Ritratto di Gottfried Wilhelm Leibniz conservato presso la Biblioteca regionale di Hannover.
Il 14 novembre 1716 moriva ad Hannover (Germania) Gottfried Wilhelm Leibniz, filosofo, giurista, storico e scienziato tedesco. Liebniz è autore dal pensiero complesso e raffinatissimo, mente universale che ha lasciato contributi fondamentali in molti campi del sapere, è ricordato come il filosofo delle monadi.
Estimatore del pensiero antico e profondo conoscitore delle scienze e della logica, Leibniz elabora una filosofia conciliatoria che riesce nel difficile tentativo di accordare le acquisizioni dell’età moderna con concetti scolastici e aristotelici.
Per la ricchezza concettuale delle sue riflessioni e la profondità delle sue domande, Gilles Deleuze ebbe a dire che Leibniz è il migliore rappresentante del barocco in filosofia.
In occasione dell’anniversario della morte, ripercorriamo biografia, opere e concetti principali del pensiero filosofico di Leibniz.
La vita e le opere di Leibniz
Nato in una colta famiglia di accademici Gottfried Wilhelm Leibniz (Lipsia, 1 luglio 1646 – Hannover 14 novembre 1716) mostra fin dalla giovinezza una non comune capacità di apprendimento e un ingegno brillante. Studia filosofia e matematica, per poi laurearsi in giurisprudenza.
Il filosofo si allontana presto dall’ambiente universitario, incapace di appagare la sua curiosità intellettuale, e conduce una vita tanto stimolante quanto irrequieta: nel ruolo di diplomatico viaggia per tutta Europa, dove incontra i principali intellettuali del tempo (Malebranche, Huyghens, Newton, Leeuwenhoek, Spinoza). Fonda poi accademie, come quella di Berlino, diviene bibliotecario dei duchi di Hannover e, spostandosi di corte in corte, consigliere di grandi sovrani come Federico I di Prussia e Pietro il Grande di Russia.
Dopo tanto successo Leibniz muore solo e dimenticato da tutti, dopo che Giorgio Ludovico di Hannover, divenuto ormai re di Inghilterra, gli ha voltato le spalle per opportunismo politico, tributando a Newton il primato nella disputa sulla paternità del calcolo infinitesimale (in realtà Newton e Leibniz compiono la stessa scoperta senza influenzarsi reciprocamente e utilizzando metodi diversi).
Dei molti ed essenziali contributi che Leibniz ha lasciato in varie discipline, quasi sempre nella forma di scritti abbastanza brevi ed estemporanei, risultano imprescindibili per comprendere il suo pensiero:
- il Discorso di metafisica (1686),
- i Saggi di teodicea (1710),
- la Monadologia (1714),
- i Nuovi saggi sull’intelletto umano (postumo).
Perché Leibniz è il filosofo delle monadi
Formatosi negli ambienti della scolastica tedesca, che ancora sopravviveva nel Seicento, Leibniz muove dalla convinzione che sia necessario recuperare il pensiero degli antichi e conciliarlo con quello dei moderni. Egli vuole soprattutto rivalutare temi aristotelici e, pur essendo un razionalista, ritiene insufficienti le scoperte di Cartesio e la convinzione di spinoziana che si dia un’unica sostanza che coincide con la materia e con Dio.
Scopritore dell’energia cinetica, Leibniz, con gli occhi del fisico, nota che nella realtà agiscono una pluralità di forze vive e che tutti i corpi sono caratterizzati da una energia, e da una resistenza che oppongono al mondo esterno. Per questo egli ritiene che la sostanza non possa essere materia e non sia né duplice né unica. Le sostanze (ossia la base su cui si fonda tutta la realtà), per Leibniz, sono le monadi, entità spirituali, particelle semplici, indivisibili, dotate di energia e dinamismo. Le monadi per Leibniz sono infinite e, come la sostanza di Aristotele, sono dotate di una propria finalità interna. Inoltre le monadi sono caratterizzate da due differenti attività:
- la percezione o rappresentazione che, a sua volta, può essere percezione semplice, propria di tutte le monadi, o percezione accompagnata da consapevolezza e coscienza (appercezione), propria solo di quelle particolari monadi che costituiscono gli spiriti e le intelligenze;
- l’appetizione o appetire, ossia la tendenza ad avere percezioni successive;
Ciascuna monade rappresenta tutte le altre, ovvero l’intero universo, ma lo fa a suo modo, esprime tutta la realtà in un suo modo particolare, proprio come tante persone che, guardando la stessa città da punti di vista diversi, hanno di essa rappresentazioni diverse. Ogni monade è, dunque, microcosmo, “specchio vivente dell’universo”, porta così traccia dell’onnipotenza di Dio e, come volevano gli antichi, tutto è in tutto.
Leibniz, che era anche un fine logico, ritiene che se ci fossero due sostanze indiscernibili, esse coinciderebbero, e sarebbero un’unica e identica sostanza (principio di identità degli indiscernibili). Se ogni monade è sostanza, e come tutte le infinite altre si rappresenta tutto l’universo, si differenzia e non coincide con le altre perché è caratterizzata da una differente distinzione delle percezioni, ossia perché rappresenta tutta la realtà in una differente prospettiva.
Le monadi, come abbiamo già notato, sono centri di energia, di attività, atomi spirituali, infinite sostanze che però non occupano uno spazio fisico e non si aggregano, o si disgregano, in base a leggi meccaniche. Esse derivano da Dio, monade primitiva e sostanza originaria (come un centro dei centri, intorno al quale si dispiegano le infinite altre monadi), che le crea dal nulla. Una volta create le monadi sono indistruttibili e potrebbero perire solo se Dio stesso decidesse di annichilirle.
In questo scenario tutto spirituale la materia, che per Leibniz non è una realtà in sé, viene spiegata come la potenzialità propria di ogni monade: solo Dio è attività pura e assoluta, le altre monadi hanno sì un’attività percettiva, ma limitata e imperfetta; la materia consisterebbe, dunque, nella passività propria di ogni monade, nelle sue percezioni confuse. La corporeità e l’estensione, poi, deriverebbero dall’aggregazione delle monadi: come nella fisica una variazione quantitativa, a lungo andare, può dal luogo a una variazione qualitativa (se la temperatura dell’acqua arriva a 70 gradi, l’acqua rimane liquida ma se arriva a 100 gradi l’acqua diventa vapore), così nella metafisica di Leibniz se la quantità delle monadi spirituali cresce oltre un certo livello tale aggregato si manifesta materialmente, anche se la materia rimane solo fenomeno e non ciò che la realtà è veramente.
L’armonia prestabilita e il migliore dei mondi possibili nel pensiero filosofico di Leibniz
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In un passo abbacinante della Monadologia Leibniz afferma che
“le monadi non hanno finestre, attraverso le quali qualcosa possa entrare od uscire”.
Come spiegare allora l’accordo tra anima e corpo, ossia tra monadi spirituali e monadi che vanno a costituire la nostra parte fisica e materiale? Leibniz risponde con la tesi dell’armonia prestabilita che meglio si comprende con un esempio del nostro filosofo: se volessimo garantire la perfetta sincronia di due orologi a pendolo, diversi e non comunicanti tra loro, e volessimo evitare che un orologiaio intervenga continuamente a sincronizzarli, avremmo bisogno di un costruttore che li realizzi in modo così perfetto che possano poi segnare sempre la stessa ora, in piena autonomia e accordo. Fuor di metafora, se non c’è un’influenza diretta tra le azioni e quel che percepiamo o pensiamo, dobbiamo necessariamente supporre un accordo, realizzato da Dio, e armonicamente prestabilito per natura. Se c’è accordo tra quel che le monadi, e a fortiori l’anima che è un aggregato di monadi spirituali, si rappresentano e la realtà esterna, le rappresentazioni delle monadi sono obiettive e non costituiscono un mondo onirico.
Altra domanda fondamentale che ha reso celebre Leibniz è “perché esiste qualcosa anziché il nulla?”. Le cose del mondo sono contingenti, potrebbero esserci o non esserci, e trovano la loro spiegazione in altre cose contingenti (ognuno di noi è stato generato dai propri genitori, questi dai nonni, e così via) tuttavia, per Leibniz, nulla è o avviene senza che vi sia una ragione sufficiente a determinare il fatto che una cosa avvenga o non avvenga così e non altrimenti (principio di ragion sufficiente) quindi la causa ultima di tutte le cose che esistono deve essere Dio, un essere che ha in sé la ragione della sua esistenza e che spiega l’esistenza della realtà, che ha creato.
Il ruolo di Dio nella filosofia di Leibniz è centrale: egli non solo crea il mondo ma crea il migliore dei mondi possibili: egli contempla le sue infinite possibilità (per Leibniz, infatti, potrebbero essere possibili, cioè non contraddittori, infiniti altri mondi) e sceglie, per una necessità morale, l’alternativa migliore, ossia l’alternativa che realizza il bene maggiore e la massima perfezione possibile, nonostante il male, che è un mezzo necessario per realizzare quello stesso fine.
Verità di ragione e verità di fatto nella filosofia di Leibniz
Altro concetto fondamentale della filosofia di Leibniz è la distinzione tra verità di ragione e verità di fatto:
- le prime sono le verità logiche, ad esempio le proposizioni della matematica e della geometria, che si fondano sul principio di identità, di non contraddizione e del terzo escluso, e il cui contrario è impossibile;
- le verità di fatto sono invece le verità contingenti, quelle il cui contrario è sempre possibile (ad esempio: “in questo momento sto scrivendo al computer” è vero ma avrei potuto anche fare altro e ciò non avrebbe implicato contraddizione). Le verità di fatto non si basano sui principi logici ma sul principio di ragion sufficiente, citato sopra.
Ora, la distinzione tra verità di fatto e di ragione vale solo per l’uomo, che ha una prospettiva limitata; per Dio, invece, che gode della prescienza e di una conoscenza perfetta anche dei casi particolari, anche le verità di fatto sarebbero riducibili a verità di ragione.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Gottfried Wilhelm Leibniz: vita e pensiero del filosofo delle monadi
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