Oggi lo storytelling va di moda. Pare che la società dell’immagine stia evolvendo verso qualcosa di antico, poiché all’uomo moderno piacciono molto le storie. Così sono sorti corsi più o meno seri che insegnano come raccontare se stessi o il proprio prodotto, per avvicinare elettori, acquirenti, clienti, aderenti. Altri si improvvisano, come se fare storytelling fosse semplice e non necessitasse di alcuna specializzazione. Ma è proprio così? Se è vero quello che diceva Eli Wiesel, che "Dio ha creato l’uomo perché amava sentirsi raccontare storie", allora siamo tutti dei narratori. Ma per arrivare al cuore della gente e convincerla a stare dalla nostra parte c’è chi è più narratore di altri: lo storyteller.
Tra i tanti mestieri che affiorano nel mondo moderno c’è quello dello storyteller. Letteralmente il "raccontastorie". In America, i guru dell’informazione sono dotati di questo terribile e ammaliante potere e ne conoscono la grandezza. Secondo la tradizione antica, che da Omero viaggia attraverso i secoli con i "raccontatori" di professione, la cosa che i moderni narratori hanno compreso appieno è che il racconto, se si utilizzano le giuste tecniche, produce emozioni e le emozioni avvicinano, danno consensi. Se una persona si accosta col cuore prima che con la mente, potrà in breve trasformarsi in un cliente affezionato, o in un elettore sicuro.
Storytelling: una definizione e come funziona
Lo storytelling è quella tecnica che attraverso il racconto è in grado di nobilitare ogni cosa. Cosa sta dietro un determinato prodotto? Basta fare un piccolo esperimento. Prendiamo un oggetto quotidiano, come un cucchiaio. Magari un po’ deteriorato, arrugginito. Gettarlo via è per noi naturale, non ci causa alcun patimento. Ma se qualcuno, prendendo quel cucchiaio, ci dicesse che lo ha costruito con le sue mani il nonno anni prima usando un pezzo di ferro proveniente dalla spada di un Crociato e che un personaggio famoso ha usato quella posata per il suo primo pasto, ecco che l’oggetto, il manufatto, diventerebbe prezioso ai nostri occhi. Non importa se è vera o no, la storia ammalia, rapisce, cattura. Un po’ lo stesso concetto di quando Duchamp mise in un museo un orinatoio, chiamandolo "Fontana" e trasformando immediatamente, con tale operazione provocatoria, in opera d’arte un qualcosa di esecrabile, che nessuno si sognerebbe neppure di toccare. Dare una storia a un oggetto lo nobilita immediatamente ai nostri occhi, ed è questo il concetto base dello storytelling.
Ecco perché nella politica, oggi legata più all’immagine del leader che a quella generica di un partito, si tende a presentare il personaggio nella sua veste "umana", ponendo in rilievo magari la storia del suo passato triste (che, come Dickens insegna, fa apparire simpatico anche un serial killer) in netto contrasto con un radioso presente, tutto costruito con due nude mani.
Esempi di storytelling vincente: da Bush a Prada
In America, i Presidenti da Bush dell’11 settembre in poi, sono stati maestri dello storytelling. La foto del Presidente con la giovane Ashley di sedici anni, scattata nel 2004 dal padre di lei, fu vista da milioni di americani e fu poi seguita da una clip chiamata Ashley’s story che narrava come la ragazza, chiusasi in se stessa in conseguenza della morte della madre in una delle Torri Gemelle, fosse tornata a sorridere dopo aver incontrato Bush. Un esempio di comunicazione politica che va dritta al cuore di chi si immedesima con la ragazzina resa orfana dal terrorismo. E il Presidente è l’eroe che non abbandona i suoi cittadini, li abbraccia tutti, li protegge, li consola. Dietro questa storia, in apparenza semplice e non premeditata, c’è in realtà un mago del marketing e dello storytelling. In Italia, come sempre, ancora si improvvisa un po’, con risultati a volte decisamente scarsi.
Anche le imprese, quelle più capaci nel comunicare, hanno capito che questa è la via per incuriosire e avvicinare il cliente, così hanno soppiantato la brand image con la brand story. La marca stessa, il marchio di fabbrica, si fa racconto che immerge il fruitore nella Dream society, lo fa sognare.
Anche il cinema può servire allo scopo. Intitolando un film Il diavolo veste Prada, ecco che tutta la pellicola, che è incentrata sullo spietato quanto appetibile mondo della moda, diventa un’unica, prepotente pubblicità del noto marchio. Il racconto è legato indissolubilmente al brand e ne disegna a chiare tinte le caratteristiche. Anche in Italia, ad esempio, una nota ditta di poltrone e divani presenta nelle sue pubblicità i dipendenti stessi, gente semplice con l’inflessione dialettale del luogo dove l’impresa ha sede, che, con frasi adatte a tutti, quasi improvvisando, spiegano e raccontano come si fa un sofà, la tradizione familiare delle tecniche usate, come se, mettendo mano a ogni pezzo, lo facessero lasciandovi un pezzettino del loro cuore. Semplice, ma, a parer mio, assai potente.
Il libro di Christian Salmon intitolato Storytelling. La fabbrica delle storie (edizione italiana di Fazi, 2008) è un’interessante lettura che ripercorre la nascita e lo sviluppo dello storytelling e che fa capire come raccontare storie sia diventato uno strumento potente di manipolazione. Si dà per scontato che la storia sia vera, ma, in semiotica, l’unica verità richiesta è la coerenza interna di un testo, la sua credibilità.
Emozionare per avvicinare. Ma può essere anche un’arma a doppio taglio, i lettori potrebbero non apprezzare la storia, non rimescolare in sé emozioni e vibrazioni. Allora, senza l’alchimia di Sherazade, li avremo perduti per sempre.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Storytelling: cos’è ed esempi vincenti
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