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Storia della letteratura

L’apicoltura nelle Georgiche: le api tra mito e romanità

In occasione della Giornata mondiale delle api, che si celebra il 20 maggio, il riferimento alle Georgiche di Virgilio mi sembra d'obbligo. Fidatevi: scoprirete molte cose interessanti tra cui il prodigio della bugonia.

Isabella Fantin
Isabella Fantin Pubblicato il 20-05-2022
L'apicoltura nelle Georgiche: le api tra mito e romanità

In occasione della Giornata mondiale delle api, che si celebra il 20 maggio, il riferimento alle Georgiche di Virgilio mi sembra d’obbligo. Le Georgiche sono state composte da Virgilio tra il 38 e il 37 a.C. proprio quando inizia l’ascesa di Ottaviano che ha bisogno del consenso dei ceti agrari. Pertanto, non sono un manuale pratico a uso del contadino o del piccolo proprietario terriero. Sono un’opera letteraria convergente con il programma di rinnovamento morale, sociale ed economico auspicato da Ottaviano. Il IV libro celebra la laboriosità, dote basilare del pius colonus, attraverso la descrizione della società perfetta delle api.

Il poema virgiliano delle Georgiche è articolato in quattro libri. L’ultimo è dedicato interamente all’apicultura, con l’inserimento di due miti esemplificativi per un totale di 566 versi. Ma non corriamo troppo.
La prima parte del quarto libro, fino al verso 280, si occupa dell’aspetto tecnico: strategie per costruire gli alveari, estrarre il miele, eliminare parassiti e malattie e un ultimo aspetto di cui vi parlerò tra poco. Non avete dimenticato la bugonia, vero?

L’apicoltura nell’antica Roma

Ma perché Virgilio dedica tanto spazio all’apicultura? A parte il valore simbolico della società perfetta delle api (emblema di frugalità, ordine, operosità, rispetto gerarchico di ruoli), mi sembrano degne di interesse alcune osservazioni sulla vita materiale romana.

Il miele era importantissimo, in quanto zucchero dell’antichità fino alla scoperta dell’America nel 1492. Gli Egizi, probabilmente, furono i primi ad allevare le api intorno al 2500 a.C. Sumeri e Babilonesi apprezzavano le virtù cosmetiche e curative del miele, per lenire alcuni tipi di infezioni.

C’erano le arnie? La risposta è no. Le arnie attuali sono state inventate a metà dell’Ottocento da un pastore protestante statunitense di nome Langstroth (1810-1895). Il suo nome è legato all’invenzione del mobilismo dei favi. Ancora adesso l’arnia Langstroth è da molti considerata la migliore sul mercato. Le arnie degli antichi, Romani compresi, erano strutture di ramoscelli.

Sapevate che il miele è un ingrediente principe della cucina Romana?
Veniva usato per la conservazione della frutta e per confezionare marmellate. Per dolcificare e aromatizzare il vino. Il miele veniva anche spennellato su prosciutti e arrosti o accompagnato a pesce o uova come condimento. In base alle fonti in nostro possesso (il cuoco Apicio in primis e, in parte, il Satyricon di Petronio) è ragionevole ipotizzare che il miele venisse impiegato con moderazione nelle portate di impianto salato, affinché il gusto dolce non fosse prevalente al palato. Assai rinomato, attesta Petronio, il miele dell’Attica, una regione dell’antica Grecia.

Il IV libro delle Georgiche: dal piano tecnico al piano mitologico

Ma torniamo a Virgilio. Tra gli aspetti tecnici citati nel IV libro, elencati fino al verso 280, si trovano anche le soluzioni da adottare in caso di morìa dello sciame. È a questo punto che il contenuto vira dal piano tecnico a quello mitologico. Perché entra in scena Aristeo che introduce la bugonia; a sua volta la storia di Aristeo contiene la favola di Orfeo e Euridice, secondo la tecnica a incastro, detta racconto nel racconto.

Aristeo è un apicultore, il cui sciame muore improvvisamente. Interrogato un indovino, scopre di essere stato punito dagli dei per aver causato involontariamente la morte della ninfa Euridice. Ecco la dinamica di questo omicidio preterintenzionale: la ninfa, durante una corsa scomposta per sfuggire alle insidie amorose di Aristeo, viene uccisa dal morso di un serpente. Il suo sposo Orfeo cade nella disperazione. La fine della vicenda di Orfeo ed Euridice, amatissima da artisti, letterati e musicisti, al momento la accantoniamo.

Aristeo segue le indicazioni dell’indovino: per riottenere lo sciame deve uccidere un bue, affinché dalla sua carcassa putrefatta nasca un nuovo sciame di api. Da qui nasce la parola bugonia. L’etimo greco significa letteralmente nascita spontanea da un bue. La bugonia è una credenza assai diffusa nell’antichità, fino al XVII secolo, nella nascita di uno sciame di api dalla carcassa di un bue morto.

La parabola di questo apicultore è formativa. Infatti, Aristeo rappresenta l’uomo che riconosce i propri errori, rispetta la volontà degli dèi e alla fine viene premiato. Aristeo veicola un modello umano opposto a Orfeo. Questo basti.

Qual è il messaggio nascosto del IV libro?
La società delle api, per l’ordine e l’organizzazione, è una comunità ideale. Inoltre per Virgilio, che generalmente presenta l’eros in chiave negativa, esse possiedono un privilegio unico in natura. Quello di essere esenti dal sacrificio della riproduzione, perché la loro specie viene rigenerata dal prodigio della bugonia.

Curiosità: Sapevate che il futuro politico francese Clemenceau nel 1865 si laureò in medicina con una tesi sulla generazione spontanea da elementi naturali inanimati? (fonte: L’affaire di Piero Trellini, p. 458)

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