

Stampa di Pierre Michel Alix, © Musée Carnavalet, Histoire de Paris
Nella folta schiera dei filosofi illuministi il pensiero di Claude-Adrien Helvétius si distingue per dei tratti originali: egli appartiene a un ristretto gruppo di pensatori materialisti e presenta interessanti riflessioni sui principi della morale.
Autori di testi scandalosi che suscitarono le reazioni degli ambienti più conservatori e portarono alla momentanea interruzione dei lavori per l’Enciclopedia, Helvétius offre una dettagliata analisi dello spirito umano e delle sue idee.
La filosofia di Helvétius, inoltre, volge il suo sguardo sulle azioni umane e tenta di conciliare l’interesse di sé con la pubblica utilità, oltre a difendere la legittimità delle passioni e della loro forza vitale.
A 310 anni dalla nascita, avvenuta il 26 gennaio 1715, riscopriamo vita, opere e pensiero del filosofo francese illuminista Claude-Adrien Helvétius.
La vita e le opere principali di Helvétius
Nato a Parigi da una famiglia di origini svizzere Claude-Adrien Helvétius (Parigi, 26 gennaio 1715 – Parigi, 26 dicembre 1771), figlio del medico personale della regina, studiò dapprima con i gesuiti presso il prestigioso liceo Louis Le Grand per poi dedicarsi autonomamente alla poesia. Già in questi anni scoprì e meditò a fondo le opere di Montaigne, La Rouchefoucauld e, soprattutto, il Saggio sull’intelletto umano di Locke, dal quale rimase profondamente impressionato e dal quale trasse spunti essenziali per elaborare la sua teoria della conoscenza.
Dopo gli studi giuridici, lavorò come esattore delle tasse: l’impiego pubblico non gli impedì di frequentare molti salotti illuministi dove circolavano le idee nuove, del quale si fece alfiere. In questi stessi anni pubblica anche l’ Epistola sull’amore dello studio (1737) che poi confluirà ne La felicità, un testo che sarà pubblicato postumo a Londra, insieme allo scritto Sull’uomo, le sue facoltà intellettuali e la sua educazione, dove esalta l’importanza dell’istruzione. Dopo aver operato anche come ciambellano decide di lasciare la vita di corte e si dedica alle sue tenute agricole con frequenti soggiorni in campagna.


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Nel 1758 Helvétius pubblica la sua opera principale, Dello spirito che, per la sua visione sensista e materialista della realtà, viene subito attaccata dalla nobiltà, dal clero e dal mondo accademico più retrogrado. Il clima nel quale l’opera viene alla luce è già molto teso: l’anno precedente, in seguito a un attentato a Luigi XV, le misure sulla censura erano state inasprite e, nonostante avesse ricevuto il nullaosta del censore, la stessa opera di Helvétius, insieme all’Enciclopedia, subì un decreto di condanna fatto approvare dalla parte più conservatrice del parlamento. Molte copie del libro vennero date alle fiamme in pubblica piazza e Helvétius pensò bene di ritirarsi per qualche tempo in Prussia.
La vicenda, però, attirò l’attenzione dell’opinione pubblica, non solo francese: Dello spirito fu tradotto anche all’estero e Helvétius venne accolto con gli onori riservati a un grande filosofo quando si recò in Inghilterra e in Prussia.
Il materialismo e il sensismo di Helvétius
Cosa c’era di così disturbante nell’opera di Claude-Adrien Helvétius? Intanto una visione materialista della realtà ovvero un mondo fisico spiegabile grazie a un unico principio che il filosofo chiama forza della natura. Deista come Diderot e come molti altri illuministi, Helvétius non nega apertamente l’esistenza di Dio, ma lo definisce come il legislatore celeste, come la causa sconosciuta dell’ordine e del movimento, che nulla ha a che vedere con le vicende umane.
A questo materialismo Helvétius associa una teoria della conoscenza di stampo sensista, sulla scorta di Condillac. Egli si interroga su cosa sia l’intelligenza e su quali siano le cause che producono le nostre idee. Per il filosofo esse derivano tutte dalla sensibilità fisica che egli considera come il fondamento di tutta la vita mentale; anche la memoria viene ricondotta alla sensibilità fisica e considerata un suo organo, dal momento che ricordarsi, a rigore, non è altro che sentire.
L’interesse di sé e la visione morale di Helvétius
La sensazione, uguale in tutti gli uomini, può essere intesa anche come l’alternanza di piacere e dolore, quindi come ciò che risveglia l’interesse. Proprio l’interesse è l’elemento che per Helvétius costituisce la base di tutta la vita morale e associata. Nell’intelligenza, quindi, trovano posto non solo le idee che derivano dalle sensazioni, ma anche le idee interessanti per il pubblico. L’intelligenza stessa di un uomo si misura non dalla quantità di idee che egli possiede ma nella sua capacità di selezionarle. Anche in questo caso è l’interesse il criterio che ci permette di discernere le idee: se esse non hanno alcuna utilità, se non sono piacevoli né istruttive, allora non vale la pena neanche averle.
Helvétius anticipa, in qualche modo, l’utilitarismo di John Stuart Mill e vede nell’interesse, per sé o per gli altri, l’unico criterio di scelta valido, tra le idee e quindi anche nelle scelte morali. Le azioni possono essere ritenute virtuose, viziose o consentite, a seconda che derivino da idee utili, nocive o indifferenti per il pubblico, ossia per la società.
Proprio da ciò discende una precisa classificazione delle idee:
- utili sono quelle idee che possono divertirci o istruirci;
- nocive quelle che producono in noi un’impressione contraria;
- indifferenti che non producono più alcuna impressione in noi perché sono diventate, col passare del tempo abituali, o perché, da sempre, risultavano poco gradevoli;
Se l’interesse personale è il criterio di giudizio e di scelta dei singoli, ne consegue che l’interesse pubblico è ciò che determina le posizioni e orienta le scelte di intere nazioni.
Come già avevano affermato Hobbes e Spinoza gli uomini chiamano buone le azioni altrui se gli sono utili, per questo Helvétius parla di una vera e propria legge dell’interesse o dell’amor proprio che regge e governa tutto l’ambito morale.
Lo stesso vale per le società; non solo, il benessere e la saggezza di una società derivano dalle capacità dei propri amministratori di conciliare l’interesse pubblico con l’interesse individuale. Un esempio di società virtuosa Helvétius lo ritrova in Sparta, piuttosto che in Atene: qui le abilità militari, che servivano per difendere la città, erano ricompensate con l’amore delle donne più belle.
Profondo conoscitore dell’animo umano, quanto mai lontano da qualsiasi gretto moralismo, Helvétius ritiene che la prosperità di una società non dipenda dalla capacità di annullare le passioni dei singoli, quanto piuttosto dall’armonizzarle con l’interesse collettivo. Ciò anche perché se un uomo fosse del tutto mancante di passioni sarebbe privato di quel “fuoco celeste che vivifica il mondo morale” e quindi sarebbe ridotto a un bruto. Anche in questo caso Helvétius ricorre a un esempio tratto dal mondo classico: quando Sansone viene spogliato della sua chioma perde tutta la sua forza, la sua eccellenza, ciò che lo rende unico e speciale, ed è così ridotto a un uomo comune.
Con spirito quasi libertino Helvétius ritiene che le passioni non vadano né negate né fuggite, come vorrebbero i moralisti, quanto piuttosto modulate e orientate: se in esse trovano origine i vizi e la maggior parte delle sciagure umane, è da questa follia, quasi divina, che nascono anche le scoperte delle arti e delle scienze, ossia la grandezza dell’anima umana.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Claude-Adrien Helvétius: vita, opere e pensiero del filosofo francese
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