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Intervista a Ezio Mega, autore del libro "Il clochard che non accettava elemosine"

Ezio Mega racconta qualcosa di più sul suo libro "Il clochard che non accettava elemosine" e soprattutto spiega in che modo si è appassionato alla scrittura.

 Redazione
Redazione Pubblicato il 19-11-2019
Intervista a Ezio Mega, autore del libro "Il clochard che non accettava elemosine"

Ezio Mega è nato a Alezio in provincia di Lecce nel 1945. Oggi si presenta ai lettori con il suo nuovo romanzo Il clochard che non accettava elemosine, edito da Congedo nel 2019, suo terzo libro dopo Una storia del sud (2011, Congedo) e Padri e figli (2015, casa editrice LUPO).

L’autore ha collaborato con la rivista letteraria Anxa, pubblicando racconti brevi e poesie in italiano e in vernacolo. È vincitore inoltre di due premi di poesia essendosi classificato al primo posto, con una poesia in italiano e al terzo, con una poesia in vernacolo.
Oggi Ezio Mega ci racconta qualcosa che riguarda la sua ultima pubblicazione: Il clochard che non accettava elemosine .

  • Chi è Ezio Mega? Parlaci un poco della tua passione per la scrittura

Autodidatta, ho iniziato a scrivere per pura casualità. È da dieci anni che lo faccio. Non sono letterato di professione, tantomeno giornalista o accademico, professioni che nulla hanno in comune col lavoro che svolgevo prima di iniziare questa avventura letteraria: il metalmeccanico. Si, perché di un’avventura si è trattata e di un’avventura si tratta tuttora.

  • Come è iniziata questa avventura?

Discorrendo di letteratura con una persona a me molto vicina, le dissi che il mio sogno segreto era quello di scrivere un libro, ma non essendo uno scrittore, non mi sentivo di farlo. "Perché?" rispose lei. "Chi l’ha detto che chi scrive deve essere per forza un letterato. Se hai una storia bella, come mi hai detto, scrivila" mi esortò. Le risposi che per lei era facile parlare e soprattutto scrivere, essendo lei laureata in Lettere e per giunta insegnante di italiano. Come potevo io competere in quel campo senza cadere nel ridicolo? Cosa poteva mai uscire dalla mia penna e soprattutto dalla mia mente? "Tu inizia a scrivere" mi disse."Se non ti soddisfa, scrivilo ancora; se non ti piace, riscrivilo nuovamente fino a quando non sarai soddisfatto."

In un primo momento la considerai una follia. Poi con una certa incoscienza iniziai a farlo per davvero. Col computer è facile poi comporre, spostare, cancellare. Tra il serio e il faceto dopo un paio di anni mi ritrovai con un libro in mano. Cosa ne dovevo fare? Non lo sapevo proprio. Lo abbandonai in un cassetto della scrivania e non ci pensai più.

  • Come mai dici:-“Scrittore per caso”. Cosa significa?

Come già detto, ho cominciato a scrivere per gioco, dopo essere andato in pensione. Prima non era possibile. La famiglia, i figli, l’impegno del lavoro non mi permettevano di concentrarmi in quell’arte difficile, anche se piacevole, che è la scrittura. Scrivevo di notte, come tuttora faccio, per non essere disturbato innanzitutto e per nulla togliere alla mia famiglia. Farlo di giorno significava uno spreco di tempo inconcepibile con tutte le esigenze che una famiglia con due figli comporta, soprattutto quando tutti e due i genitori lavorano. Poi, pian piano è diventata quasi una professione, dato che è da dieci anni che ormai scrivo.

Sono stato un accanito lettore di libri già dalla prima giovinezza. Ho letto un poco di tutto, dai romanzi a fumetti e tutto quello che mi capitava tra le mani. Poi un giorno un mio amico mi dette un libro da leggere. Si trattava de “Il Gattopardo” di Giuseppe Tomasi di Lampedusa. Fu un’esperienza strabiliante. Scoprii in esso un mondo meraviglioso che ignoravo. A parte il fatto che non mi poteva capitare opera migliore per iniziare a leggere, la storia, il modo di raccontare dell’autore aprirono nella mia mente un mondo meraviglioso. Quello delle cose belle di un mondo fantastico senza confini, nel quale potevi spaziare e sognare senza che nessuno te lo impedisse, perché sogno e fantasia fanno parte di te stesso e nessuno può intromettersi nel mondo segreto del tuo essere.
Fu quello il primo di tanti libri, centinaia di libri, che lessi nel corso degli anni, di autori italiani e stranieri, scegliendo man mano le letture più consone al mio carattere e al mio modo di vedere le cose. Letture che in che seguito sono state fondamentali per il mio modo di esprimermi, formando il mio stile e plasmando il mio modo di raccontare. Mi hanno aiutato inoltre a superare un periodo di profonda crisi esistenziale, causata da un episodio drammatico cui avevo vissuto personalmente e che non riuscivo a superare. Grazie alla lettura, anche se non del tutto, almeno in gran in parte sono in pace con me stesso. Le due ore di lettura che mi concedevo al giorno riuscirono a sviare la mia mente dai cattivi pensieri.

La lettura era per me, in quel periodo della mia vita, un balsamo spalmato nella mia mente e nel mio animo tormentato, che riuscì a lenire il dolore che si annida sordo dentro di me, impedendomi di soccombere sotto il suo peso, riaccendendo in me quel briciolo di fiducia che mi permise di tirare avanti. Fu per questo la lettura una psicoterapia che mi permise di riacquisire la fiducia che mi ha permesso di strappare una cortina che mi impediva di guardare al futuro con un briciolo di ottimismo, dopo gli avvenimenti che mi avevano sconvolto la vita.

  • Dicci qualcosa di più dei tuoi autori preferiti

Non potevo permettermi di comprare libri in quel periodo, ero adolescente allora e la mia famiglia versava in una grave crisi economica. Era la mia una famiglia numerosa di origine contadina, composta da otto figli, più i genitori ovviamente. L’effetto Mussolini aveva dato i suoi frutti, per questo la mia famiglia era numerosa. Io ero il sesto della nidiata. A causa della prematura e tragica scomparsa di mio padre, colonna portante della famiglia, tutta la sua armonia si sconvolse trascinandoci in una profonda crisi famigliare ed economica. Quindi era impensabile spendere denaro per “inutili” libri. La carta stampata non ti dà da mangiare, dice un adagio.

La mia fortuna fu che in quel periodo, parlo degli anni sessanta, le case editrici, quelle importanti, decisero di promuovere la cultura stampando libri di grandi autori di tutto il mondo in versione economica. I famosi “Pocket” e gli “”Oscar” Mondadori, che promuovevano i capolavori della letteratura mondiale, che io compravo e divoravo letteralmente. Con essi ho passato i più bei momenti della mia adolescenza e con essi sono cresciuto culturalmente. Fu quella la mia fortuna. Lavoravo in quel tempo per centocinquanta lire al giorno. Mia madre, quando era possibile, mi elargiva centocinquanta lire la settimana (la paghetta settimanale come la chiamano oggi). Di più non era possibile. La utilizzavo per la maggior parte comprando libri e a volte per andare la domenica al cinema. Cosa questa che adoravo. Un vero lusso per me. Andavo nel primo pomeriggio nella sala cinematografica, l’unica in paese, e restavo fino a tarda sera rivedendo lo stesso film più e più volte. A volte ne davano due insieme. In quelle occasioni lo spasso era assicurato. Mi ubriacavo di immagini che poi mi accompagnavano durate tutta la settimana successiva durante le ore di lavoro.

Incontrai, ribadisco “incontrai”, perché per me quelle letture furono degli incontri meravigliosi, gli autori che leggevo. Incontri che sono rimasti dentro di me indelebili per sempre, ai quali tuttora mi ispiro quando devo scrivere qualcosa.
A partire da Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che fu il primo meraviglioso incontro, ho incontrato Hemingway (il mio compagno di avventure), Stainbeck (il mio padre putativo). Poi Silone, Soldati, Zola, D’Annunzio, Pirandello, Verga, Moravia (l’amico confidente dei sentimenti) col suo erotismo latente che tanto mi ha affascinato e poi ancora Pasolini coi suoi libri e i suoi films meravigliosi. Françoise Sagan, con le sue storie moderne della società del benessere dei suoi tempi. E poi Elsa Morante. Quanto mi ha fatto piangere col suo “La Storia”. Infine l’incontro con Oriana Fallaci. Non so quali aggettivi utilizzare per descrivere quell’immensa scrittrice che è stata. Solo con i superlativi lo potrei esprimere. È stata per me l’amica fedele, la sorella maggiore, consigliera e confidente dal quale fidarsi ciecamente, da prendere come esempio e portare sottobraccio, passeggiando e prendendo un aperitivo insieme con lei. E poi… discorrere, discorrere e discorrere fino a terminare tutte le parole.

Con impegno certosino cercai di decifrare la letteratura russa, intendo i classici. Ma ogni volta che mi proponevo di leggerne uno non riuscivo mai a finirlo. Arrivato ad un certo punto, assalito dall’angoscia e dallo sconforto, lo dovevo abbandonare incapace di proseguire. Questo per il fatto che la maggior parte degli scrittori russi raccontavano situazioni di fame, di freddo, di miseria e di disperazione. Di gente disperata travolta da destini ineluttabili senza nessuna possibilità di riscatto. Mi demoralizzavano quei racconti. Forse perché rispecchiavano il disagio che in quel periodo della mia vita stavo vivendo? Non lo so. Fatto sta che alla fine non riuscii a leggerne neanche uno. Fino a quando non ho incontrato l’immenso Dostoevskij. Lui è riuscito a farmi trovare la chiave di lettura per comprendere quella letteratura. Il suo modo di raccontare mi intrigava e mi coinvolgeva totalmente. Sopratutto per il fatto che oltre che al modo di raccontare coinvolgente e drammaticamente disperato, lasciava infine una possibilità di riscatto e di redenzione, di purificazione ai suoi eroi che trovano infine la forza di reagire riscattando la loro vita misera e grama.
Infine passai ai classici: Dante, Boccaccio, Ariosto, Omero,ecc. ecc..

Non ho disdegnato neppure la letteratura erotica. È stata anche quella motivo per completare il mio personale percorso di formazione letteraria. Poi, anche perché come adolescente, ero curioso come tutti gli adolescenti, di approfondire quello argomento tabù in famiglia e dintorni. Come adulto, poi, mi è servita per condire garbatamente i miei romanzi di quell’indispensabile curiosità che suscita in tutti noi l’erotismo. Infondo, poi, un po’ di malizia non guasta mai in un libro di narrativa. E’ stato per me quello l’insegnamento carpito qua e la, che mi ha permesso di esprimermi una volta iniziato questo percorso letterario in modo accettabile, semplice e comunicativo, che, come dicono, mi distingue. Una specie di infarinatura che mi è rimasta appiccicata addosso di cui non voglio liberarmi, anzi, cerco di non fare movimenti bruschi perché ciò non accada, né ora, né mai.

  • Parlaci adesso del libro che vuoi presentare: “Il Clochard che non accettava elemosine”. Come mai questo titolo?

Il titolo è stato ispirato dalla storia che racconto. Svolgendosi essa in un contesto di gente povera e reietta, dimenticata da Dio e dagli uomini mi è sembrato inevitabile scegliere questo titolo.

  • Dicci qualcosa di più sulla trama

Si tratta di un uomo, che in piena crisi famigliare, abbandona casa e famiglia per andare a vivere in mezzo alla strada tra mendicanti, derelitti e offesi, dimenticati da Dio e dalla società. Vivrà per questo situazioni sconvolgenti e drammatiche che gli cambieranno la vita e il suo modo di vedere la società e il prossimo.
Farà vari incontri di gente che come lui ha scelto di vivere, o vi è stata costretta, in mezzo alla strada, coi rischi che questo comporta, subendone poi le conseguenze.

Il protagonista, come un moderno Ulisse, va in giro per la città in cerca di se stesso e della sua perduta Isola. Incontrerà in questo peregrinare, vari personaggi, coi quali spartirà la disperazione. Gente che poi cercherà di aiutare spronandoli e non lasciarsi andare. Diverrà per questo un angelo della notte che della notte farà il suo regno per rendersi disponibile e utile ai più disperati di lui.

  • Riuscirà poi a trovare la via del ritorno?

Questo dovranno scoprirlo i lettori se avranno voglia e interesse a leggere il libro. Aggiungo solo che il libro è scritto in modo semplice, facile da leggere, senza orpelli linguistici e tortuose macchinazioni. Lo stile è leggero, scorrevole e intrigante. Qualcuno ha asserito che, quando si cominciano a leggere i miei libri, non si è capaci di staccarsene se non quando è giunta la fine.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Intervista a Ezio Mega, autore del libro "Il clochard che non accettava elemosine"

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