Elena Guerrini, regista e attrice di cinema e teatro, scrittrice maremmana, ideatrice del Teatro col baratto e di molto altro mi ha concesso, dopo alcune peripezie tra impegni professionali e incidenti, una spericolata e gentile intervista, densa di poesia e di buoni semi rivoluzionari.
Elena Guerrini fra libri e teatro
Elena Guerrini, oltre alla sua professione di attrice, ha pubblicato Orti Insorti. In giardino con Pasolini, Calvino e mio nonno contadino (Stampa Alternativa, 2009), Bella tutta! I miei grassi giorni felici (Garzanti, 2012) e altre pubblicazioni realizzate alla conclusione di performance e scuole di scrittura poetica. Elena poi, da tempo, conduce la rubrica “Appunti Teatrali” su il blog dols.it.
Dopo la laurea in Metodologia della Critica dello Spettacolo al DAMS di Bologna, ha arricchito la sua formazione con esperienze internazionali, tra cui un anno di studio in Inghilterra alla Coventry University. Ha iniziato la carriera teatrale nel 1994 con il Teatro Valdoca e ha lavorato nella compagnia di Pippo Delbono, partecipando a tournée in Italia e all’estero e a spettacoli di grande rilievo come "La Rabbia", "Barboni" e "Guerra." Nel cinema ha interpretato ruoli in film come “Il testimone dello sposo” (P. Avati, 1997), “I vesuviani” (P. Corsicato,1997) e "L’imbroglio nel lenzuolo" (A. Arau, 2008).
Nel luglio scorso, in occasione della ventottesima edizione del festival Inequilibrio, a cura della Fondazione Armunia con il sostegno di Ministero della Cultura, Elena ha presentato in prima nazionale, nella cornice della Sala del Cielo del Castello Pasquini a Castiglioncello, la pièce Può sempre servire non si sa mai. Archivio sentimentale della casa di famiglia. Qui Elena e il suo pubblico si cimentano e si confrontano riscoprendo l’uso di oggetti quotidiani – spesso dimenticati nelle soffitte e nelle cantine – per esplorare la memoria collettiva e individuale.
“Orti Insorti” e le sue “fresche e verdi pagine”
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Pubblicato da Stampa Alternativa nella iconica edizione Millelire nel 2009, Orti Insorti è diventato negli anni un spettacolo teatrale di successo con oltre 1.600 repliche, diretto e interpretato da Elena, che si conclude con un minestrone cucinato in scena e consumato con il pubblico. Il libricino ha una introduzione del botanico e scrittore Libereso Guglielmi (1925-2016), conosciuto come "il giardiniere di Calvino" per la sua lunga amicizia con Italo Calvino e con il padre che dirigeva in Liguria la stazione sperimentale di floricoltura. Ha scritto Gugliemi:
Carissima Elena [...] In questa età del cemento e del profitto è bello leggere le tue fresche e verdi pagine pagine [...] che descrivono un’età del pane, quella della nostra civiltà contadina che era sporca di terra e aveva un grande rispetto per Madre Natura.
La postfazione è di Pia Pera (1956 – 2016), scrittrice, saggista e traduttrice italiana di grande rilievo. L’orto di un perdigiorno. Confessioni di un apprendista ortolano (Ponte alle Grazie, 2003) è un romanzo di Pia Pera che - con i racconti di Calvino, di Gugliemi e le poesie di Pasolini - ha ispirato la Guerrini.
Ha scritto Pera alla Guerrini:
Quello che connette Orti Insorti al resto [...] è un certo spirito di rivolta, quasi un rinacquero contro l’insopportabile camicia di forza imposta dal modello seriale – industriale - di bellezza. [...] Quello che cerchi nell’orto, va ben oltre l’orto. È l’insurrezione, l’urlo liberatorio.
È la storia di nonna Gina, di nonno Pompilio, della nipotina Elena e del loro orto. Ricorda Guerrini:
La nonna mi metteva nella carriola e giù pe’ la discesa delle fonti pe’ andà alla terra del nonno do dove si vedeva il mare dell’Argentario [...[ lì accovacciata facevo merenda con in mano una fetta di pane duro, bagnata nel vino e co’ sopra lo zucchero.
“Bella tutta!”, un testo di rivendicazione
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Sono nata in Maremma, una terra piena e nutrita, una terra di briganti, di marinai, di pittori, di profeti e di contadini, una terra dove gli uomini vanno tutto il giorno a caccia e le donne stanno in cucina a fare gli arrosti e i tortelli, i dolci e le corna ai mariti, che sono tutto il giorno a caccia. In queste terre un tempo le donne avevano i fianchi larghi e i visi rubicondi, come nei quadri di Giovanni Fattori.
Così la Guerrini, scrivendo della sua terra, rivendica il suo viso colorito e la larghezza dei fianchi.
Il libro, scritto come un romanzo, è pure diventato un spettacolo di successo, diretto e interpretato dalla stessa Elena nelle vesti di Winnie Plitz, una donna morbida e tutta curve, stretta in un vestitino rosa in una stanza rosa di bambola, che non intende per nulla vivere affamata, morire giovane e lasciare un bel cadavere.
L’intervista a Elena Guerrini
Quella che segue è l’intervista a cui ho sadicamente inchiodato Elena Guerrini per rispondermi dal letto di convalescenza dopo un incidente che le ha procurato una frattura alle costole.
- Prima domanda di rito nelle mie interviste. Salinger, ne "Il giovane Holden", scriveva: “Quelli che mi lasciano proprio senza fiato sono i libri che quando li hai finiti di leggere vorresti che l’autore fosse un tuo amico per la pelle e poterlo chiamare al telefono tutte le volte che ti gira”. Elena Guerrini chi chiamerebbe al telefono? Per dirgli cosa?
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Chiamerei Pia Pera. Le direi dello stato della terra, di come il mondo sembra aver smarrito il ritmo delle stagioni e le persone la capacità di comunicare cuore a cuore, di come il giardino sia per me uno spazio dell’anima e della cura. La chiamai davvero 19 anni dopo aver letto il suo libro L’orto di un perdigiorno. Era un libro splendido che non si limitava a raccontare l’orto, ma un modo di vivere e imparare a morire e rinascere ogni giorno. Le sue verità mi appartenevano. Da quella telefonata nacque una grande amicizia, culturale e profonda. Da allora ogni volta che vedo la luce filtrare tra le foglie sento che le sto ancora parlando. La sua voce continua a germogliare .
- Sei maremmana di nascita e di carattere. C’è qualcosa in te del tuo conterraneo Bianciardi? Riprendendo “La vita agra”, se tu potessi, naturalmente in senso metaforico, quale grattacielo simbolico faresti saltare?
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Un giornalista de “Corriere della Sera” che mi ha intervistato a Milano anni fa, dopo aver sentito il mio accento Maremmano mi ha soprannominato “La bianciardina”, secondo lui parlavo come il collega Bianciardi, che aveva conosciuto da giovane in una redazione . Qualcosa di Bianciardi credo di averlo nel sangue, sono nata nella stessa terra selvaggia e aperta. Lui aveva quella rabbia lucida, quella malinconia ironica e l’amore per l’umanità che non riesce a stare zitta davanti alle ingiustizie. Io, nel mio piccolo, quella rabbia e malinconia ironica cerco di portarla in scena con le mie narrazioni, nelle parole, nei gesti, nei silenzi.
Se potessi far saltare un grattacielo farei saltare quello dell’indifferenza, dell’incomunicabilità, in un mondo dove tutto è comunicazione non c’è più dialogo. Quel grattacielo fatto con mattoni di cinismo, cemento di paura e vetri di egoismo. Quel grattacielo che ci separa gli uni dagli altri, che ci fa credere che non ci sia alternativa alla rassegnazione. E sulle macerie di questo grattacielo ci farei un grande orto, e un teatro, ci metterei un tavolo lungo dove tutte le persone possano collaborare, mangiare e raccontarsi.
- Raccontaci del tuo incontro con Libereso Guglielmi, il giardiniere di Calvino, e dell’idea di scrivere e poi interpretare in giro per l’Italia lo spettacolo "Orti Insorti".
Libereso Guglielmi è stato per me come un seme raro. Sono andata a trovarlo a Sanremo, cercando il suo nome e numero in elenco telefonico, mentre stavo facendo le mie ricerche per scrivere Orti Insorti. La sua casa giardino era piena di piante e libri. Mi ha accolto con il sorriso sulle labbra e la terra sotto le unghie. Abbiamo parlato di semi, di libertà e di come si può cambiare il mondo partendo dall’orto. Il suo fare lento mi ricordava mio nonno Pompilio, classe 1904, aveva in sé leggerezza e saggezza. Abbiamo letto in giardino e recitato insieme “Un pomeriggio, Adamo”, il racconto di Italo Calvino a lui dedicato, lui era Adamo e io Maria Nunziata.
Lo ricordo in Orti Insorti, la narrazione dove porto la terra in scena, un manifesto contro il cemento e l’omologazione. Tra poco sarà il ventennale dal debutto di questa narrazione, che è stata replicata oltre 1600 volte in teatri, festival, scuole, gruppi di acquisto solidale. Coltivare la terra è un gesto politico, poetico necessario. Seminare è un gesto di pace. Libereso mi ha insegnato che ogni pianta ha una sua musica, e che chi ascolta la natura capisce meglio anche gli esseri umani. Orti Insorti è una rivoluzione gentile tra terra e teatro.
- La saggista e scrittrice Pia Pera, nel commentare “Orti Insorti”, ha scritto che "quello che cerchi nell’orto, va ben oltre l’orto. È l’insurrezione, l’urlo liberatorio". Elena Guerrini, in questo mondo plastificato, troppo uguale, mediocre e falso, continua a urlare?
In questo mondo troppo social e poco social , pieno di parole e povero di ascolto, continuo a urlare contro l’incomunicabilità. Siamo connessi con tutto ma non ci incontriamo davvero. Con il mio teatro racconto e creo incontri. Continuare a fare la Narratrice oggi, parlare di lentezza, di terra, di umano è atto rivoluzionario e clandestino. Porto l’urlo contro la plastica che ci avvolge, non solo quella che inquina i mari, ma quella che ci copre il cuore.
- A proposito di urlare, hai lavorato con con la compagnia del regista Pippo Delbono negli spettacoli “Urlo” e “Guerra”. Con quale ruoli?
Sì, con Pippo Delbono ho vissuto anni intensi e profondi, a volte dolorosi ma pieni di arte e di vita, partendo da “La rabbia” e “Barboni”, non spettacoli soltanto ma vita che va in scena. Il viaggio con lui, con Pepe Robledo e con tutta la compagnia è stato non solo artistico ma umano. Sono stata per quasi 15 anni parte della compagnia come attrice-creatrice, entrando in scena senza finzione. Con Pippo Delbono si entra in scena con tutto quello che sei, la tua vita, le tue ferite, le tue verità. Il suo lavoro mi ha insegnato che il teatro può essere urlo ma anche abbraccio. Ero in tutti gli spettacoli “Rabbia”, “Barboni”, “Guerra”, “Gente di Plastica”, “Urlo”, “Il silenzio”, “Her bijt”, “Esodo”, e nei suoi film. Ogni persona portava il suo vissuto in scena. Importanti sono state le turnée mondiali in Argentina, Brasile, Venezuela, Uruguay, Cuba, Polonia, Kossovo, fino alla Russia e alla Palestina, esperienze incredibili dove ogni incontro era prezioso e generava storie.
- Nel tuo libro "Bella tutta!" hai raccontato, con lo stile di una romanziera e la voce di un’attrice, la storia tua e dei tuoi chilogrammi di troppo, senza il timore di essere spernacchiata. Anzi! Si dice che la persona grassa sia oltremodo simpatica; è uno stereotipo, ma nella storia della letteratura molti personaggi dei romanzi sono grassi, alcuni hanno successo. L’attrice Elena Guerrini, sul palcoscenico, è una "voce" o carica i personaggi del suo stesso peso?
In Bella tutta!, sia nel romanzo che nello spettacolo, parlo dei corpi veri. Non sono né vittima, né paladina del mio corpo. Sono semplicemente una donna e un’artista che ha imparato ad abitarlo. Il peso oltre i canoni imposti non è un limite, è parte della mia storia e della mia forza. Sul palco lo porto con orgoglio, non cerco di essere perfetta, cerco di essere presente e di dire che ogni corpo ha la sua verità e la sua bio-diversità.
Il romanzo è nato dopo lo spettacolo, che ha girato in molte scuole medie e superiori e ha aperto dialoghi e discussioni su argomenti come: dittatura della taglia 42, anoressia e bulimia, civiltà dell’immagine, bullismo e body shaming, molto importanti da affrontare con il dialogo e l’arte del teatro.
- Il regista Marco Ferreri ti chiamava "treccina".
Marco Ferreri, regista che ho da sempre stimato e studiato, lo conobbi in un seminario all’Università di Bologna, dove ho frequentato il D.A.M.S. Fu lui dopo un’anteprima della proiezione del suo film “Nitrato D’argento” a chiedere a me e a un gruppo di accompagnarlo alla Mostra del Cinema di Venezia a parlare del suo film, come giovani menti aperte al cinema del futuro. Ci ha fatto sedere in sala stampa e parlare al posto suo. Per me che venivo da una piccolo paese della Maremma, Albinia, fu un sogno realizzato. Ferreri mi ha insegnato a guardare il cinema con libertà, senza sudditanze, senza paura di dire quello che pensavamo. Da lui ho imparato che essere veri, anche nel giudizio è già atto artistico. Poi mi invitò a Parigi, diceva che avrebbe voluto darmi una parte in un film, che assomigliavo all’attrice Andrea Ferreol, ma ero meno borghese, più rivoluzionaria, che sarei stata perfetta per il remake de “La grande abbuffata”.
Mi chiamava treccina perché portavo i capelli riccioli e ribelli, raccolti in lunghe trecce afro. Le porto anche adesso, me le fa ogni anno Sara, una signora africana che conosco: è un gesto affettivo ma anche politico, un modo per ricordare che il corpo è identità e resistenza. Ancora oggi, quando mi guardo allo specchio, mi chiamo da sola “Treccina” e rido.
- Quale è stata l’idea forte e propulsiva del tuo Teatro del Baratto?
L’idea del festival “A Veglia teatro del baratto” che si svolge a Manciano e nel suo comune da 19 anni è nata da Orti Insorti. La domenica portavo la narrazione in giro per le campagne toscane, nelle aie e nei poderi, entravo nelle case e portavo questo teatro vagante; il pubblico non pagava un biglietto monetario, ma portava olio, vino, formaggio, ortaggi e prodotti della terra, quello era il mio incasso. Incasso, ai tempi della Commedia dell’arte, era definito tutto ciò che stava in una cassa. Io per due anni ho vissuto senza fare la spesa ma cibandomi dei prodotti ricevuti in dono. Da lì ho capito che il teatro poteva tornare alle origini, alle veglie contadine dove ci si porta la sedia da casa, come faceva mio nonno. Quindi ho creato il festival chiamando artisti che stimavo e conoscevo a far parte di questa utopia. Un festival il cui cuore è lo scambio, l’ascolto e la vicinanza. Non ci sono palchi, né luci, ma solo chi racconta o suona e chi ascolta in raccoglimento e gratitudine in cortili e giardini di case, in un luogo in cui l’arte nutre il territorio e il territorio nutre l’arte.
Dal 2007 ad oggi son passati dal “Festival A veglia teatro del baratto“ artisti di teatro contemporaneo: da Marco Paolini a Guliano Scabia, Moni Ovadia, Iaia Forte, Nada, i Mau Mau, Ginevra di Marco e moltissimi altri che hanno apprezzato questa modalità antica e nuova di teatro sostenibile e circolare. Un modo per rimettere in circolo, valore, relazioni, umanità. Per ricordarci che la cultura non è consumo ma incontro e scambio. Ti aspetto, e con te gli amici di Sololibri, alla prossima edizione ad Agosto 2026.
- Concludendo: qual è il titolo della tua ultima lettura? Qual è il tuo libro del cuore? Stai scrivendo un nuovo libro e allestendo un nuovo spettacolo?
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Il libro che sto leggendo adesso si intitola La fondazione, dell’autore romagnolo Eraldo Baldini, pubblicato nel 2016. In questo testo, pubblicato per Einaudi, il tema degli oggetti dimenticati e della memoria del passato è la parte centrale della narrazione. Te lo consiglio se non lo hai letto.
La mia creatività in questo momento è indirizzata verso la performance più che verso gli spettacoli. Ho creato delle stanze emozionali per poche persone alla volta. “Archivio sentimentale della casa di famiglia”, co-prodotto con il Piccolo Teatro di Milano e Mare Culturale Urbano, dove si vive l’atmosfera della nostra casa d’infanzia, da cui ho pubblicato anche un quaderno di poesie, e “My Secret Diary 80”, una istallazione performativa relazionale sul tema dell’adolescenza, dove gli oggetti diventano portatori di storie e identità per dare forma tangibile all’invisibile, emozioni, ricordi, legami.
Il libro del cuore? Non ne ho uno solo. Forse tutti, forse nessuno. Ne ho oltre 3000 nella mia biblioteca casalinga tra le scale e la cucina, da testi teatrali a testi per l’infanzia, a silent book. Ma non c’è un mio preferito, li rileggerei tutti. Forse il mio libro del cuore sarà quello che dovrò ancora leggere o scrivere o vivere. Ogni volta che apro un libro sento che anche lui apre me. E allora il libro del cuore è sempre il prossimo, quello che ancora non conosco.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Elena Guerrini, autrice di “Orti Insorti” e “Bella tutta!”
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