Francesco Rapiti ha pubblicato "L’uomo delle Favole" con la casa editrice La Ragnatela e oggi ci racconta qualcosa in più sul suo libro e sugli autori che lo hanno ispirato per questo thriller.
- Francesco, parliamo di te: come è nata la tua passione per la scrittura? "L’Uomo delle Favole" è la tua prima opera?
Da sempre ho avuto la passione per raccontare storie e scrivere, è sempre stato il mio sogno nel cassetto fin da quando frequentavo la scuola elementare e un ruolo fondamentale hanno avuto i miei insegnanti, grazie ai quali ho sempre scritto molto in ogni fase della mia formazione scolastica. Scrivere è sicuramente il modo migliore per creare una storia, poiché un libro è espressione totale e non riflessa dell’autore mentre ad esempio un regista narra le vicende sempre grazie al filtro degli attori, i quali, con la propria bravura, lasciano trasparire le emozioni che attraversano i personaggi interpretati, mentre lo scrittore può scolpire, dipingere e definire in ogni dettaglio l’intero romanzo, senza mediazioni né l’ausilio della finzione scenica o di terze persone, si instaura dunque un rapporto immediato e senza ostacoli tra uno scrittore ed i suoi lettori.
“L’Uomo delle Favole” è la mia quarta opera e, sebbene tutti i miei romanzi siano da ricondursi al genere thriller o gotico (che è un genere antico e affascinante, permeato dal sovrannaturale e dal mistero), è arduo trovare qualche analogia tra i miei libri perché si tratta di storie con una personalità ben definita e con personaggi talvolta agli antipodi. L’unica costante può essere ravvisata nel tema della “maschera”, strettamente connessa al tema del doppio. Una simile tematica è stata affrontata magistralmente proprio in un romanzo gotico che amo particolarmente, “Lo strano caso del Dott. Jekyll e Mr. Hyde” di Stevenson. Quando le regole del vivere sociale divengono troppo rigide, troppo oppressive (Stevenson scriveva in piena età Vittoriana che ricordiamo essere un’epoca nella quale perfino le gambe dei tavoli venivano coperte da lunghe tovaglie, perché considerate foriere di pensieri libidinosi, a tanta morigeratezza faceva da contraltare la massima diffusione della prostituzione e delle malattie veneree mai conosciuta in tutte le epoche storiche, nonché alcolismo e degrado), l’individuo crea necessariamente una maschera, una forma rispettabile ed impeccabile che in realtà nasconde una sostanza ben diversa, ricca di sfaccettature, il vero essere dell’individuo che ha anche molti lati oscuri. Tematica che torna ne "L’Uomo delle Favole" perché, come spesso avviene nella realtà, il piccolo centro nebbioso, di fantasia, dove si svolgono le torbide vicende, è appunto una comunità chiusa, protetta, una campana di vetro, una ragnatela di poche strade e pergolati dove tutti sanno tutto di tutti e dove non avviene mai nulla, se non il furto di un chewing gum dentro un supermercato. Sappiamo anche grazie alla cronaca nera come simili luoghi divengano talvolta teatro dei crimini più efferati, compiuti da persone insospettabili.
- Hai altre fonti di ispirazione oltre a Stevenson? Quali autori hanno inciso maggiormente sul tuo modo di scrivere?
Sicuramente Edgar Allan Poe, il primo autore di detective stories e cioè “I Delitti della Rue Morgue” e “La Lettera Rubata”, Bram Stoker, con il suo celeberrimo “Dracula”. In particolare nella storia del vampiro Dracula, la visione del Bene e del Male diviene sfaccettata ed affascinante. Sebbene si tratti di due forze in conflitto, il Male seduce anche i personaggi più positivi ed incorruttibili della vicenda, basti pensare a Jonathan Harker, affascinato dalle tre, crudeli mogli del vampiro.
L’impianto narrativo de “L’Uomo delle Favole” richiama in qualche modo “Dracula”, nel quale Stoker utilizzava magistralmente lo stile epistolare, scomponendo la storia tra tanti personaggi, ognuno dei quali vive le proprie vicende all’insaputa di tutti gli altri. Anche nel mio libro ogni personaggio ha una sua faticosa ricerca della verità e il lettore è il solo ad avere l’intero puzzle degli accadimenti, poiché ognuno dei protagonisti-narratori svela alcune verità, pur restando ignaro di altri segreti celati. Fondamentale fonte d’ispirazione è anche Conan Doyle, autore dei romanzi che vedono protagonista l’infallibile detective Sherlock Holmes. Conan Doyle infatti narra le vicende dal punto di vista di uno dei suoi personaggi ovvero il Dott. Watson e anche "L’Uomo delle Favole" è narrato in prima persona direttamente dai protagonisti. Tuttavia nel mio libro non figura un unico ed infallibile detective, ma, appunto, la storia viene costruita dalle indagini diverse di molti personaggi.
- Quindi non abbiamo un unico protagonista nel tuo libro ma, a mio avviso, chi più di tutti ha un ruolo di primo piano nelle vicende narrate, è il poliziotto John Fahrenheit, personaggio controverso ed insolito per un thriller, che si allontana dall’archetipo dell’eroe, essendo divorato da fobie e fragilità impensabili a fronte di una minaccia come quella raccontata nel romanzo. La prima cosa che mi ha colpito di questo personaggio è il suo nome: perché proprio Fahrenheit?
Fahrenheit è uno dei pochi personaggi ad avvertire il freddo rigido di Little Wood, la fantomatica cittadina ai confini del bosco dove si sviluppano le vicende. Il detective che somatizza il male che promana dai fatti di sangue su cui indaga, è il più sensibile al gelo, che sembra divenire sempre più opprimente, rafforzandosi come una morsa di crimine in crimine, durante la folle escalation di violenza che attraversa le strade innevate, non è solo un fattore climatico-ambientale quanto piuttosto un fenomeno umano, morale, affettivo, metafora di una realtà dove i valori ed i sentimenti sembrano essersi ghiacciati, perduti dentro un bosco nebbioso ed impenetrabile.
Anche il personaggio di Arthur Raven (Raven è ancora una volta un nome simbolico, che indica un modo di essere rapace e feroce, un animo buio come le piume di un corvo, oltre ad essere ispirato al racconto “The Raven” di Allan Poe), rabbrividisce agli spifferi gelidi che filtrano nel suo sconfinato castello solitario. Nel suo caso il freddo, non simboleggia però una condizione umana, bensì la rigida figura paterna, severa ed anaffettiva, foriera di rigide regole che vengono imposte anche con l’uso di punizioni corporali.
- Abbiamo parlato di maschere e volti, secondo te, oggi, i social network sono una maschera da indossare per nascondersi?
Sicuramente sì, infatti grazie all’anonimato delle piattaforme social, gli individui che si nascondono dietro la tastiera hanno piena facoltà di lapidare (non è un’esagerazione dal momento che si parla di “lapidazione social”) personaggi del mondo dello spettacolo, istituzioni o chiunque divenga oggetto di attenzione anche per un caso fortuito.
- Hai menzionato molti autori del passato, sono i tuoi unici modelli di ispirazione? Perché un ragazzo della tua età si rifà al passato e come mai la grande maggioranza dei tuoi coetanei preferisce uno schermo alle pagine di un libro, a tuo avviso?
Gli autori del passato cui mi ispiro erano i pionieri del genere, i creatori di un tipo di letteratura che prima non esisteva. Quindi sono estremamente innovativi, rivoluzionari, a differenza degli autori odierni che si uniformano tutti allo stesso standard, riproponendo talvolta le stesse situazioni e gli stessi personaggi (dei quali cambia di libro in libro soltanto il nome e poco più) già visti in altre storie.
Il motivo per cui i ragazzi talvolta preferiscano film e serie tv ai libri è la forza delle scene, che spesso sullo schermo risultano più vivide, più forti e di impatto emotivo superiore. Personalmente sono un grande amante della cinematografia thriller e quindi ho cercato di dare un’impronta molto cinematografica al mio romanzo, descrivendo le vicissitudini in modo che il lettore abbia la sensazione di vederle scorrere davanti ai propri occhi, come riprese da una telecamera sorretta dai protagonisti, pur non rinunciando all’introspezione dei personaggi che solo la penna dello scrittore può indagare a fondo, dato che la telecamera non può che arrestarsi ad uno strato più superficiale.
- Hai detto di aver scritto solo romanzi di genere noir, thriller e gotico, sempre permeati dal sentimento della paura, come mai questa scelta?
La paura è per antonomasia un sentimento sgradevole, che nessuno vorrebbe provare mai, eppure il genere thriller e horror è molto amato, specialmente dalle nuove generazioni.
Nell’antica Grecia si pensava che la tragedia, proprio portando i sentimenti umani più laceranti e soggioganti agli estremi, provocasse negli spettatori una catarsi, una purificazione, un nuovo equilibrio.
Il genere horror, a mio avviso, svolge oggi la medesima funzione e quindi esorcizza le paure, sia quelle antiche ed innate nel genere umano, sia quelle specificamente legate ai terrori che provoca in noi la società odierna (primo fra tutti quello di essere costantemente valutati, ovvero sottovalutati, giudicati, collocati su una scala numerica).
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Francesco Rapiti in libreria con "L’uomo delle Favole"
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