Molti dei Millennials sono cresciuti a pane e cartoni animati giapponesi, visti su Italia Uno all’ora della merenda o prima di andare a scuola al mattino. Sailor Moon, Holly e Benji, Dragon Ball e Rossana sono tutti titoli che risulteranno noti ai più. Tuttavia non è altrettanto sicuro che chi ha cantato a squarciagola le sigle insieme a Cristina d’Avena sappia che quei cartoni, in realtà, si chiamano anime e che hanno uno strettissimo legame con i fumetti. No, non le strisce disegnate che raccontano delle gesta di supereroi come Batman o Spiderman: sto parlando dei manga, i fumetti made in Giappone che da qualche anno sono conosciuti anche nel resto del mondo ma che, per decenni, sono stati produzioni intrinsecamente legate alla cultura giapponese.
Quali sono le differenze tra anime e manga? Scopriamole insieme.
Che cos’è un manga?
Il termine manga (漫画) letteralmente vuol dire immagini derisorie e in Giappone identifica tutte i disegni realizzati sotto forma di fumetti. La sua origine si colloca nel XVIII secolo e si esemplifica nel libro d’illustrazioni Shiji no yukikai di Santo Kyoden e nell’ Hyakujo di Aikawa Minwa: siamo in piena epoca Edo, in un contesto dalla forte componente tradizionalista. Il primo a usare il termine manga per definire alcune sue produzioni è stato, però, il celebre artista Hokusai (quello della Grande onda di Kanagawa, per intenderci), vissuto tra 1760 e 1849.
Manga non è l’unico vocabolo usato in Giappone per indicare il fumetto, sebbene sia quello di uso più comune: c’è anche toba-e (che significa proveniente da Toba, cioè un artista del XI secolo) e ponchi-e, dalle popolari maschere inglesi Punch e Judy.
Le storie a fumetti sono da sempre pubblicate in capitoli su riviste di settore e vengono raccolte in un unico tankōbon (di circa 200 pagine) solo dopo un numero variabile di uscite su rivista; tra le riviste più famose di oggi c’è Weekly Shounen Jump (Shueisha). I volumi unici si dividono in tre formati: il più comune è il B6 (circa 12,5×18 cm), seguono poi l’A5 (15×21 cm) e il B5 (18×25 cm). Interessante far notare che l’ordine di lettura delle tavole e delle vignette di un manga non è lo stesso di quello con cui siamo abituati a leggere le storie di Superman: i fumetti giapponesi sono caratterizzati dall’ordine di lettura all’orientale, cioè iniziando a leggere da quella che per noi è l’ultima pagina e seguendo le vignette da destra verso sinistra (e comunque dall’alto verso il basso).
Oltre che per la fisicità (e ovviamente per la lingua usata) i manga si differenziano dai fumetti occidentali per il loro tratto di disegno tipico, quasi infantile (inconfondibili gli occhioni enormi dei personaggi), che si deve a un forte prestito culturale dal mondo Disney che uno dei più importanti fumettisti giapponesi del Novecento, Osamu Tezuka, ha inserito nelle sue opere iniziando un vero e proprio canone artistico. Accanto a questo, c’è anche una predilezione per il bianco e nero rispetto al colore e l’amore per un ritmo narrativo sospeso, attento ai dettagli, per cui intere tavole possono essere dedicate esclusivamente alla descrizione di un paesaggio.
Invece di generi veri e propri, per identificare un manga è più utile prendere in considerazione il suo target di riferimento: bambini/adulti, ragazze/ragazzi, mainstream/di nicchia. Per intenderci, gli shōjo manga sono indicati per le ragazze dai 10 ai 18 anni e trattano temi romantici con personaggi femminili come protagoniste principali e gli shōnen sono destinati ai giovani ragazzi, spesso (soprattutto tra anni Settanta e Ottanta) parlano di sport, mentre altre volte mettono al centro eroi e personaggi fantastici che combattono per concludere importanti missioni. Ci sono poi i manga per gli adulti, i seinen, con tematiche più complesse, psicologie più approfondite e grafiche più elaborate.
La diffusione dei manga in Italia avviene nel corso degli anni Novanta, grazie a case editrici come la Glenat che iniziò a pubblicare Akira, la Granata Press che fece conoscere ai giovani italiani le storie di Ken il Guerriero e alla Star Comics a cui va il merito di aver importato il leggendario mondo di Dragon Ball. Il manga è diventato ormai un genere così di successo da aver spinto artisti di tutto il mondo a ispirarsi al suo stile e ai suoi temi nelle loro opere. Per questo si usa il termine di global manga per identificare un fumetto che ha tutte le fattezze di un manga, ma che è stato realizzato da fumettisti non giapponesi.
Che cos’è un anime?
La parola anime (アニメ) è l’abbreviazione del termine animēshon, che in giapponese è una traslitterazione dell’inglese animation e indica i prodotti d’animazione realizzati nella Terra del Sol Levante a partire dagli anni Settanta. Se volessimo guardare indietro nella storia del Giappone, troveremmo gli antenati degli anime nelle lanterne magiche di epoca Tokugawa (XVII secolo) che proiettavano immagini in lentissimo movimento.
Gli anime variano nei 3 grandi format in cui vengono prodotti, TV Anime (TVA), Original Video Anime (OVA) Movie e Net Anime (NETA), e possiedono una molteplicità di contenuti e tematiche che superano la tradizionale etichetta che, soprattutto in occidente, gli è stata affibbiata, cioè di essere i cartoni animati per bambini. Infatti, non solo gli anime spaziano in numerosi argomenti e contenuti (amore, avventura, storie per bambini, letteratura, fantasy, fino anche a contenuti più impegnati e approfonditi), ma hanno anche un’ideazione socio-demografica: ci sono gli anime destinati al pubblico degli anziani, quelli per gli studenti universitari e quelli per gli impiegati stremati da turni di lavoro massacranti. Gli anime non sono solo una forma di intrattenimento per bambini, ma sono una realtà radicata nella cultura e nella quotidianità di tutti i giapponesi.
Quali sono i titoli di fumetti che non possono mancare nella libreria di un lettore?
Manga e anime: qual è la differenza?
Abbiano visto le definizioni degli anime e dei manga e sembrerebbe semplice distinguere i due generi artistici; eppure non è così immediato individuarne le differenze. Se, infatti, il manga è un’opera a disegni stampata su carta con determinate caratteristiche editoriali e contenutistiche e un anime è una produzione tecnologica video animata (che va in onda su diverse piattaforme), la confusione nasce perché l’occidente ha conosciuto gli anime principalmente nella forma di quelli tratti dai manga. I cartoni di cui vi parlavo nell’introduzione sono tutti, originariamente, nati come fumetti e solo in un secondo momento sono stati trasformati in serie animate.
Se in Giappone, allora, esistono anime che non hanno alcun legame con i fumetti, è vero anche che la stragrande maggioranza di questi viene realizzato solo dopo che un manga ha avuto così tanto successo da diventare appetibile anche per la TV o il cinema. Pensate che produzioni animate sono esistite in Giappone per tutto il Novecento, ma l’industria degli anime come la conosciamo oggi nasce il 1° gennaio del 1963 quando viene mandato in onda il primo episodio della serie TV tratta dal manga di Osamu Tezuka, Astro Boy. Da quel momento la scalata al successo è stata inarrestabile e oggi gli anime sono una realtà culturale e imprenditoriale radicata in Giappone e il loro mercato vale intorno ai 200 miliardi di yen (oltre 1 miliardo e mezzo di euro) e conta circa 430 case di produzione di cui più della metà ha sede nel centro di Tokyo.
Manga e anime: due facce della stessa medaglia (ma con alcune ombre)
Quando un lettore si innamora di un titolo di un manga e viene a sapere che questo diventerà un anime, solitamente, prova un misto di esaltazione e terrore. Da un lato, infatti, un anime è un’esperienza di intrattenimento completamente diversa rispetto a quella della lettura e, come succede per i film tratti dai libri, quando si amano i personaggi di una storia non si vede l’ora di vederli agire ancora e ancora. D’altra parte, però, le produzione di anime vengono accusare di allungare il brodo di una serie tratta da un manga servendosi dei filler, cioè di puntate non utili allo svolgimento della trama e, soprattutto, non presenti nell’originale a fumetti. La pratica viene vista come una sorta di tradimento e non sono rari i casi di fan indignati dagli errori di continuity causati da queste puntate riempitive o dai personaggi inesistenti nel manga e inseriti volutamente nell’anime. Ci sono però casi rari di filler molto graditi agli spettatori, come la "saga di Asgard" nell’anime de I Cavalieri dello Zodiaco (molto amata in Europa e criticata in Giappone) e la prima parte di Sailor Moon R.
Gli anime in Italia: il caso della censura
Per concludere questa disamina sulle differenze tra gli anime e i manga, vorrei soffermarmi sulla tendenza osservata in Italia di censurare sistematicamente gli anime prima di metterli in onda. La premessa di questa operazione di censura sta nel fatto che, da quando in Italia è iniziata a entrare la cultura dell’animazione giapponese, questa si è identificata esclusivamente con un pubblico di bambini (al più preadolescenti), sminuendo la varietà tematica che invece contraddistingue le opere animate originali. Tale cambiamento di target ha imposto revisioni, edulcorazioni, tagli di scene e modifiche di dialoghi al fine di rendere i contenuti adatti all’infanzia. Si sono scomodate anche le associazioni dei genitori che non hanno mancato di bollare gli anime come dannosi per l’educazione dei bambini. Solo agli inizi degli anni Duemila, anche grazie agli amanti della cultura nipponica, è iniziato un movimento di restauro delle opere già mandate in onda e l’impegno di trasmettere i nuovi anime senza censure. Se sin dall’inizio fosse stato chiaro che un anime non è paragonabile a un cartone della Disney, questo equivoco non ci sarebbe stato: non sarebbero mancati ai bambini italiani gli anime giusti per la loro età e gli spettatori più adulti e appassionati avrebbero potuto godere della visione senza perdere l’integrità dell’opera originale.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Manga e anime: cosa sono e quali sono le differenze
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