Oltre sessanta scrittrici e giornaliste italiane si sono unite in un’azione comune contro la violenza di genere: sino al 3 marzo testate cartacee e online ospiteranno testimonianze e riflessioni per comporre un manifesto collettivo, una specie di #MeToo letterario.
Lo scopo è quello di trovare un nuovo linguaggio che abbia lo specifico intento di abbattere gli stereotipi legati alla cultura patriarcale.
L’iniziativa è nata nel novembre 2023, in occasione della Giornata contro la violenza sulle donne, durante una lettura pubblica presso la libreria romana Tuba nel quartiere del Pigneto. La scrittrice Giulia Caminito e la giornalista Annalisa Camilli hanno deciso di avviare questa azione letteraria in memoria di tutte le donne vittime di femminicidio.
I contributi saranno pubblicati sulle principali testate giornalistiche nazionali sino al 3 marzo, infine verranno raccolti in un volume volto a creare consapevolezza contro la violenza di genere.
Per l’occasione scegliamo di aderire all’iniziativa letteraria collettiva contro la violenza sulle donne proponendovi in lettura un racconto-testimonianza scritto dalla nostra collaboratrice Elisabetta Bolondi.
Contro la violenza sulle donne: la testimonianza di un’insegnante
“Negli anni Novanta insegnavo Lettere in un istituto tecnico di Roma, quartiere Tuscolano. Una classe quinta, tutte ragazze, mi chiese di accompagnarla nella annuale gita scolastica a Venezia.
Viaggio notturno in treno, insieme a un’altra classe, tutta maschile, accompagnata da un docente, il prof X, che non conoscevo: ero da poco arrivata in quella scuola.
La mattina, arrivati nell’albergo che era stato prenotato per noi, ci fu un primo disguido. La camera singola per me non era disponibile, e tra le risate di tutti i ragazzi il collega prof X propose di dividere con me la stanza doppia. Poi cominciò il viaggio d’istruzione: musei, piazza San Marco, Casanova e il ponte dei Sospiri, i dogi a Palazzo Ducale, i grandi vedutisti veneziani, Tiziano e Tintoretto. Stanchissimi, ci fermavamo per un caffè e una pausa di ristoro.
Il gentilissimo collega che si dichiarò “avvocato”, oltre che docente di diritto, non mancò di offrirmi con galanteria un paio di caffè.
Tornati in albergo, dopo cena, lasciai le ragazze della mia classe in fila vicino al telefono per chiamare casa: difficile immaginare la mancanza dei cellulari, ma eravamo nel secolo scorso! Io invece, che avevo lasciato i miei figli affidati al padre, decisi di chiamare casa dalla cabina telefonica nel campo di fronte all’albergo.
Il collega avvocato mi seguì per lo stesso motivo.
Finita la telefonata, mi propose di raggiungere piazza San Marco per un bicchiere di vino; era già tardi, ero stanca, e dissi di no. Lui insistette con gentilezza:
“Non andrai già a letto, sono appena le 10, un giretto notturno in questa città magica fa bene allo spirito…”
Mi convinsi a seguirlo per non essere scortese, e ci incamminammo nella città deserta. Dopo il primo ponte il tono del collega cambiò improvvisamente: con fare brusco mi chiese se avevo già pensato in quale albergo fermarci. Stupita e ancora incredula chiesi se non fosse impazzito, ma fu stupefacente la risposta:
“Hai accettato ben due caffè, hai accettato di uscire con me, e ora ti tiri indietro? Ma che hai paura di me?“
La solitudine del posto, il silenzio, i ponti sotto cui scorrevano i canali mi convinsero che rischiavo una violenza a cui non ero preparata. A rotta di collo, correndo, rischiando di sbagliare strada ritornai in albergo. Le mie alunne mi aspettavano, e Alessandra parlò a nome di tutte, esprimendo nel romanesco del suo gergo quotidiano il punto di vista di giovani donne meno colte, ma più preparate alla vita di quanto non fosse la loro prof:
“A pressore’, che er professore Ia’ dato fastidio? Noi da stammattina ‘o stavamo a fila’, che nu la perdeva de vista. Adesso vicino a lei me ce metto io, quello già c’aveva provato co una de noi”.
Io non ho denunciato il collega per molestie, perché allora non eravamo consapevoli di quanto le donne fossero in pericolo, anche sul posto di lavoro.
Ed è straordinario come invece ragazze diciottenni fossero più agguerrite e consapevoli di me, allora neppure quarantenne, e avessero vissuto esperienze di molestie da parte di adulti di cui parlavano con disinvoltura come fatti ineluttabili.”
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: “Unite contro la violenza sulle donne”: la testimonianza di un’insegnante
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