Dal 15 maggio al cinema il film L’infinito, scritto, diretto e interpretato da Umberto Contarello. Nonostante sia un neofita nella regia e anche nella recitazione (così si auto appella con un pizzico di piacere e stupore nel dichiararlo), il nome è assai noto in quanto sceneggiatore di successo, nonché premio Oscar nel 2014 per miglior film straniero per “La grande bellezza”, sceneggiatura scritta insieme a Paolo Sorrentino.
Recensione del libro
La grande bellezza
di Paolo Sorrentino e Umberto Contarello
Umberto Contarello, da sceneggiatore a regista e attore. Com’è nato il film
Annoiato, probabilmente annichilito da un periodo di crisi artistica e personale, Umberto (per gli amici Umbe, si apprenderà nel film) proprio durante una telefonata in cui inonda Paolo (il Sorrentino, appunto) di elucubrazioni depressive, forse per gioco - che tra due esista una grande complicità ludica ormai è assodato e si legge chiaramente tra le righe di tutto ciò che scrivono insieme - riceve dall’amico la chiave di volta: “stavolta il film lo fai tu!”. Poi accade che Danilo Rea, compositore e musicista, sollecitato dal Contarello, amico di vecchia data, proponga un tema musicale appositamente creato per l’idea de L’infinito: ecco che all’ascoltare della melodia, allo sceneggiatore spuntano lacrime e scintille creative a far mutar l’idea in parole e immagini.
Le creature spesso nascono per caso, come le idee che da piccole ispirazioni o intuizioni, nella trasfigurazione di un artista, diventano storie o visioni, così per caso e forse anche per gioco, oppure semplicemente perché così deve andare. E il film Umberto Contarello lo fa veramente.
“L’infinito”: recensione del film di Contarello
Definito "narcisista e dal genio sprecato", in riferimento al neonato lungometraggio, da Mereghetti che certamente di cinema se ne intende, in una critica spassionata e smaliziata apparsa sul Corriere della Sera qualche giorno fa, lo stesso critico conclude il suo articolo definendo il film “sfuggente e inclassificabile, ma curioso, molto curioso”. Inclassificabile suona come originale e non definibile e ciò che non è definibile non è mai banale, e se un film poi è curioso di sicuro curiosità provoca, e io sono corsa a vederlo, nella bellissima serata di presentazione alla presenza dell’autore Contarello e del musicista Rea, nello storico cinema Greenwich di Testaccio a Roma, dove rimarrà per i prossimi giorni, così come in altre sale nei cinema italiani.
Ci si entra lentamente nella storia raccontata e fotogramma dopo fotogramma, parola dopo parola, tra qualche battuta divertente che fa ridere di cuore, e malinconici agguati che quel cuore lo fermano per qualche istante, si viene catturati dall’infinito di un tempo sospeso, finito per caso in una pellicola in bianco e nero dalla fotografia accattivante, illuminata da una luce a tratti surreale e da pause rosse, in una Roma abitata da piazze deserte e da un fiume vivo dove però la morte accade, e con personaggi che danzano tra il reale e l’onirico. Una storia dove il protagonista si mette a nudo con coraggio e autoironia, mostrando le fragilità di un uomo in un momento di necessari, o forse solo inevitabili, bilanci esistenziali, ma anche finanziari, almeno per pagare il suo fedele maggiordomo.
Strepitosi i duetti casalinghi tra i due, così come i dialoghi, degni del miglior teatro dell’assurdo, tra il produttore e lo sceneggiatore in cerca di un incarico che conferisca ancora valore a quel suo modo di concepire le storie da raccontare.
Umbe è un uomo che fa i conti con la cruda realtà mai clemente con le anime astratte, mostrando una fragilità che potrebbe appartenere a chiunque, sebbene il ritratto del protagonista non sia proprio di un uomo qualunque ma la biografia di sé stesso, e quel sé è un giocoliere della parola, che fa del suo lavoro poesia e della sua poesia esistenza.
Qualcuno afferma umorismo alla Kaurismaki, qualcun altro lo associa a Jim Jarmush, in effetti le contaminazioni artistiche si notano, nell’ironia raffinata, nella modalità di far scorrere la pellicola con il supporto di una musica che non funge solo da colonna sonora, midollo della storia stessa. Ma c’è dell’altro: i primi piani, per lo più del protagonista (a conferma della diagnosi di narcisismo proferita da Mereghetti), uno sguardo provocatoriamente espressivo che comunica personalmente con lo spettatore, sfruculiandolo, ad evocare qualcosa che
L’infinito di Contarello ruba con maestria al mondo infinibile dell’arte cinematografica quella meravigliosa comunicazione intimista dei migliori autori della Storia del Cinema attraverso i volti; e sì perché ogni creazione originale in fondo viene ispirata dall’esistente e la bravura consiste nel saper rappresentare nel proprio modo ciò che è universale. Umbe, il protagonista del film, dallo sguardo bambino e atavico, è un filosofo e un poeta, ma anche fallibile, con i suoi eccessi e le sue incapacità relazionali, in una fase decadente della propria esistenza, dove però a volte gli basta poco per sorridere di sé. Un uomo che nasce dall’idea del suo autore che a un certo punto decide di dirla tutta, facendolo con leggerezza e poesia e con tutta l’autoironia di cui l’umanità dispone come primo movente di salvezza. La bellezza ci salverà, diceva l’immenso Dostoevskij e l’ironia fa altrettanto, ogni volta. Questo film è bellezza e anche ironia, è malinconia e solitudine, è una scalinata in salita che affanna la vita, e una casa luminosa dove poter ricominciare accogliendo, una storia da godere con leggerezza, complicità e benevolenza, perché il geniale Contarello ha voluto lasciare un testamento di fragilità umana universale attraverso il quale ognuno di noi può far pace con la parte meno amabile di sé.
“L’infinito”: trailer del film di Contarello
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “L’infinito”: recensione del film di Umberto Contarello, sceneggiatore di “La grande bellezza”
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