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Il caso Genovese interpretato attraverso un libro del Marchese de Sade

Rosa Aimoni, collaboratrice di Sololibri, analizza il "caso Genovese", attualmente agli onori della cronaca, attraverso il Marchese de Sade. Da cosa nasce il sadismo? Le vittime ne hanno colpa?

Rosa Aimoni
Rosa Aimoni Pubblicato il 12-12-2020
Il caso Genovese interpretato attraverso un libro del Marchese de Sade

I libri parlano di noi, del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro. Il libri classici, considerati letteratura universale, ci aiutano a comprendere anche i fatti contemporanei, che sembrano così distanti dal periodo in cui tali opere sono state scritte. La potenza della vera letteratura è quella di enucleare ciò che è eterno, distinguendolo dal contingente, e di descriverlo consegnandolo alla storia. Ecco perché ogni libro classico ci riguarda.
Fatta questa premessa, non potevo non parlare del cosiddetto "caso Genovese", attualmente agli onori della cronaca, e lo farò citando un libro di un grande autore: Justine, ovvero le disgrazie della virtù del Marchese de Sade. Il romanzo, pur essendo stato scritto da un autore vissuto fra il 1700 e il 1800, può considerarsi ancora attuale.

Il caso Genovese

I lettori converranno con me nel definire i presunti abusi commessi dall’imprenditore Alberto Genevose alla sua vittima, una ragazzina di appena 18 anni, come atti di sadismo. Descrivo brevemente la vicenda per coloro che non ne sono ancora a conoscenza (devo usare il condizionale fino a quando la sentenza non sarà definitiva).

Alberto Genovese, un imprenditore di successo, avrebbe violentato per ore una giovane ragazza, sottoponendola a diverse sevizie. I fatti sarebbero accaduti durante una delle tante feste organizzate nel suo super attico di Milano, conosciuto anche per la cosiddetta "Terrazza Sentimento", un ampio belvedere spesso utilizzato per i ritrovi.
Le violenze, perpetrate alla vittima dopo averla condotta in una stanza privata, sarebbero confermate da alcuni filmati ritrovati nella casa. Attualmente, Genovese è in carcere in regime di custodia cautelare.

Veniamo dunque alla domanda che tutti ci saremo posti: Ma perché alcuni uomini arrivano a commettere azioni simili su altri esseri umani provando piacere?
Partendo dal presupposto che è impossibile analizzare la mente di Alberto Genovese, perché non lo conosciamo, possiamo trovare nel libro di de Sade una risposta, universalmente valida per tutti i casi simili a questo. Chi, come me, ha avuto modo di leggere il libro, ha potuto gustarne l’alto stile semantico e l’acutezza nella descrizione dei personaggi.

Il libro di de Sade

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Ripercorriamo in breve la storia del libro. Justine è una sfortunata ragazza di famiglia benestante, che rimane orfana. Nel corso della sua vita tenta disperatamente di trovare una sistemazione adeguata e accettabile, insomma il suo posto nel mondo, ma durante il suo cammino non fa altro che incontrare persone di potere fortemente sadiche, che infliggono alle loro vittime, non consenzienti, ogni sorta di tortura, fisica, psichica e sessuale.
Per il fine che mi propongo in questo scritto, prenderò in considerazione la versione del libro che ho letto io, ovvero quella dei grandi tascabili economici Newton, dalla quale estrapolo questa frase:

"Nessuna sensazione è così intensa come quella del dolore; le sue impressioni sono sicure, non si ingannano come quelle del piacere che le donne recitano perennemente e non provano quasi mai; del resto, quanto amor proprio, quanta gioventù, quanta forza, quanta salute servono per essere certi di produrre in una donna questa dubbia e poco soddisfacente sensazione di piacere. Quella del dolore, al contrario, non ha alcuna esigenza: più difetti ha un uomo, più è vecchio, meno è amabile, più gli sarà facile provocarla".

Una nota a commento della frase, sottolinea che:

"Questo passo si presta ad un’interessante interpretazione del sadismo: il sadico non sarebbe mosso da un istinto di certezza e superiorità ma, al contrario, dall’incertezza delle proprie capacità e da un senso di inferiorità".

De Sade vuole dire che il piacere lo si incontra quando si cagiona negli altri "la più forte impressione possibile". Un uomo che non ha autostima pensa di poter provocare questa "forte impressione" non attraverso il piacere, ma solo attraverso il dolore:

"Non si eccitano mai i propri sensi come quando si produce nell’oggetto che serve la più forte impressione possibile, quali che siano i mezzi impiegati; colui che farà dunque nascere in una donna l’impressione più tumultuosa, che sconvolgerà al meglio la costituzione del suo organismo, sarà riuscito decisamente a procurarsi la massima dose di voluttà..."

Per De Sade la nostra soddisfazione dipende dall’entità dell’impressione che noi suscitiamo nel prossimo. Se non riusciamo a farlo tramite il piacere, lo faremo tramite il dolore. Come il contadino si compiace nel vedere la sua zappa fendere la terra, così noi godiamo solo quando provochiamo negli altri qualche sensazione, in bene o in male. Nulla ci turba di più dell’indifferenza.

"Mi vogliono solo per i soldi"

Tornando al caso Genovese e altri simili, si possono fare queste considerazioni. Alcuni uomini pensano di poter sedurre il sesso femminile attraverso doni e regalie, dove per doni intendo dire anche la prospettiva di una nuova posizione sociale.
Tali uomini (sottolineo che non sono tutti) non pensano mai bene di se stessi, perché si vedono solo come oggetto di scambio (io ti do, tu mi dai).
Questa cultura provoca una scarsa stima nel soggetto, che per primo si attribuisce un valore solo in quanto depositario di ricchezze, e non in quanto persona. Da qui può scaturire una sorta di "vendetta" inconscia verso il genere femminile, che si può tramutare anche in sadismo.

Seguendo il filo di questo ragionamento, si può concludere che soggetti di questo tipo che usano la ricchezza accumulata, e non anche la loro interiorità, per attirare le ragazze, non abbiano per niente autostima, perché non credono di riuscire, in quanto uomini, a far provare emozioni positive. E quindi compensano questa carenza con atti di violenza.

Il successo e l’autostima: una falsa correlazione

Per quanto possa sembrare strano, il successo non porta necessariamente all’autostima. Se io, invece di scrivere questo articolo, scrivessi in una rubrica erotica, probabilmente avrei molto più successo, ma non sarei soddisfatta. È per questo che non lo faccio. Questo vuol dire che l’autostima dipende solo da noi, dalla nostra autovalutazione.
Pertanto, l’aver avuto successo negli affari, come successo a Genovese, non comporta automaticamente un miglioramento dell’autostima, e non è contradditorio pensare che un uomo come lui possa esserne privo.
Queste riflessioni mi portano a pensare che De Sade avesse ragione. I sadici non si apprezzano.

La vittima non ha mai colpa e non se la va a cercare

La protagonista del libro di de Sade è una donna virtuosa, ma la sua virtù non riesce a salvarla. In realtà, il sadico non fa differenza fra donna virtuosa e dissoluta, questo vuole dire che persino una suora, o più semplicemente una ragazza che non vada alle feste di Genovese, possa esserne vittima.
Solo persone dalla mente molto banale possono attribuire colpe alle vittime di simili depravazioni. Tutte le donne, dalle suore alle prostitute, alle tranquille madri di famiglia di provincia possono avere la sfortuna di incontrare un carnefice, e non solo a feste o festini.
Infatti, nel libro di de Sade la sfortunata protagonista viene paragonata alla sorella, la quale, piegandosi al vizio e a una società corrotta, riesce a conquistarsi un’eccellente posizione sociale.

Stringiamoci quindi intorno alla vittima di questa orribile vicenda, ragazzina di appena diciotto anni, e facciamole sentire tutta la nostra solidarietà, il nostro calore e il nostro affetto.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il caso Genovese interpretato attraverso un libro del Marchese de Sade

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