Francesca Bertuzzi nasce a Roma nel 1981. A 22 anni consegue il master biennale in Teoria e Tecnica della Narrazione alla Scuola Holden di Torino. Successivamente segue un laboratorio di regia diretto da Marco Bellocchio e Marco Müller. Negli ultimi anni si è dedicata alla scrittura cinematografica, vincendo premi e riconoscimenti internazionali con diversi cortometraggi. Ha lavorato al backstage, da lei diretto e montato, del film ‘Vallanzasca- Gli angeli del male’ di Michele Placido. ‘Il carnefice’, pubblicato da Newton Compton e per molte
settimane ai vertici dei libri più venduti, è il suo esordio nella narrativa.
Francesca, ti do il benvenuto a quella che non sarà la solita intervista chilometrica, ma solo 4
chiacchiere contate.
- Prima chiacchiera: Un bel giorno ‘Il carnefice’ è quinto in classifica. “E ‘sta Francesca Bertuzzi
da dov’è uscita?” sarà stata la domanda di molti, oltre che la mia. In un’intervista dichiari
che pur non avendo pubblicato nulla prima del tuo romanzo, hai dedicato tutta la tua vita alla
scrittura. Ci racconti il lavoro, la fatica, le attese, le letture, qualche aneddoto, gli anni passati a
preparare la strada, a costruire in silenzio il tuo successo?
Sì, quando ho visto il mio nome in classifica mi sono immaginata i grandi nomi che mi precedevano
girarsi e chiedersi E questa chi è? In effetti poteva sembrare che fossi spuntata all’improvviso. In realtà
è da quando sono molto giovane che ho deciso di scrivere e non mi sono lasciata molte alternative. Ho
studiato alla Holden e poi ho cercato di ottimizzare ogni sforzo verso la realizzazione del mio primo
romanzo, che poi è Il Carnefice. Prima dell’incontro con la Newton Compton ho anche passato dei
momenti in cui, in attesa di risposte, avevo iniziato a perdere la speranza, a pensare che potessero
esserci strade precluse, ma ad oggi, dopo aver incontrato persone come Alessandra Penna e Raffaello
Avanzini, tutto quello che c’è stato prima della pubblicazione è come annullato. Non ho dimenticato,
ma ora so che c’è una realtà imprenditoriale forte e pulita e per me farne parte è un onore.
- Seconda chiacchiera: Danny è nata in Africa, ma vive a San Buono, un paesino dell’Abruzzo
dove tutti la conoscono. Fierezza, schiettezza e testardaggine animano il suo spirito che pare più
abruzzese che africano. Qual è il tuo rapporto con l’Abruzzo che tu chiami il Texas d’Italia e
come mai hai scelto proprio San Buono come teatro delle vicende del tuo thriller?
San Buono è la terra natia dei miei nonni, dove affondano le radici e le tradizioni della mia famiglia.
Volevo dare a Danny le caratteristiche tipiche degli abruzzesi, che sono proprio quelle che hai citato
nella domanda. In più lo scenario torrido dell’Abruzzo d’estate mi sembrava calzante per il genere che
volevo affrontare, e perfetto per strizzare l’occhio alla letteratura e al cinema di genere americani. Così
mi sono trovata nelle location in cui trascorrevo le estati della mia infanzia per far provare a Danny le
sensazioni e farle sentire gli odori che io avevo ben conosciuto.
- Terza chiacchiera: Danny è una donna che vive una condizione sociale complicata. Si ribella ai soprusi, non si piega all’idea di meritarli. Crede nell’amicizia, quella di una vita con Drug Machine più volte la salva. Qual è la tua idea di giustizia? E di amicizia? Non ti conosco, ma ho la sensazione che tu e Danny vi assomigliate moltissimo.
È vero. A Danny ho dato tantissime caratterizzazioni che mi appartengono. In più lei ha la forza e la
determinazione tipiche dell’eroe. Nella scrittura di un romanzo si può decidere di far andar le cose
come noi vorremmo che andassero. Il genere poi permette di guardare dentro i grandi chiaroscuri
del bene e del male tracciando confini netti, e consente all’autore di schierarsi, facendo venir fuori la
propria idea di giustizia. Per quanto riguarda l’amicizia con Drug Machine, direi che è al cento per
cento l’idea che io ho di un legame forte e incondizionato, simile in tutto e per tutto alla forza dei
rapporti familiari.
- Quarta chiacchiera: ‘Il carnefice’ è uscito qualche mese dopo ‘Il divoratore’ scritto da Lorenza
Ghinelli, altra fortunata scoperta della tua casa editrice. A legarvi non sembra essere soltanto il
titolo affine dei vostri libri. Ho letto che siete state compagne di classe alla Holden. Che aria si
respira nelle stanze della scuola di scrittura più desiderata d’Italia? C’è spazio per un’amicizia
disinteressata oppure l’ambizione e la voglia di arrivare tolgono fiato al resto?
Sì, io e Lorenza eravamo nella stessa classe, ed evidentemente abbiamo avuto una fortuna e una
determinazione comune. Quando ripenso ai nostri percorsi paralleli per quanto distanti, mi viene quasi
da pensare a una sorta di destino. Per come l’ho vissuta io, la Holden è stata una scuola che mi ha dato
molto, e fra le tante cose che mi ha dato, mi ha anche fatto conoscere i miei migliori amici. Non ho mai
vissuto la scrittura come una competizione. Per me è più un mezzo per viaggiare e vivere avventure, e
le persone con cui ho condiviso quei due anni sono poi quelli da cui ho imparato di più.
Questa era l’ultima chiacchiera: non mi resta che salutarti e ringraziarti per aver accettato il mio
invito. Se vuoi lasciare un messaggio al mondo intero, qui puoi farlo.
Per quello che ho potuto vedere, lungo la strada si possono incontrare sbarramenti, persone che hanno
un certo potere e che decidono di non farci andare avanti. Quando ci si trova all’angolo, bisogna
ricordarsi che queste persone sicuramente un potere ce l’hanno, ma è solo quello che noi decidiamo di
dare loro. A volte può bastare cercare un’alternativa per trovarla.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Francesca Bertuzzi
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