I poeti hanno volti deformi
- Autore: Matteo Mingoli
- Categoria: Poesia
- Anno di pubblicazione: 2017
Matteo Mingoli, poeta, canta la sofferenza e il dolore dell’essere umano. Affonda le mani nel caos e da esso riemerge con versi che a questo caos danno una voce. Versi scuri, cupi, profondi, che provengono dall’abisso che ognuno di noi ha affrontato o dovrà affrontare, in un momento o in un altro della propria vita. Gli scrittori sono gli intermediari tra il sommerso e l’emerso, coloro che scendono agli Inferi e riescono alla luce con parole nuove. È un percorso faticoso, forse è per questo, dunque, che, come ci ricorda il titolo della raccolta di Mingoli, I poeti hanno volti deformi (Edizioni Haiku, 2017). Chi vede nel pozzo e si scontra con la realtà ne porta i segni, ma allo stesso tempo il poeta è il simbolo dell’umanità per eccellenza. Ce lo ricorda Gabriel García Márquez:
“La poesia è l’unica prova dell’esistenza umana”.
I poeti, ci dice Mingoli, “mutano pelli rugose in squame che perdono/ovunque prole e parole al polso grattate”. Mutar pelle significa rigenerarsi, essere in grado di lasciar cadere ciò che ormai è vecchio e non serve più e creare qualcosa di nuovo. È un processo necessario per poter sopravvivere e produrre: far nascere parole come fossero figli.
“ci sono serate di urli nell’aria e ventosissime nuvole
accavallate l’una all’altra il cielo che copre ogni luce
dall’asfalto pozzo nero della strada lo vedo
quell’uomo al sassofono lo vedo suonare in finestra
ed è già tantissimo a pensarci ció che farei se fossi così
ma quest’infinita tristezza che scorre silente e m’avvolge
tra le mie costole il vuoto stringe di artigli a punte fine
e il buio è l’unico posto in cui trovo conforto
così nottàmbulo abùlico passo
la mia esistenza a scioglierla
dai grumi pensosi sul petto”
Gli scenari descritti da Matteo Mingoli sono, come i poeti stessi, sempre deformi: distorti dal dolore, inquadrano il mondo da una prospettiva incentrata su dettagli sofferenti e soffocanti. I compagni dell’uomo sono sempre il buio e il silenzio, quelli che artigliano il petto e allo stesso tempo invitano a rifugiarsi in loro perché percepiti come unica realtà tangibile. Anche ciò che potrebbe assumere un valore positivo è caricato di un’estrema sofferenza:
“amare è come morire
un tanto al giorno
così poco
impercettibile
e comunque maggiore
di quanto poi ciascuno può donare
e chi ama per davvero
senza riserva né premura
senza esser ricambiato
rimane sveglio e non dorme
ma mano a mano
lentamente
muore”
I poeti cantano tutto questo, portano sulle spalle il peso del dolore umano al punto da deformarsi in viso, ma restano sempre “così belli belli davvero”.
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