dove era la porta d’ingresso su una breve rampa di scale. Oltrepassata questa, ci si trovava subito nell’unica sala che per tanti anni conobbi. Era una grande sala dalle pareti nude, senza intonaco, e il pavimento di cotto. Sulla destra, vicino a una finestra, tre poltrone di broccato e velluto controtagliato dai braccioli consumati attorno a un tavolinetto. Al muro, un monetario siciliano di ebano e avorio; più in là, un grande tavolo quadrangolare con le gambe a viticchio e con sopra panciuti vasi Ming blu e oro, potiches verdi e bianche, turchesi e rosa della Cocincina, draghi, galli e galline di Jacobpetit. Di fronte, sulla sinistra, una grande vetrina con dentro preziose ceramiche ispano-sicule, di Deruta, di Faenza. Negli angoli, colonne con sopra mezzibusti di antenati. Sopra le porte che si aprivano verso il resto della casa, medaglioni del. Màlvica, bassorilievi in terracotta incorniciati da festoni di fiori e di frutta a imitazione dei Della Robbia. E ancora, per tutte le pareti, ritratti a olio di antenati o quadretti a ricamo o fatti delle monache coi fili di capelli.
I Piccolo avevano un sogno: che il luogo amato e arieggiato dal mare fosse abitato da fatine svolazzanti, elfi, folletti, gnomi e genietti: divinità boschive e campestri quale segno di una natura magica e occulta al visibile. È l’incontro continuo di una complessa vita psichica in cui agiscono le dinamiche dell’inconscio.
Loro avevano dimestichezza con le meraviglie del fantastico, non distinguevano l’al di là dall’al di qua ed erano attratti dal mondo invisibile.
Colti e poliglotti, cavalcavano le nuvole alla ricerca di chimere. E Casimiro dipingeva ad acquarello il suo universo mentale fatto di spiritelli chiamati “elementali”, riferisce Bent Parodi.
Capo D’Orlando, dunque: un angolo suggestivo di Sicilia idealmente collegato all’Irlanda di Yeats e delle sue fiabe.
Chi è il poeta Lucio Piccolo
Estroso e bizzarro Lucio Piccolo, dedito a letture esoteriche e di magia con la disposizione alle evocazioni spiritiche.
Estremamente colto, è poeta “lirico visionario” e musico che intrattenne, sin dal 1930, rapporti epistolari con William Butler Yeats. Credendo alla pari dignità fra tutti gli esseri animati (uomini ed animali), di notte evocava fantasmi; tentava di fotografare gli ectoplasmi dei suoi amatissimi cani, i quali alla loro morte venivano sepolti in un angolo del giardino che fa da cimitero con lapidi su cui sono scolpiti i loro bizzarri nomi. Un’immersione la sua nell’anima della natura: animismo e naturalismo le qualità dominanti di una realtà bucolica in cui videro la luce le sue liriche. Lucio è l’autore dei Canti Barocchi, di Gioco a nascondere, di Plumelia ed altre raccolte.
Dapprima c’era stato il rapporto con Eugenio Montale a cui il poeta aveva inviato nel 1954 9 Liriche: erano uscite in un libriccino “stampato da una sola parte del foglio e impresso in caratteri frusti e poco leggibili” dallo Stabilimento Tipografico Progresso di Sant’Agata.
Saranno presentate dall’autore di Ossi di seppia al noto convegno di S. Pellegrino Terme del 1956 (16 luglio) e poi con una introduzione al volumetto cui erano state aggiunte altre liriche.
Lucio Piccolo e l’amicizia con Montale
È da Montale che comincia la lettura critica dell’opera di Lucio Piccolo; proprio lui a Montale aveva scritto:
Nelle mie liriche e specie nel “gruppo dei canti barocchi” (…) era mia intenzione di rievocare e fissare un mondo siciliano, più propriamente, anzi, palermitano, che si trova adesso sulla soglia della propria scomparsa. Intendo parlare di quel mondo di chiese barocche, di vecchi conventi disusati, di anime adeguate a questi luoghi, qui trascorse senza lasciar traccia. Ho tentato non quasi di rievocarlo ma di dar di esso una interpretazione sui ricordi d’infanzia.
Si deve a Natale Tedesco il merito di averne parlato con acume critico nell’accurata e pregevole opera Lucio Piccolo. La figura e l’opera (Pungitopo, Marina di Patti – ME - 1986). Strettamente tecnica la sua indagine che puntualmente si sofferma a considerare ascendenze e connessioni a livello testuale e intertestuale.
Il colloquio con la natura è onirico e, nel contempo, concreto. Invano il poeta tenta di fermare “l’immobile mutevolezza del creato”:
La sua poesia è dunque memoria della terra, un sogno ancora caldo della vita, ma che vita non è più.
Nello scritto di Tedesco va sottolineata la documentazione che mette il lettore a stretto contatto con molti dei componimenti di Lucio Piccolo.
Lo conclude infatti un’antologia delle opere unitamente a una succinta biografia e ricca bibliografia. La singolarità dei modi degli attacchi di montaliana memoria, il gioco di lussurie figurali, le tipiche interrogazioni metafisiche alla Guillén, i resti della Sicilia barocca “che hanno educato l’occhio del poeta”, nonché le ombre di un mondo evanescente con semantiche e stilemi crepuscolari sono appena alcuni aspetti evidenziati dal critico.
Così poi Sciascia ha approfondito l’osservazione di Tedesco:
Da Natale Tedesco venne poi un nome che meraviglia sia sfuggito a Montale, ed è senza dubbio quello del poeta contemporaneo che Piccolo può sentire più vicino: Jorge Guillén. Piccolo dirà forse che non è così, che più che Guillén lui si sente vicino a Montale; ma a me pare che appunto Guillén sia il poeta che permette di tracciare la più attendibile genealogia barocca della lirica di Piccolo. E si sa che Guillén appartiene a una generazione poetica particolarmente compatta negli intendimenti, oltre che nei rapporti personali, che è denominata “generazione del ‘27” poiché appunto nell’anno 1927 essa raggiungeva e formava, dice Damaso Alonso, c“omo un sistema che el amor presidia”. Questo sistema, questa unità, trovò espressione figurativa nella celebrazione del centenario della morte di Góngora..."
Suggestiva la pagina in cui lo scrittore racalmutese dice che fu Damaso Alonso a riportare in auge la poetica di don Luis de Góngora:
Il quadro, così come ce lo dà Damaso Alonso, è straordinario: e credo ci starebbe benissimo dentro Lucio Piccolo, fisicamente, oltre che per congenialità e affinità poetica. E se, a Leonetta Cecchi, Piccolo pare un personaggio del Greco, io starei piuttosto per Velàsquez, che è poi il pittore che ci ha tramandato l’immagine di Góngora. Il Greco è troppo mistico, e Piccolo, nonostante tutto, non lo è. O meglio: lo è peculiarmente, nel senso che Salinas indicava in Góngora: mistico della realtà materiale
La realtà per un poeta barocco viene soppressa nel punto stesso della massima esaltazione. È il caso di Piccolo che, sciogliendosi dall’ambiente in cui vive, arriva alla perfezione.
Liriche suggestive, le sue, a leggersi: fanno amare la natura e gli stati d’animo evocati, espressi con una parola ricca di linfa quanto mai depurata da ogni sua scoria. Lucio Piccolo ha fatto dunque poesia, ascoltando il mistero della vita con la superiorità del distacco.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: La famiglia Piccolo della Calanovella: la storia degli ultimi Gattopardi
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