Che cosa è letteratura e che cosa è vita? Questo è uno degli interrogativi sul quale ritornano, come una costante, tutti i libri di Javier Marías.
Lo scrittore e giornalista spagnolo, tradotto in tutto il mondo, avrebbe compiuto settantadue anni, ma ci ha lasciato prematuramente l’anno scorso.
Gli rendiamo omaggio ricordando la sua definizione di letteratura.
Secondo Javier Marías lo scopo della letteratura è quello di soddisfare il bisogno che qualcosa si possa raccontare in modo completo, senza che la realtà cambi improvvisamente volto. Il fascino della letteratura per Marias risiedeva nella capacità di presentarci una versione indiscutibile dei fatti sfidando la palese inconoscibilità del reale. L’oggetto della sua scrittura era sempre quanto vi è di più indecifrabile: la contraddizione, il paradosso, l’ambiguità, la differenza sottile tra il volere e il non volere, il desiderio che prende vita e si avvera solamente attraverso la distanza dalla persona amata.
Per questo motivo i romanzi di Marias sono pieni di riflessioni psicologiche e sociali, di digressioni e spesso si sviluppano in una serie di sottotrame secondarie che apparentemente si discostano dalla trama principale, ma in realtà ne rappresentano lo svolgimento e il necessario completamento.
Uno dei temi principali nei romanzi di Javier Marías è la possibilità di indagare le possibilità rimaste inespresse nella vita.
Javier Marías: cos’è la letteratura?
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Nella postfazione a uno dei suoi libri capolavoro Domani nella battaglia pensa a me , edito in Italia da Einaudi nel 2013, Javier Marias inserisce una riflessione sullo scopo della letteratura in cui indaga la realtà, l’immaginazione e la sospensione dell’incredulità necessaria al patto segreto tra autore e lettore.
L’intervento si intitola Quello che succede e quello che non succede ed è tratto da un discorso pronunciato a Caracas il 2 agosto 1995, durante la cerimonia di consegna del Premio Gallegos.
Il testo inizia così:
Forse non è la cosa più sensata, da parte di uno scrittore che scrive soprattutto romanzi, confessare che gli sembra sempre molto strano non soltanto scriverne, ma anche leggerne.
Marías definisce il romanzo come un genere “ibrido e flessibile”, cui ci siamo abituati sin dal 1605, quando fu pubblicata la prima parte del Don Chisciotte. Perché continuiamo a leggere romanzi, e ad apprezzarli, e a prenderli sul serio in un mondo sempre meno ingenuo? Lo scrittore risponde:
Noi persone forse consistiamo tanto in ciò che siamo quanto in ciò che siamo stati, tanto in ciò che è verificabile e quantificabile e rammemorabile, quanto in ciò che è incerto, indeciso e sfumato, forse siamo fatti in egual misura di ciò che è stato e di ciò che avrebbe potuto essere.
Javier Marías ritiene che solo la finzione riesca ad esprimere tutto questo e che il romanzo sia il genere privilegiato di finzione, perché riesce a rendere reale tutto questo e a sottolinearlo portandolo alla nostra coscienza.
Uno dei punti di forza della narrativa di Marias è porre in evidenza l’inconoscibilità del reale: tutto, osserva lo scrittore, alla fine si riduce al nostro punto di vista, alla nostra soggettività, che non è mai né parziale né obiettiva. Anche la nostra percezione e memoria delle persone è destinata a modificarsi nel tempo, addirittura può svanire.
Uno degli snodi chiave del libro capolavoro di Marias, Domani nella battaglia pensa a me, si basa sul fatto che noi crediamo di conoscere qualcuno, ma in realtà non lo conosciamo davvero, anzi, non lo conosciamo affatto.
Vivere nell’inganno è facile ed è la nostra condizione naturale.
“Chi era Marta?” questo l’interrogativo che attraversa le pagine del libro, il cui titolo è tratto da una citazione del Riccardo III di William Shakespeare, si tratta della maledizione che la regina Anna scaglia sul re che l’ha fatta uccidere.
Il protagonista, Victor, assiste alla morte improvvisa di Marta, una donna che conosce appena, mentre si trova una sera in casa sua in veste di amante clandestino. Lei è sposata con un uomo che al momento si trova a Londra per lavoro, ignaro di tutto. Traumatizzato dalla morte improvvisa, Victor si arrovella su questa domanda “Chi era Marta?” e il lettore viene avviluppato nella sua angoscia. Ma l’abilità di Marias risiede nella capacità di trascinarci in una rete di inseguimenti, pedinamenti, indizi non risolutivi e, soprattutto, di tradimenti. L’intero romanzo si fonda sulla consapevolezza che la realtà in cui viviamo e siamo immersi è, in verità, illusoria: cosa è vero e cosa è finzione? Cos’è letteratura e cosa è vita? Per tutto il romanzo Marta ritorna come uno spettro, è l’immagine di qualcosa che avrebbe potuto essere e non è stato: nella domanda Chi era Marta? è racchiusa l’essenza della letteratura.
Javier Marias ci trascina nel mistero insondabile del cuore umano con un periodare lungo, una scrittura lenta che si avviluppa e riannoda continuamente su sé stessa. Una scrittura che lotta sempre, stoicamente, contro l’evanescenza del vivere.
Di quasi nulla resta traccia, i pensieri e i gesti fugaci, i progetti e i desideri, il dubbio segreto, i sogni, la crudeltà e l’insulto, le parole dette e ascoltate e poi negate o fraintese o travisate, le promesse fatte e non tenute in conto, neppure da coloro a cui sono state fatte, tutto si dimentica o si estingue.
Ciò che ci spinge a raccontare, quindi a scrivere, secondo Marias è il bisogno di certezze, per cui la finzione - nella sua irrealtà - ci appare più reale della realtà stessa perché ci dà rassicuranti sicurezze, con la sua affidabilità e completezza si oppone alle costante del dubbio. La narrativa, in sostanza, ci permette di “comprendere”.
Javier Marias racconta sempre una realtà, presente e tangibile, che tuttavia sfugge nel momento stesso in cui accade. E la racconta anche per impedire che qualcosa vada perduto per sempre.
La letteratura è dunque una lotta contro l’indeterminatezza e la mancanza di senso della vita. Javier Marias osserva che attraverso il racconto un fatto non appartiene più solo al narratore, ma diventa patrimonio comune, pone in relazione narratore e ascoltatore, scrittore e pubblico. Attraverso la codificazione del linguaggio viene garantita la permanenza dei nostri ricordi; le parole trascendono il contatto fisico, umano, diventano qualcosa di superiore, una possibilità di eternare l’istante.
E quanto poco rimane di ogni individuo nel tempo inutile come la neve scivolosa, di quanto poco rimane traccia, e di quel poco tanto si tace.
Solo colui che racconta, secondo Javier Marias, acquisisce il diritto di spiegare la realtà attraverso una prospettiva mostrando che tutto può essere compreso; è questo il grande sortilegio della letteratura che così riesce a farci vedere chiaramente nel mistero più fitto, può farci perdonare persino le cose più infami e ci permette di continuare a vivere poiché, attraverso il racconto, abbiamo assimilato e abbiamo compreso. Tramite i suoi romanzi Javier Marias ci ha spalancato finestre di possibilità, mostrandoci un mondo possibile, anzi, tutti i mondi possibili di cui è composta anche la nostra vita fatta, in egual misura, di ciò che avrebbe potuto e può essere.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Qual è lo scopo della letteratura secondo Javier Marías
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