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Storia della letteratura

Carlo Goldoni: vita e opere

Scoprire Carlo Goldoni attraverso la sua vita e le sue opere consente di apprezzare i principi di poetica di un grande riformatore del teatro italiano.

Simone Casavecchia
Simone Casavecchia Pubblicato il 10-03-2017

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Carlo Goldoni: vita e opere

La vita e le opere di Carlo Goldoni consentono di comprendere un punto di passaggio nodale nella storia del teatro e della letteratura italiana. Eclettico e alla perenne ricerca del successo Carlo Goldoni ebbe una vita avventurosa che lo vede peregrinare per anni non solo in Italia ma anche in Francia dove riscosse anche l’apprezzamento e la stima del re, Luigi XV.
Animato da una profonda passione che si esaurì veramente sono negli ultimi anni della sua esistenza, Goldoni fu un drammaturgo estremamente prolifico che lascia una gran quantità di opere, soprattutto teatrali, appartenenti a generi differenti: non solo commedie ma anche tragicommedie, tragedie romanzesche in versi, libretti per opere profonde e libretti per opere giocose e, infine, un memoire in cui consegnò ai posteri la sua autobiografia.

La vita di Carlo Goldoni

1707 nasce a Venezia, il 25 febbraio da famiglia borghese di condizioni modeste. Durante l’infanzia e l’adolescenza Carlo Goldoni segue il padre, nei suoi frequenti spostamenti nell’Italia Settentrionale e Centrale, dove esercita la professione di medico.
1719 a Perugia e a Rimini Goldoni frequenta scuole gesuite e domenicane dove subito emerge il disinteresse per gli insegnamenti tradizionali e la passione per il teatro, così forte da portarlo ad aggregarsi a una compagnia.
1722-1723 Anche l’avventura universitaria si rivela fallimentare: a Pavia è espulso dal collegio Ghislieri per un’opera satirica sui costumi delle ragazze della città.
1724-1730 continuano i frequenti spostamenti tra Udine, Gorizia, Modena, la Slovenia, Chioggia e Feltre: la vita di Goldoni è divisa tra un’incerta carriera universitaria e la formazione come attore ed autore teatrale: spicca l’interesse per la commedia.
1731 dopo la morte improvvisa del padre terminò gli studi in legge a Padova e si trasferì a Milano. Pur avendo intrapreso la carriera di legale e diplomatico Goldoni continua a coltivare la passione del teatro: scrive melodrammi, esperimenti in prosa, tragicommedie in versi.
1736 Matrimonio con Nicoletta Connio. Matura la convizione di un profondo rinnovamento della commedia e delle sue modalità di produzione: nelle commedie di questo periodo le parti dei personaggi, sempre maggiormente, frutto della mano dell’autore mentre sempre meno spazio è lasciato all’inventiva degli attori.
1743 Per difficoltà economiche fugge a Rimini e, poi, a Pisa dove entra a far parte dell’Arcadia.
1745 il capocomico Girolamo Medebach gli offre un contratto fisso al Teatro Sant’Angelo di Venezia: Goldoni è chiamato per mettere in scena circa quaranta commedie che costituiranno il primo nucleo della riforma del teatro di Goldoni, con parti interamente scritte dall’autore, l’attenzione alla realtà contemporane e la consapevolezza della funzione critica del teatro.
1758-1759, ai dissapori con Medebach e al trasferimento presso il teatro di San Luca (negli anni immediatamente precedenti) segue una profonda crisi personale e creativa che porta Goldoni a soggiornare a Roma e che l’anticamera della principale stagione del suo teatro: la commedia goldoniana accoglie al suo interno motivi di critica sociale (rivolti alla borghesia) e l’interesse per la vita quotidiana della classi popolari.
1762 Goldoni si trasferisce a Parigi, invitato dalla Comédie Italienne: il drammaturgo spera di trovare condizioni e un pubblico più favorevoli per il suo teatro ma la realtà è ben diversa, gli viene richiesto uno stile disimpegnato e ha scarse occasioni di affermare le proprie idee e la propria poetica.
1772 Goldoni si ritira dalla scena teatrale, godendo di una modesta pensione (che poi gli verrà revocata) per il suo ruolo di precettore a Versailles.
1784 Inizia a dedicarsi alla stesura della sua autobiografia.
1793 Muore il 6 febbraio, in preda alla malattia e alla miseria.

Le opere di Carlo Goldoni

La figura di Carlo Goldoni assume un ruolo fondamentale nella letteratura e nel teatro italiano perché diede vita a un genere di commedia del tutto differente da quella precedente. Le innovazioni goldoniane muovono essenzialmente in due direzioni: l’attenzione alla vita quotidiana portata in scena in luogo dei tipi fissi della commedia dell’arte, in voga nel Seicento e l’introduzione del testo scritto in luogo del canovaccio, ovvero della traccia sulla base della quale gli attori improvvisavano le loro battute.
Le commedie di Goldoni, ancora oggi portate in scena per la loro attualità e per l’universalità del loro messaggio, seppero dare nuova linfa a un teatro dove si manifestavano evidenti segni di crisi, con commedie sempre più noiose e ripetitive, caratterizzate da battute scontate e volgari.
Tra le innumerevoli opere del teatro goldoniano, quasi tutte caratterizzate da personaggi reali, dalla fine psicologia è opportuno segnalare solo le principali, nelle quali è possibile intravedere anche il percorso che ha portato alla maturazione della poetica dell’autore.
È nel “Momolo cortesan” (1738), conosciuta poi come “L’uomo di mondo” che si trova, per la prima volta, l’innovazione principale del teatro di Goldoni: la parte del personaggio principale era stata interamente scritta dall’autore, come avvenne, poi, anche per tutti i personaggi de “La donna di garbo” (1743). Ciò fu una vera e propria rivoluzione perché, mentre gli attori non avevano più la libertà di improvvisare dialoghi, monologhi e battute, l’autore non era più un semplice soggettista che abbozzava solo sommariamente una vicenda e una trama, ovvero, in termini tecnici quegli “scenari” che anche lo stesso Goldoni inizialmente produsse in quantità enorme.
Il vero e proprio punto di svolta nella carriera del drammaturgo arriva con il trasferimento a Venezia grazie a Girolamo Medebach (1748) che si rivelò un alleato decisivo nell’impresa di restituire all’autore la propria centralità. Sono degli anni immediatamente successivi alcune delle principali commedie di Goldoni, scritte ex novo per l’esigente pubblico veneziano: “I due gemelli veneziani”, “La vedova scaltra”, “La putta onorata”, “Il teatro comico” (una sorta di opera metateatrale dove Goldoni rappresenta se stesso e il proprio tentativo, contrastato dagli attori, di cambiare il modo di recitare), “La bottega del caffè” (1750), “La donna volubile” (1751), “I pettegolezzi delle donne” (1751), “La famiglia dell’antiquario” (1750), “La serva amorosa” (1752), “La figlia obbediente” (1752) e “La locandiera” (1752), forse la sua opera più celebre che, da sola, conferì all’autore grande apprezzamento e carisma.
Degli anni immediatamente successivi, quando Goldoni si era trasferito al teatro di San Luca e il suo successo iniziava a sollevare l’invidia e la rivalità di altri commediografi del tempo, devono essere ricordati alcuni capolavori quali “Il campiello” (1755), “Gl’innamorati” (1759), “I rusteghi” (1760), “Le smanie per la villeggiatura” (1759-1760) e “Le baruffe chiozzotte” (1762).
Per quanto riguarda il periodo francese, contrassegnato da una sostanziale insofferenza e dall’inaridimento della vena creativa, occorre segnalare almeno “Il burbero benefico” (1771), acclamatissimo alla Comédie française e alla corte reale di Fontainebleau, e i “Mémoires” (1787) autobiografia in francese al quale il drammaturgo si dedicò prima di morire.

La poetica di Carlo Goldoni e le innovazioni nel teatro

Fin da quando era costretto ad esercitare la sua arte oratoria nei tribunali anziché in un teatro, Carlo Goldoni, fu sempre convinto della necessità di attribuire un ruolo centrale agli scrittori impegnati nel teatro, allo scopo di restituire la necessaria dignità letteraria alle opere teatrali, scritte non solo per essere rappresentate ma anche per essere lette.
Sostenuto dalla fiducia di grandi capocomici e impresari del suo tempo, Goldoni costrinse gli attori a un copione scritto che doveva essere imparato a memoria, al di là di questa che, però, era stata un’esigenza già sentita da molti altri commediografi di epoche precedenti, la vera novità del teatro goldoniano è il passaggio dalla commedia di intreccio a quella di carattere.
Goldoni, infatti, abolisce le maschere ovvero la presenza di personaggi predeterminati e stereotipati e il necessario finale predefinito che da quei tipi psicologici conseguiva necessariamente. Il carattere che si definisce con lo svolgimento dell’azione è, quindi, il vero protagonista del teatro goldoniano: mentre le trame si semplificano l’interesse si rivolge al carattere dei singoli individui e alla loro interiorità. Parimenti, il mondo inverosimile della Commedia dell’arte lascia il posto alla vita quotidiana, ai fatti, alle usanze, ai costumi e a tutti quegli aspetti su cui si concentravano i giornali che vedevano nel Settecento una vasta diffusione e, ancor prima, la concezione storica dell’illuminismo dove campeggiavano le persone comuni piuttosto che le guerre e le strategie militari.
Accanto alla forte carica innovativa occorre ricordare che la produzione di Carlo Goldoni è segnata anche da una profonda continuità con molti aspetti della tradizione scenica e letteraria antecedente e coeva. Emblematica, a tal proposito, la prefazione del “Servitore di due padroni” dove il drammaturgo concede agli attori che reciteranno la parte di Truffaldino di introdurre le loro personali invenzioni e raccomanda solo di rispettare, pur evitando gesti scurrili per non compromettere la dignità dell’opera. Il vastissimo patrimonio creativo della Commedia dell’arte che aveva la capacità di adattare qualsiasi vicenda alla scena teatrale, non viene, quindi, archiviato come viene fatto tesoro di tanta tecnica teatrale che consentiva una giusta scansione del ritmo, una appropriata successione delle situazioni sceniche e una calibrata miscela dei toni e dei personaggi. L’arte rappresentativa, quindi, si declina in un teatro di tipo diverso, dal momento che la grande capacità espressiva degli attori rimane comunque essenziale per rendere credibile un personaggio già di per sé realistico (il quotidiano) e per esaltarne le più sottili sfumature psicologiche, come ancora avviene nel teatro contemporaneo.

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