Un articolo, una recensione, un racconto, un approfondimento scientifico, tanti modi di mettere su carta pensieri e sensazioni; tanti modi così differenti, eppure tanto simili di rappresentarsi. Questo il Rocco Della Corte che traspare dalle risposte. Un giovane “artista” della parola, che ha già acquisito esperienza e competenza tale da confliggere con l’età anagrafica, o forse, per altro verso, un uomo che dimostra come saggezza, maturità e le citate competenza ed esperienza non sono solo frutto dell’anagrafe.
Storia di Ettore L., raccolta di racconti pubblicata dalla casa editrice Scatole Parlanti del gruppo Utterson (2021), sono da gustare proposizione dopo proposizione, ma anche scegliendo casualmente i racconti, perché le storie dell’opera come quelle della vita: pur seguendo una cronologia temporale, non sempre sono consequenziali. L’Ettore di Rocco non ha una sua corte, non è un eroe, ha tanti talloni di Achille e la sua vita non è un’epica odissea, ma stralci dell’esistenza di un uomo, con un nome e un cognome senza un’identità univoca.
- Sei giornalista e direttore di un giornale online. Un “luogo” in cui regna la velocità e lo slogan. Quanto è diverso il modo di scrivere oggi nel giornalismo tra carta stampata e sito e quanto lo scrivere da giornalista è diverso da scrivere un libro?
Prima di tutto direi che un giornalista scrive per metà delle sue possibilità, vagando solo nel campo dell’oggettivo. Con la narrativa, invece, si indaga l’altra metà campo, quella soggettiva, intima, fantasiosa, libera. Il mondo telematico corre più velocemente rispetto a tutti, compresa la carta stampata. La narrativa impone raziocinio e lentezza. Io mi sento piuttosto rapido nel lavoro, più lento nell’animo.
- Queste sono per te le differenze nelle tecniche di scrittura. Ma cosa è per te lo scrivere? Quali obiettivi si pone e quali bisogni soddisfa?
Non ha obiettivi lo scrivere, né soddisfa un bisogno particolare di condivisione, anzi di solito mi vergogno se vengo giudicato per ciò che ho scritto e non sopporto neanche i complimenti in caso di giudizio positivo. Mi imbarazzano. Un racconto è più una “piccola nevrosi”: delle volte mi vengono in mente delle idee che paiono geniali, dei passi di bella letteratura, però magari sono in macchina o non posso fissarle su carta. Chiaramente le dimentico, poi cerco di farle riemergere scrivendo. Ma non è un granché come fatto, me ne rendo conto…
- Hai alle spalle altre pubblicazioni che, però, si possono assimilare più a saggi che a racconti. Cosa ti ha spinto a provare questo nuovo filone?
I saggi sono un rifugio sicuro poiché si contraddistinguono per la loro scientificità. Si può denigrare lo stile, non condividere un assunto, contraddire le conclusioni. Ma è appunto un campo scientifico-letterario che ammette interpretazioni fino a un certo punto. Il racconto, o in generale il romanzo, o piace o non piace. Può arrivare o meno. E questo dipende non solo da chi lo scrive, ma anche dallo stato d’animo di chi lo legge. Questa è stata la spinta nel “provare” tale strada: vedere se senza gli appigli della saggistica riesco comunque a non affogare.
- Un racconto che è una raccolta di racconti. Qual è il filo conduttore di questa raccolta?
La ricerca di una critica feroce da parte di qualcuno. Mi spiego: oggi si fanno tutti i complimenti, promuovono, premiano, erigono sui piedistalli opere di ogni tipo e di ogni forma d’arte, il melenso impazza. Per diventare qualcuno nel mondo dell’editoria devi essere stroncato e accettare con astuzia la stroncatura. Il mio filo conduttore è il modo in cui può reagire il lettore, smontato in una specie di palindromo venuto male, al contrario. Immagino le reazioni diverse di fronte a storie così diverse poi riunificate a fatica.
- L’uomo, la solitudine, il viaggio più interiore che geografico, il treno; questi gli elementi più ricorrenti, ma lo sono nella tua concezione del mondo?
Non ho mai rifuggito la solitudine né il viaggio interiore. Non sono un orso, amo la socialità ma apprezzo anche l’asocialità. Il treno porta gente tutto il giorno, poi la sera va a deposito e si riposa. Rodari la racconterebbe così forse, e io copio con grande orgoglio.
- Passione ed eros sono poco presenti. Timidezza, o …
Volevo fare un omaggio al pudore, per cui non c’è molto di questi temi. Del resto è già abbastanza, in risposta alla timidezza, l’esperienza di fare capolino con questi racconti. Devo imparare molto.
- Hai in programma un romanzo?
Una quindicina. Per ora, tuttavia, ho solamente i titoli. E qualche idea sparsa che si esaurisce dopo una decina di pagine. Potrei già presentarli e rilasciare interviste al riguardo, devo solo scriverli.
- Giornalista, saggista, narratore. Quali altri sentieri della scrittura vorresti percorrere?
Narratore è un po’ forte come etichetta. Diciamo che mi piacerebbe fare della scrittura soggettiva una professione. Al momento devo accontentarmi di "campare" con quella oggettiva, che già non è poco.
- Autobiografismo in Storia di Ettore L. ce n’è?
No, non c’è matrice autobiografica. Tutto è inventato, anche se potenzialmente vero, preciso, o magari ispirato da una realtà riletta, filtrata, interpretata. Non è una contraddizione o un modo di glissare la domanda. Penso che, per dirla alla Pirandello, la vita veramente “non concluda”. Invece queste storie sono concluse nettamente nel bene e nel male, non c’è molto spazio alle prosecuzioni.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Rocco Della Corte, in libreria con Storia di Ettore L.
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