

Si può affermare che, da più di due secoli, correggere le inesattezze raccontate dalle guide turistiche che lavorano a Venezia sia praticamente diventato un genere letterario a sé stante, una sorta di esercizio quotidiano per gli studiosi della città. Fomentare ulteriori polemiche può apparire superfluo, tuttavia ci sono occasioni in cui il silenzio diventa impossibile.
Ci è giunta notizia che di recente, durante una visita a Palazzo Ducale, a un gruppo di turisti sia stato raccontato che "nel 1797, dopo la caduta della Serenissima, i leoni di San Marco li hanno distrutti i veneziani". Una ricostruzione del tutto infondata, eppure esposta con l’aria di chi vuole apparire dotto. È solo una delle tante narrazioni prive di fondamento che circolano tra calli e campielli, ma proprio per porre fine a questa ennesima fola è importante fare chiarezza.
12 maggio 1797: la fine del governo aristocratico veneziano


Link affiliato
Il governo aristocratico veneziano decretò la sua stessa fine il 12 maggio del 1797, e in quella stessa data il popolo della città di San Marco insorse andando a cercare casa per casa i traditori con l’intento di consegnarli alla giustizia e riportare al potere il Doge. Le abitazioni dei fautori della democrazia furono saccheggiate e devastate. Basterebbe anche solo questa osservazione per provare che nelle prime ore della Venezia "democratizzata" i popolani non si accanirono affatto contro le statue del Leone di San Marco, bensì contro i francofili, ma si può aggiungere altro.
Nel suo libro Rivoluzioni della Repubblica Veneta (1799/1800), lo scrittore antinapoleonico Vittorio Barzoni (1767-1843), testimone dei fatti del 12 maggio, racconta che dopo la diffusione delle prime indiscrezioni sull’ultima riunione del Maggior Consiglio i veneziani, pensando che la Serenissima fosse salva, iniziarono a gridare "Viva San Marco!" e ad esporre le immagini del Patrono.
San Marco: santo protettore di Venezia


Link affiliato
Soffermiamoci su questo punto: prima che il simbolo di un governo, il San Marco è innanzitutto una rappresentazione simbolica del Santo protettore di Venezia, perché quindi la plebe veneziana avrebbe dovuto correre a distruggere le sue statue? Nei dominii veneti in Terraferma il Leone rappresentava la sudditanza ai veneziani, ma in laguna non era certo l’effigie di un potere "venuto da fuori". Va anche detto però che in tutta la Terraferma vi furono rivolte popolari antifrancesi in difesa del governo legittimo e del Leone di San Marco; recentemente Ettore Beggiato vi ha anche dedicato un libro: 1797. la Serenissima e l’occupazione napoleonica, che compara i racconti dei memorialisti di ogni provincia.
Ciò detto, nella sua opera Barzoni sottolinea che nelle prime fasi della rivolta veneziana del 12 maggio la situazione si fece più grave proprio quando il popolo vide una stampa che offendeva il Leone di San Marco:
L’insorta Veneta plebe vede in un’Officina di libri un disegno rappresentante l’albero della Democrazia: s’irrita, il maledice, ma non si porta ad alcun eccesso.
Vicino a quello scorge un’altra Incisione sulla quale è delineata una Fanciulla che con ischerno calpesta il Veneto Leone. A tal vista per dispetto di sofferire il servaggio della Patria, non rattiene più il bollente sdegno: assale l’Officina e le stanze superiori, squarcia ogni libro, ogni stampa, ogni carta, mette tutto a ruba, e presenta un orribile specchio del furor del popolo sollevato contro le innovazioni rivoluzionarie.
La sommossa legittimista venne stroncata con la violenza dal governo interinale (cioè di fatto i precedenti governanti), che doveva mantenere l’ordine sino all’instaurazione della municipalità democratica veneziana.
Anche dopo la rivolta, tuttavia, i proclami dei rivoluzionari cittadini continuarono a essere pubblicati con in apertura il Leone di San Marco sino al 16 maggio 1797, giorno in cui s’instaurò la municipalità provvisoria veneziana.


Link affiliato
Il compianto storico Paolo Preto (1942-2019), nel suo saggio Titoli e stemmi: dai leoni di San Marco ai leoni giacobini, raccolto nel volume Proclami delle municipalità venete di Terraferma 1797, edito dalla Fondazione Cassamarca nel 1997, scrive che:
nei primi 4 giorni dopo il 12 maggio 1797 nulla si innova, i proclami del nuovo governo continuano ad uscire con l’intestazione del leone andante, che regge nelle zampe il vangelo di San Marco con la nota scritta Pax tibi Marce evangelista meus.
Il 16 apparve per la prima volta una nuova versione dello stemma: il leone "democratico", che sul libro anziché avere la scritta "Pace a te Marco, mio Evangelista", aveva il motto "Diritti e doveri dell’uomo e del cittadino".
Come anticipato, in Terraferma il rapporto con il simbolo del Leone era diverso: a differenza che a Venezia, nelle città rivoluzionate dai francesi furono effettivamente alcuni facinorosi autoctoni a distruggere statue e immagini (e dopo Campoformido la fede democratica di alcuni di questi vandali sarà per altro castigata dagli austriaci). Ma non tutti negli ex-dominii veneti rifiutavano il vecchio Leone, alcuni democratici moderati rimasero emotivamente legati al governo veneziano: nel Museo Opitergino di Oderzo si conservano i resti di un leone "giacobino" marmoreo e un altro, a Portobuffolè, è invece rimasto imperturbato al suo posto, dimenticato dalla damnatio memoriae voluta dall’Austria.
Ai "giacobini" di Terraferma più incalliti, tuttavia, l’immagine del San Marco sui proclami veneziani continuava a ricordare il dominio di una città sulle altre e furono quindi risoluti nel chiederne l’eliminazione.
Le vere ragioni dell’iconoclastia
Il 26 maggio 1797, durante una riunione della municipalità veneziana, il medico Rocco Melacini o Melancini propose perciò di distruggere tutti i Leoni Marciani presenti nella ex-capitale. Un altro sostenitore della rimozione dei simboli del cessato governo fu Antonio Collalto (1765-1820), che tuttavia si oppose all’estensione di questa iconoclastia alle opere di valore storico e monumentale (Ugo Baldini, Collalto Antonio, in DBI, Vol. 26, 1982). Il 29 maggio il governo veneziano democratico approvò queste richieste avanzate dai suoi membri, e fu indetto un bando per cercare uno scalpellino disponibile a demolire centinaia di statue e a sfregiare altrettanti bassorilievi, targhe e altorilievi. Vinse l’impresa di Beneto (Benedetto) Giraldon, che, per 1982 ducati d’argento, distrusse oltre 1000 Leoni di San Marco.


Link affiliato
Paolo Preto segnala che proprio in quei giorni apparve anche un anonimo Dialogo di Adamo ed Eva in cui il Leone Marciano veniva oltraggiato. Lo scritto circolò prima come opuscolo e fu poi ristampato nel sesto volume della Raccolta di carte pubbliche, istruzioni, legislazioni ec. ec. ec. del nuovo veneto governo democratico (Gatti, Venezia 1797); in queste pagine pregne di fanatismo democratico, al progenitore dell’umanità viene fatto dire:
Finalmente, consorte mia, non abbiamo più davanti agli occhi quella mostruosa chimera, quell’immagine d’un animale che non vi fu mai in natura, già mi capisci, quel Leone con le ali. Non puoi credere quanto m’infastidiva quel mostro: io che primo di tutti gli uomini al mondo ebbi sott’occhio tutte le bestie create dall’Onnipotente, non poteva soffrire in pace quella mostruosità che non è stata mai neppure nella mente di Dio.
Queste parole provano lo scarso livello culturale dell’ignoto polemista, come spiega infatti Margherita del Castillo nel suo articolo Gli animali dell’Apocalisse e i quattro Evangelisti (sempre che ci sia davvero il bisogno di ribadirlo), il Leone alato è un simbolo le cui origini poggiano saldamente sulle Sacre Scritture:
I quattro esseri viventi di cui parla Giovanni nell’Apocalisse devono la loro fisionomia alla fusione di due fonti profetiche: Ezechiele, cui appare il tetramorfo carro del Signore, e Isaia i cui alati serafini intonano il Trisaghion. Saranno poi i Padri della Chiesa a riconoscere in queste creature i simboli degli Evangelisti, contribuendo l’arte paleocristiana a definirne e diffonderne la canonica interpretazione.
Comunque sia, nel dialogo anzidetto, Eva (specchio dei moderati) cerca inizialmente di mediare e di salvare il Leone Marciano:
Todero diceva che bastava mettergli la coccarda, e vestirlo di tre colori senza levarlo integralmente.
Ma Adamo (specchio dei "giacobini") rimane fermo nel suo proposito.
Anche in questo piccolo testo propagandistico si fa riferimento alla fedeltà di una parte dei veneziani (qui ovviamente definiti "cattivi") al governo dei Dogi, temuta dai democratici. Resta il fatto che nella città di Venezia nel 1797 i Leoni di San Marco non furono abbattuti con un moto spontaneo dai popolani e sarebbe assurdo anche solo crederlo; la loro distruzione fu invece imposta – e solo dopo un certo periodo – dalla municipalità democratica veneziana.
© Riproduzione riservata SoloLibri.net
Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: I popolani di Venezia non distrussero i Leoni di San Marco
Lascia il tuo commento