Luciano Bianciardi ha scritto di cinema e il cinema si è occupato di lui e delle sue storie. L’autore del romanzo La vita agra – la storia di una “solenne incazzatura” - ha pure collaborato con la radio e nel 1965, insieme a Enrico Vaime, ha scritto il copione del radiodramma in due atti Come una grande famiglia, trasmesso dalla RAI il 18 gennaio 1966.
Inoltre, un suo racconto del 1967, intitolato Il prigioniero di Bull Run, è stato adattato da Mario Vani e trasmesso all’interno del programma “Radio per le scuole” il 20 aprile 1972.
Vediamo più nel dettaglio il rapporto tra l’intellettuale-bibliofilo Bianciardi e i media, in particolare televisione, radio e cinema.
Telebianciardi: Luciano Bianciardi e la televisione
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Bianciardi è stato pure un critico televisivo - lui stesso si definiva un “telespettatore professionista” - e dal 1959 al 1971 ha pubblicato più di 200 articoli sulla televisione nelle più varie riviste. La sua prima rubrica “Telebianciardi” apparve sull’edizione milanese del quotidiano l’Avanti e il 18 gennaio 1962 iniziò a recensire – sotto il titolo “Dada-umpa“ – i sabato sera di Studio Uno.
Sul settimanale anticonformista e anticlericale ABC l’11 febbraio 1968, Bianciardi scriveva che:
La famiglia italiana ha sempre, a cena, un ospite, e magari non lo sa...
Il convitato serale, anziché di pietra, è fatto di valvole, legno e vetro: è il televisore. Non appena la famiglia si mette a tavola, anche lui si siede, non mangia ma parla e canta: non uccide, certo, ma può fare di peggio. Può imbottire teste, formare opinioni, indurre ai consumi...
La citazione è tratta da Il convitato di vetro. Scritti di critica televisiva 1959-1971 (ExCogita edizioni, 2016).
Il rapporto tra Luciano Bianciardi e i media
Nel 2022 a Firenze gli sono state dedicate le giornate di studio “Bianciardi e i media. I periodici, la radio, la televisione e il cinema” e a Grosseto il convegno “Bianciardi critico televisivo”.
L’interesse di Bianciardi per il cinema gli fece fondare a Grosseto nel 1950 un cineclub dove proiettare pellicole di spessore poco note al grande pubblico e poi a collaborare con la rivista “Cinema nuovo” finanziata dall’editore Feltrinelli e diretta allora da Guido Aristarco, che diventa ne La Vita agra il personaggio del dottor Fernaspe, il puntiglioso direttore di un quindicinale dello spettacolo.
Nella primavera del 1953 a Livorno, durante il convegno annuale della Federazione dei Circoli del Cinema, Bianciardi conosce la giornalista, scrittrice e attivista comunista Maria Jatosti (Roma, 1929) – il personaggio della compagna Anna, bella e settaria, ne La vita agra - a cui si lega sentimentalmente e da cui ha un figlio.
Scrive Demetrio Marra, vicedirettore di Birdmem Magazine che:
Il rapporto biunivoco fra Cinema e Letteratura, negli anni di “formazione” e “crescita” di Bianciardi, non è solo realtà diffusa ma è realtà consapevole, a livello già dell’autocoscienza di una generazione di scrittori.
Luciano Bianciardi e il cinema
Il regista Carlo Lizzani nel 1964 diresse, sull’onda del successo editoriale del romanzo di Bianciardi, il film “La vita agra” interpretato da Ugo Tognazzi e Giovanna Ralli.
La trama del romanzo è nota ai lettori e agli estimatori dello scrittore e intellettuale grossetano, e rileggendo nel 2024 il romanzo pubblicato nel 1962 - ambientato nella Milano tra la fine degli anni ’50 e gli inizi del boom economico degli anni ’60 - e rivedendo la pellicola in bianco e nero di Lizzani si colgono, come spesso accade durante la trasposizione di un libro in un film, le diversità della trama e pure la torsione che fecero il regista e gli sceneggiatori per confezionare un prodotto di più facile comprensione per il grande pubblico che vuole divertirsi, più che pensare. Operazione di botteghino che svilì, in parte, la tensione e le argomentazioni socioculturali e antropologiche del romanzo.
“La vita agra”: le differenze tra libro e film
Non furono rispettate, rispetto all’originale, pure le riflessioni sociolinguistiche e glottologiche in quanto il Luciano Bianchi, maremmano e grossetano nel romanzo, diventa nel film un “Luciano Bianchi” originario di Guastalla.
L’accattivante interpretazione del cremonese Tognazzi svilisce, ahimè, il personaggio di Bianciardi e la sua rabbia esistenziale, trasformando in una macchietta l’intellettuale che aveva la missione di far esplodere con il torracchione di vetro, cemento e alluminio – il grattacielo sede del potere - il sistema capitalista e la metropoli che prospera con la logica della grana e dei dané sulla schiena e con la complicità dei lavoratori e dei cittadini in perenne corsa, insensibili a chi è diverso o a chi non ce la fa a tenere il ritmo.
È da leggere in questa prospettiva, nel romanzo e nel film, l’arresto in strada del protagonista per atteggiamento sospetto in quanto è lento e non sa camminare:
Io non cammino, non marcio... io mi fermo per strada, addirittura torno indietro, guardo di qua e guardo di là, anche quando non c’è da traversare.
Andare a passeggio a Milano, senza cravatta, da solo, se non proprio un reato è almeno un’anomalia. Nella Milano/Italia del boom economico per fare carriera e pure per sopravvivere:
Bisogna muoversi, scarpinare, scattare e fare polvere, una nube di polvere possibilmente, e poi nascondercisi dentro.
I piedi bisogna saperli battere bene e saper alzare la polvere o rischi il licenziamento per scarso rendimento, come accadde al Bianciardi in carne e ossa quando venne licenziato dalla Feltrinelli.
Recensione del libro
La vita agra
di Luciano Bianciardi
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L’intellettuale-bibliofilo-cinefilo-professore-traduttore e la sua disperata solitudine del Bianchi di Bianciardi si trasforma, nel Bianchi di Lizzani, in un intellettuale che si arrende, con tutti i vantaggi della sconfitta, agli agi di quella società consumistica che voleva far esplodere diventando un pubblicitario di successo.
Oggi qualcuno direbbe che quell’intellettuale dinamitardo e rivoluzionario, con due focolari accesi – moglie e amante - era un furbacchione.
Stessa operazione, tra Cinema e Letteratura, era accaduta nel 1963 al suo amico scrittore Lucio Mastronardi quando il regista Elio Petri diresse Il maestro di Vigevano affidando, sempre per motivi di botteghino, l’interpretazione del protagonista ad Alberto Sordi, trasformando in una caricatura il personaggio tragico del perdente maestro Antonio Mombelli, e svilendo anche in questo caso la dirompente carica ironica e sarcastica del romanzo ambientato nella Vigevano dei calzaturifici dove si corre, pestando i piedi e alzando la polvere, per fare i danè.
Altra, diversa incursione nel cinema è quella del racconto Il complesso di Loth pubblicato nel libro La solita zuppa e altre storie che diventa il soggetto della commedia erotica Il merlo maschio.
È un film del 1971 – l’anno della morte di Bianciardi - diretto da Pasquale Festa Campanile, con la partecipazione di una splendida Laura Antonelli e di un divertente Lando Buzzanca che interpreta un musicista, secondo violoncello d’orchestra, che confida alla sua analista l’interesse per le macchine fotografiche “con la pellicola che si sviluppa da sola... senza bisogno di portarla dal fotografo professionista”, con cui fotografare la moglie e se stesso in pose erotiche.
Nel 1964 il regista e sceneggiatore Giovanni Vento (1927– 1979), già aiuto regista di Lizzani ne La vita agra, dirige il documentario di dodici minuti Cronaca di una delusione: un incontro-confessione con Bianciardi e Maria Jatosti.
Luciano Bianciardi e la radio
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Nel 2022, anno del centenario della nascita dello scrittore grossetano, è stato ritrovato il copione radiodramma Come una grande famiglia, scritto insieme a Enrico Vaime, andato in onda su Radio RAI.
Tra gli interpreti ci sono Franca Valeri, che dà voce a ben tre personaggi, e Tino Scotti. Il testo è stato pubblicato dalla casa editrice Ex Cogita nella collana dei “Quaderni della Fondazione Bianciardi”.
La radiocommedia è andata in onda per la prima volta il 18 gennaio 1966 sul Programma Nazionale con la regia di Filippo Crivelli. È la storia del giovane Gianrico Francalancia, appena laureato, che lascia la provincia padana per andare a Milano nella speranza di fare il giornalista. Ha una lettera di raccomandazione scritta dal padre per un amico direttore del quotidiano “La Sera”. La relazione tra i due non funziona e dopo alcune incomprensioni il giovane, ancora in prova, viene licenziato. Solo dopo una serie di avventure, anche galanti, il giovane riesce, con l’aiuto del caso e pure per evitare uno scandalo sessuale, a ribaltare a suo favore la situazione e a farsi assumere.
Il prigioniero di Bull Run è un breve racconto tratto dalla raccolta La solita zuppa e altre storie edito da Bompiani.
È la storia, ambientata durante la guerra di secessione americana, di un giovane di Piombino, garzone di fornaio, soldato del Settimo volontari dell’Illinois, fatto prigioniero dall’esercito confederale durante la battaglia di Bull Run del 1861.
L’anno prima, il giovane fornaio nella città di Talamona si era arruolato come volontario per la campagna di Sicilia dei Mille di Garibaldi.
Per questa ragione i Confederali ebbero l’idea di uno scambio di prigionieri pensando che il giovane conoscesse bene il generale Garibaldi e di mandarlo in Italia per chiedergli di assumere il comando dell’esercito confederale. Ma la storia era un’altra.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Luciano Bianciardi tra cinema, radio e televisione
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