
Meritoria ristampa anastatica a cura dell’editore Edoardo Lazzara, del volume di Napoleone Colajanni (1847-1921) Nel regno della Mafia: La Sicilia dai Borboni ai Sabaudi per i tipi delle Arti Grafiche Palermitane, un’aspra denuncia del malaffare e delle collusioni con la Mafia in terra di Sicilia nel periodo post unitario.
Capostipite di una dinastia che annovera nel corso degli anni, esponenti politici di rilievo, Napoleone Colajanni militò in vari partiti (repubblicano, socialista) e si distinse per il suo rigore morale e per la sua sensibilità verso i problemi economici sociali della sua terra. Fu il primo politico siciliano, nativo di Castro Giovanni, poi denominata Enna, ad attaccare duramente la mafia dopo il barbaro omicidio di Emanuele Notarbartolo, sindaco di Palermo.
Il delitto di Emanuele Notarbartolo, sindaco di Palermo
Il libro, che si avvale della prefazione di Lino Buscemi e delle presentazioni di Felice Cavallaro e di Carmine Mancuso, inizia con la ricostruzione della amara vicenda dell’omicidio del Commendatore Emanuele Notarbartolo (1834-1893), ex-sindaco di Palermo ed ex-Direttore generale del Banco di Sicilia, ucciso a coltellate la sera del 1° febbraio 1893, in un vagone di prima classe nel tratto della ferrovia Termini-Palermo, con ben 37 coltellate.
Il delitto ebbe notevole scalpore e sollevò una grande sdegno in Sicilia e in tutta Italia tanto che in Parlamento vi furono alcune interrogazioni a Giovanni Giolitti Presidente del Consiglio e Ministro dell’Interno. Le indagini giudiziarie che seguirono furono sviate e l’evidente mandante, esponente di cosche mafiose venne di poi assolto.
Napoleone Colajanni
In questo contesto si inserisce la figura di Napoleone Colajanni, personaggio di rilievo specie per il suo impegno contro la Mafia che si manifestò contro gli assassini di Emanuele Notarbartolo. Senza di lui, non si sarebbero avute le varie inchieste, anche se poi sfociate in assoluzioni, ma egli costituì una voce autorevole che consentì di suscitare l’attenzione dell’opinione pubblica del Paese sul tema della Mafia.
Ma oggetto della riflessione di Colajanni fu in quel tempo in specie la cosiddetta “Questione Meridionale”. L’autore aveva ben compreso come gli investimenti e le risorse economiche nel nuovo Stato unitario venissero dirottati verso Nord, a scapito del reale sviluppo del Sud.
Non si riteneva che gli indigeni potessero avere una crescita civile come gli abitanti del Nord. Si manifestò un meccanismo razzista ben più aspro di quello attuale per il quale gli uomini del Mezzogiorno sono uomini di serie B. Si teorizzarono in quel tempo, rifacendosi alle teorie di Cesare Lombroso, addirittura delle diversità antropologiche come quella che il cranio di chi nasce al Sud, abbia dimensioni e aspetto diverso rispetto agli uomini che nascevano nel Nord.
Alcuni uomini lasciano tracce indelebili nella storia di un popolo e delle sue istituzioni e di essi occorre conservare la memoria. Questi hanno portato sul piano del pensiero e dell’azione un contributo notevole per la crescita sociale e culturale e Napoleone Colajanni è da annoverare senza alcun dubbio tra costoro.
Per nulla inquadrato, libero pensatore dalla schiena dritta, in politica si collocò in una posizione di estrema libertà, rifuggendo schieramenti precostituiti, avvicinandosi con nobili motivazioni a quei partiti che condividevano di volta in volta la sua condotta, le sue idee e le sue convinzioni. Coniugò al meglio il suo pensiero con la sua azione politica pubblicando diversi libri su diverse tematiche.
Trattò il tema della Mafia, affrontandolo seriamente, non limitandosi ad analisi sociologiche che non hanno offerto soluzioni al problema. Per lui la Mafia, più che un fenomeno criminale, era un fenomeno politico; il problema consisteva nell’intreccio tra Potere e Politica, o meglio tra Mafia e Politica.


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Lo "Scandalo della Banca romana" è il primo eclatante esempio di un connubio di un sistema di potere che si è perpetrato nel tempo coinvolgendo il sistema bancario.
In questo scenario, ecco intervenire il delitto di Emanuele Notarbartolo che venne barbaramente ucciso sul treno Termini-Palermo; e il motivo di questo assassinio va ricercato nel fatto che aveva scoperto queste situazioni poco chiare e contrastava questo sistema allucinante di gestione del potere. Del caso Notarbartolo, descritto da Napoleone Colajanni in questo libro con dovizia di particolari riguardo alle indagini e al procedimento giudiziario, l’autore fa emergere queste situazioni incredibili. Si manifesta a chiare lettere uno stato di connubio tra sistema di potere, mafia e istituzioni e si evincono pure le malversazioni che si avevano a subire.
Ma nell’agile volume, pieno di acute riflessioni, il discorso si allarga con un excursus storico alla ricerca delle radici di questi fenomeni e di una mentalità.
“La Sicilia, in pieno secolo decimonono e nella parte più colta del bacino del Mediterraneo, rimase sotto gli orrori e le angherie del feudalesimo.
In Sicilia non penetrò il soffio della rivoluzione Francese, nemmeno sotto la forma attenuata o adulterata della conquista napoleonica: l’isola rimase sino al 1815 sotto la protezione dei soldati e della flotta inglese, che vi mantennero i Borboni.”
Si tratta della mafia del latifondo, degli agrari, delle “Compagnie d’arme”, dei campieri, elemento di mediazione tra il contadino e il proprietario. Questi ultimi dettavano ordine nelle campagne in quanto a loro veniva delegato il controllo nelle campagne mentre i feudatari restavano in città e non si interessavano del duro lavoro delle campagne e dei drammi umani al loro interno.
Sulla distribuzione delle terre per l’abolizione della feudalità dopo la Costituzione del 1812, poi “nell’assegnazione avvennero altre truffe, com’è stato dimostrato da molti scrittori e di recente da Battaglia e da Enrico Loncao”.
Sulla Mafia e sulle ragioni di un tacito se non manifesto consenso:
"Nell’insieme essa nacque e fu mantenuta dalla generale diffidenza contro il governo; dalla sua impotenza e dal malvolere nel rendere giustizia, dalla coscienza profonda che l’esperienza aveva dato agli uomini che la giustizia bisognava farsela da sé e non sperarla dai poteri pubblici."
E ancora:
"Il primo insegnamento è questo: che la mafia, che esiste in Sicilia non è pericolosa, non è invincibile per sé, MA PERCHÈ È STRUMENTO DI GOVERNO LOCALE. Questa è la prima verità incontrastabile.”
Napoleone Colajanni fece delle analisi accurate su questo fenomeno e suggerì delle soluzioni, auspicando un federalismo, un decentramento amministrativo e l’eliminazione delle due Italie. E per queste sue idee, fu inviso a tanti in quanto ebbe il coraggio dell’impopolarità, un politico sui generis in un paese in cui la menzogna e l’ipocrisia regnava sovrana.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Nel regno della mafia di Colajanni: in ristampa anastatica un testo fondamentale del ’900
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