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Abbiamo spesso sentito la celebre frase Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese pronunciata da conduttori del piccolo schermo, oppure l’abbiamo letta sui giornali o in qualche post evocativo, pubblicato sui social network da qualche fantomatico coach.
Al di là del significato del motto, di per sé chiaro, è più opportuno chiedersi quale sia la visione della vita o, almeno, le convinzioni politiche ed esistenziali sottese e capire, poi, qual è la sua origine.
Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese è, infatti, un’affermazione di John Kennedy: per cogliere il suo significato dovremmo allora contestualizzarla e richiamare sinteticamente gli argomenti che il giovane presidente del Stati Uniti d’America utilizzò in quell’occasione e i temi che affrontò.
Riscopriamo allora, insieme, l’origine e il significato del motto non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese.
Il significato della frase non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese
A sentirle oggi, senza sapere chi sia il loro autore, potremmo davvero pensare che queste parole che suonano quasi come un aforisma, possano essere il ritrovato di uno dei tanti rampanti motivatori che circolano su Linkedin o Youtube, il credo di qualche improvvisato guru che, attraverso l’iscrizione all’ennesimo corso online, promette di dare una svolta alla nostra vita e di regalarci il segreto del successo e della felicità.
Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese, poi, potrebbe anche ricordare da vicino le bordate di qualche severa professoressa universitaria che, alcuni anni orsono, quando sedeva sulla poltrona di un ministero, se la prendeva con i giovani definendoli troppo “choosy”, termine ovattato, se non altro perché straniero e incomprensibile a molti, per dire “schizzinosi” o, come avevano fatto altri in modo più spiccio, “fannulloni” o “bamboccioni”.
Se, insomma, decontestualizzassimo, la nostra celebre frase potrebbe davvero, e a buon diritto, apparire come il motto di un liberalismo becero, la condanna di ogni attendismo, il mantra di qualche self made man che punta tutto sull’iniziativa personale e sulle proprie capacità imprenditoriali, piuttosto che invocare la manna dal cielo e lamentarsi, fiducioso che una qualche metafisica entità statale risolva i suoi problemi e gli renda la vita più facile e indolore.
Al di là delle iperboli e del cinismo, non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese, fuor di contesto può apparire come un’esortazione a rimboccarsi le maniche, a darsi da fare e a farlo da sé, senza adagiarsi sull’aiuto delle istituzioni e della politica.
In queste parole, si nasconde, poi, anche un messaggio secondario e più riposto: se ci concentriamo, infatti, sull’ultima parte della frase è chiaro l’invito a scendere dal piedistallo e a smetterla di credere che tutto ruoti intorni ai singoli individui che, invece, potrebbero anche pensarsi come elementi di un tessuto politico più ampio e organico, lo stato, appunto, per il quale dovrebbero adoperarsi, se non per un sincero senso di appartenenza e di abnegazione, quanto meno per i servizi che garantisce a ogni cittadino.
L’origine delle parole non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese
Era il 20 gennaio 1961 quando John Fitzgerald Kennedy, in una delle ultime frasi del suo discorso di insediamento alla Casa Bianca pronunciò la frase:
"Ask not what your country can do for you – ask what you can do for your country"
Parole che suggellavano un discorso che, per la sua forza retorica, gli studiosi americani ritengono ancora oggi secondo solo a quello, altrettanto celebre, di Martin Luther King.
Kennedy aveva appena giurato come trentacinquesimo Presidente degli Stati Uniti d’America, era il più giovane presidente eletto degli States – appena 43 anni – viso pulito e fotogenico, oltre a una brillante dialettica poteva vantare un carisma che nel giro di pochi anni gli aveva permesso di guidare il Partito democratico e, come se non bastasse, anche una moglie come Jacqueline Bouvier, fascinosa ed elegante.
Era un uomo popolare, perfetto per la TV che in quegli stava entrando nelle case degli americani, e al piccolo schermo dovette gran parte della sua vittoria elettorale, ottenuta a spese del meno attrattivo Nixon.
Era, però, anche un politico che, con la sua nuova frontiera, offriva agli americani dei ceti più umili e bistrattati un progetto politico accattivante, che aveva tra le sue parole d’ordine la redistribuzione della ricchezza, un benessere condiviso e una effettiva integrazione degli afroamericani ancora costretti, per legge, alla segregazione razziale.
Non a caso, nel suo discorso inaugurale, JFK (lo chiamavano così, per le iniziali del suo nome) aveva parlato di nemici comuni dell’umanità – “la tirannia, la povertà, le malattie e la stessa guerra” – contro i quali tutti gli uomini erano chiamati a prendere posizione; il giovane democratico era però ben consapevole anche del momento storico in cui iniziava la sua presidenza, la guerra fredda che contrapponeva due blocchi impegnati in una logorante strategia della tensione.
Per questo affermava anche che
“Nella lunga storia del mondo, solo a poche generazioni è stato garantito il ruolo di difendere la libertà nell’ora del massimo pericolo”
Kennedy metteva dunque in guarda gli americani sul pericolo concreto e imminente di un nuovo conflitto e sulla necessità di azioni che tutelassero i diritti e lo stile di vita occidentali; invitava a riflettere sulla possibilità di essere chiamati a un impegno diretto in scenari di guerra ancora inediti. Si rivolgeva ai suoi:
“Dunque, miei concittadini americani, non chiedete cosa il vostro paese può fare per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro paese”.
Ma anche agli uomini di ogni altra parte del mondo, convinto che le armi non fossero l’unica alternativa possibile.
"Concittadini del mondo, non chiedete cosa l’America può fare per voi, ma cosa possiamo fare, insieme, per la libertà dell’uomo".
Rileggendo queste parole 65 anni dopo, alla luce della storia, possono apparire anche una nebulosa profezia. Due anni prima a Cuba, pochi chilometri dalla Florida, la rivoluzione castrista aveva rovesciato il regime filoamericano di Fulgencio Batista e aveva realizzato uno stato comunista da subito molto vicino a Mosca. In un primo momento il giovane presidente, sostenuto anche dalla CIA, fece l’errore di invadere la Baia dei Porci con alcune truppe, un tentativo infruttuoso di sbaragliare il regime di Fidel. Pochi mesi dopo la tensione già alta, sale ancora: nel 1962 i servizi segreti scoprono che Cuba ha concesso alla Russia lembi del suo territorio, dove posizionare missili nucleari puntati sugli States. È in questo frangente che Kennedy dimostra tutta la sua abilità politica e compie davvero un gesto memorabile per il suo paese e per la libertà di ogni essere umano. Incurante dei tanti suggerimenti che lo spingevano ad entrare direttamente in guerra, riesce ad evitare l’escalation e lo spettro di un nuovo conflitto mondiale, intavolando dei negoziati con il presidente sovietico Nikita Chruščëv che portano: la Russia si impegnava a ritirare le sue testate, gli Stati Uniti avrebbero smesso di attaccare e sabotare Cuba.
Nei pochi mesi che avrebbe avuto a disposizione Kennedy continuò a fare imprese mirabili per il suo Paese: tenne vivo il dialogo con Chruščëv avviando la convivenza pacifica dei due blocchi e spostò la competizione con i paesi sovietici nello spazio; grazie a dei poderosi investimenti per la sfida tecnologica per la conquista della luna era iniziata, ma lui non fece in tempo a vedere l’atterraggio dell’Apollo 11.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese: origine e chi l’ha detto?
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Mi sembra un bell’articolo.
I nostri politici da decenni ci hanno abituato a farci promesse spesso difficili da mantenere e almeno sui social tutti avanzano diritti e nessuno parla di doveri
E poi di fronte alla vita reale che non è molto cambiata la gente è in difficoltà.
Tutti pensano che se ho una laurea ho diritto.ha un lavoro adeguato.
E poi non capiscono.perche i medici sono pochi e loro sono a spasso
Oppure i tecnici specializzati sono pochi e i ragazzi con la maturità classica sono a spasso.