Il romanzo Death Stranding, scritto da Hitori Nojima, è basato sul videogioco ideato da Hideo Kojima, forse il secondo più grande director di videogame dietro Shigeru Miyamoto, il papà di Super Mario. Si sta parlando dunque di un libro non originale, prodotto più come merchandising del titolo uscito per Playstation 4 e Pc che come opera a sé stante. Risultando però Nojima cosceneggiatore del titolo ed essendo il romanzo di pregio, per fattura, qualità della carta, stile di scrittura e grafica non si può trattare questo romanzo come il classico libro tie-in, uscito per accompagnare l’uscita di Death Stranding sulle console e accalappiare l’interesse dei videogiocatori. Anche perché è godibilissimo per coloro che non hanno giocato e non hanno intenzione di giocare al titolo uscito nell’autunno del 2019.
Il romanzo è pubblicato in Italia in due volumi racchiusi in un cofanetto da J-Pop (n.d.r. etichetta dedicata ai fumetti giapponesi del gruppo Edizioni BD), con la traduzione di Davide Campari.
Di cosa parla Death Stranding?
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Questo quesito difficilmente avrà una risposta chiara, in quanto è molto difficile descrivere a parole il contenuto dei due volumetti che formano il romanzo, senza commettere spoiler e descrivere in maniera comprensibile la trama per un profano che non hai mai tenuto un pad alla mano.
In breve potremmo dire che Death Stranding parla di Sam Porter Bridges, un corriere che si assume il compito gravoso di far rimanere in contatto le persone, nell’America post apocalittica di un futuro più che prossimo… imminente.
Potremmo però anche dire che Death Stranding parla di come la storia della vita sia destinata alla morte e alla rinascita, all’estinzione e all’inevitabile decadenza di tutta la materia, in un universo costituito da leggi fisiche che prevedono l’annientamento di qualsiasi piano materiale, spirituale e fisico.
Se poi volessimo approfondire ulteriormente la trama, potremmo anche aggiungere che Death Stranding tratta il tema della solitudine, della corruzione tecnologica che sostituisce l’origine biologica dell’esistenza e di come il tempo sia solo un surrogato della nostra concezione di coscienza, in quanto entità fisica modificabile come il concetto di spazio e di memoria.
È sempre difficile andare a condensare in una breve recensione la visione autoriale di un libro che sembra trattare temi apparentemente slegati, ma che invece l’autore riesce a fondere benissimo. Se però dovessimo trovare un grande pregio di questo romanzo – come nell’opera originale – non possiamo non sottolineare il modo con cui Nojima con il contributo di Kojima abbia
- delineato le personalità dei personaggi, rendendoli più reali degli stessi attori che li hanno interpretati nel videogioco e sopra la copertina del libro,
- previsto il prossimo futuro, che per noi che ci affacciamo all’alba dell’anno 2023 è già passato.
Death Stranding, infatti, nella sua visione artistica di condivisione e lotta per le risorse, nel suo costante riferimento alle fasi di un’apocalisse, nell’autunno del 2019 ha profetizzato quello che sarebbe avvenuto a partire dal febbraio/marzo dell’anno successivo: lockdown, migliaia di morti, una misteriosa pandemia che costringe le persone a nascondersi e a tentare di sopravvivere dentro casa, i corrieri costretti a rifornire di qualsiasi cosa le abitazioni di mezzo mondo, mentre alcuni sciacalli e politici corrotti tentano di afferrare le maggiori ricchezze, con la scienza che diventa un faro per i pochi che si lasciano guidare dalla logica e non dalla paura. Anche di questo parla Death Stranding, seppur gli eventi della trama portano all’estremo le conseguenze di questi comportamenti poiché presenti in un mondo molto meno fortunato rispetto al nostro.
Se dovessimo però trovare un elemento cardine dell’intera opera, per quanto vista sotto una lente differente, legata al mondo della fantascienza, non possiamo non considerare il tema legato alla paternità come focus centrale dell’intero intreccio della trama.
Non una paternità ostentata e neppure voluta, se non durante le battute finali del libro. Comunque si tratta di una paternità vissuta, che spinge il protagonista a vivere all’estremo le sue conseguenze e a rivivere inavvertitamente la condizione di figlio, forse l’unica condizione che accomuna tutti gli esseri umani, per quanto orfani e sperduti.
L’entità estintiva nel romanzo come nel videogioco ci ricorda che il delicato equilibrio fra la vita e la morte, fra l’essere padri ed essere figli, è solo la regola che permette alla vita di sopravvivere a sé stessa e produrre qualcosa di nuovo, per quanto condannata comunque all’oblio.
Se siete dunque degli amanti di trame semplici ma che nascondono al loro interno un’ingente dose di complessità, se siete amanti della fantascienza e delle applicazioni filosofiche sulla vita di tutti i giorni, vi consiglio di prendere questo libro, edito da J-Pop, e successivamente – se volete concedergli una chance – di provare anche il gioco.
Entrambi sono ottimi prodotti. Il gioco in breve può essere considerato come un gestionale in terza persona dalla grande trama, dalla regia cinematografica e con grossi attori a interpretare il ruolo dei protagonisti. E basti considerare come da questo romanzo e dal videogioco presto seguiranno un sequel – sempre esclusiva Playstation – e un film ufficiale che sbarcherà al cinema, per farvi rendere conto come in questa trama si nascondono più sorprese di quanto possiate immaginare all’inizio.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Death Stranding: dal videogioco al romanzo (da non perdere per gli amanti della fantascienza)
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