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Storia della letteratura

Il grande Gatsby: un classico eterno

"Il grande Gatsby" è una storia dolce-amara di un eroe "Romantico" nell'America dei ruggenti anni '20. Da questo libro è stato tratto un film di grande successo con Robert Redford e un altro appena uscito nelle sale cinematografiche con Leonardo Di Caprio.

Arcangela Cammalleri
Arcangela Cammalleri Pubblicato il 22-05-2013

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Il grande Gatsby: un classico eterno

Grande nella vita che conduceva

grande nei sogni che accarezzava

non meno grande nella morte

tragica ed assurda.

“Il grande Gatsby” è una storia dolce-amara di un eroe "Romantico" nell’America dei ruggenti anni ’20.

T. E. Eliot accolse “Il grande Gatsby” come:

Il primo passo fatto dalla narrativa americana dopo Henry James.

Da "Il grande Gatsby" di Francis Scott Fitzgerald, pubblicato nel 1925, è stato tratto un film di grande successo con Robert Redford e un altro appena uscito nelle sale cinematografiche con Leonardo Di Caprio.
Nell’immaginario collettivo, per quelli che hanno una certa età, Gatsby è identificato con il grande attore Redford nelle fattezze fisiche e nel comportamento esteriore.

Il libro nelle prime 80 pagine accenna a Gatsby come ad un personaggio quasi fantomatico, ammantato di un passato leggendario e misterioso che al pari di un anfitrione megalomane dà sfarzose feste nella sua villa di Long Island.
L’io narrante è il giovane Nick Carraway che dal Middle West si trasferisce ad est di New York per lavorare in banca come agente di borsa.

Siamo negli Stati Uniti dei ruggenti anni ‘20, quando uscito dalla Grande guerra il paese vive tra il proibizionismo, i fermenti paritari del suffragio femminile, il boom capitalistico, la grande paura del bolscevismo, il gangsterismo: tratti contraddittori di una società in grande trasformazione, dal sogno americano all’ottimismo travolgente che poi alla fine del decennio porterà drammaticamente al tracollo economico tutti. In questo contesto sociale Nick va ad abitare proprio vicino, alla destra della sua villa, al colossale palazzo di Gatsby, una copia accurata di qualche Hótel de Ville della Normandia, con una torre da una parte, una piscina di marmo e più di venti ettari di terreno. Di là la baia della mondanissima East Egg dove abita la cugina Daisy, fanciulla viziata e superficiale e suo marito Tom, fedifrago impenitente, e dove Nick conosce la signorina Baker, giocatrice di golf, con la quale avrà una breve e tiepida relazione amorosa.

Jay Gatsby è un giovane elegante che aveva superato da poco la trentina di cui non si conosce chiaramente l’origine della sua fortuna economica, ma di cui si vociferano loschi traffici ed illecite relazioni.

La ricercatezza nel parlare rasentava l’assurdo, la pelle abbronzata del viso era liscia e attraente, e i capelli corti avevano l’aria di essere aggiustati ogni giorno.

Questo giovane fascinoso ed in fondo solitario, pur essendo circondato da molteplici persone che affollano la sua villa in un continuo andirivieni, serate mondane e scintillanti, nutre in cuore un amore giovanile per Daisy, conosciuta tempo addietro e dalla quale ne era innamorato.

I giovani amanti incuranti del marito di lei si lasciano trascinare da quello che è un sogno d’amore non destinato a durare, un’euforia adolescenziale li porta di nuovo uno nelle braccia dell’altra fino a quando un tragico epilogo porrà fine a tutto ciò (il destino beffardo farà convergere parallelismi in apparenza divergenti). Il giovane Creso, bello come un dio a cui sembra il futuro irridere, nasconde nel cinismo e nell’indifferenza apparenti una sorta di malinconia che fa da sottofondo al suo esistere. Gatsby è l’archetipo del bello e dannato che cova dentro spavalderia mista ad insicurezze e nel suo stesso gioco mondano e disinvolto verrà stritolato dagli ingranaggi di una società privilegiata che mal tollera gli “altri”.

Quello del grande Gatsby è una rilettura tragica: il personaggio assume quasi i connotati del tempo che vive in cui si aspira all’ascesa sociale, a far soldi scegliendo la strade più facili, ma non per questo più semplici, in cui il rischio e il pericolo mordono in continuazione e l’adrenalina iniziale si trasforma in sorta di sfinimento che logora e fagocita le forze. In questo senso la figura di Gatsby, tratteggiata con un particolare scavo psicologico, assurge ad eroe romantico: prima insegue con pervicacia programmatica la scalata sociale, poi insegue un sogno d’amore mai sopito e infine la vita che prematuramente e senza una ragione apparente finisce, come un colosso d’argilla che frana e crepa nelle sue stesse vulnerabilità. Fitzgerald forse senza esserne del tutto consapevole, anche se poi visse vicende familiari travagliate (la moglie Zelda…la malattia psichica, la sua morte accidentale…), ha costruito un carattere umano in cui si fonde l’assurdo con il tragico, crea un vulnus sociale che è anche intimo, dopo l’ubriacatura ottimistica e il parossismo farneticante c’è l’abisso che tutto inghiotte e annulla.

La conclusione del romanzo è amara, ma aperta alla speranza da parte di Nick che, pur nella consapevolezza della caducità delle cose e della fatalità del vivere, il domani sarà foriero di piacevoli aspettative.

E mentre meditavo sull’antico mondo sconosciuto, pensai allo stupore di Gatsby la prima volta che individuò la luce verde all’estremità del molo di Daisy. Aveva fatto molta strada per giungere a questo prato azzurro e il suo sogno doveva essergli sembrato così vicino da non poter sfuggire più. Non sapeva che il sogno era già alle sue spalle, in questa vasta oscurità dietro la città…Gatsby credeva nella luce verde, il futuro orgiastico che anno per anno indietreggia davanti a noi. C’è sfuggito allora, ma non importa: domani andremo più in fretta, allungheremo di più le braccia…e una bella mattina…Così continuiamo a remare, barche contro corrente, risospinti senza posa nel passato.

In tutto il romanzo si respira l’atmosfera ambigua del tempo, quel fervore progressista e rivoluzionario, quel tendersi avanti sempre proiettati nel futuro. Un’America, quella di quegli anni folli con l’americanismo ad oltranza, il successo economico, l’isterismo del guadagno a tutti i costi, la ricchezza come metro di giudizio dove non c’era posto per i poveri, per i falliti, l’illusione che i mezzi di prosperità fossero alla portata di tutti. Ma la crisi era dietro l’angolo… Fitzgerald mette in contrapposizione lo stile libero e raffinato di vita dei ricchi e il loro cinismo brutale (vedi Daisy), la loro volgare ed ottusa moralità. Lo scrittore riesce a dare vita con stile suggestivo a questa galleria di figure letterarie, modulando la scrittura con grande metodo: la tecnica narrativa di usare un narratore esterno mette il lettore-spettatore a un livello di osservazione più alto di quello sul quale stanno i personaggi e quindi da una distanza prospettica ideale.

Forse il tempo ha appannato, ma solo con una leggera patina di polvere questo tipo di romanzi, ma certamente Fitzgerald si eleva un po’ al di sopra di tanti altri scrittori statunitensi più o meno contemporanei.

  • Autore: Francis Scott Fitzgerald
  • Titolo italiano: Il Grande Gatsby
  • Titolo originale: The Great Gatsby
  • Edizione letta: Ed. Oscar Mondadori, Traduzione di Fernanda Pivano

Vedi anche:

  • Il Grande Gatsby, recensione libro
  • -* Il Grande Gatsby: dal libro al film con Di Caprio
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il grande Gatsby: un classico eterno

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