Dici Nanni Balestrini e ti viene di pensare - d’amblè -
- a un epos movimentista, barricadero, stradarolo;
- a una letteratura organica alla lotta di classe, all’impegno, alla coscienza sociale;
- al romanzo come atto di necessità, come racconto civile, chiave di volta per la presa di coscienza.
Persino la sua “lingua” (il balestrinese) diverge dal già tracciato, incline com’è agli up-tempo e alle decelerazioni (si direbbe in musica), alla pura sperimentazione: una scrittura-flusso di coscienza, consapevole, “parlata”, post-cronistica, sloganista, pre-narrativa. Inutile tirarla per le lunghe, la “forma” espressiva di Balestrini non la scopro certo io, è così che stanno le cose, punto e basta. Metti un passaggio a caso (un frame) del suo libro cult sul Sessantotto, quel “Vogliamo tutto” rieditato adesso come memento resistenziale dalla coraggiosa DeriveApprodi. Metti una di filato all’altra “voci” e un ritmo come questi:
“E sono uscito fuori. Sono uscito fuori e c’erano lì tanti operai e studenti davanti. C’erano davanti al cancello tutti i compagni che parlavano della lotta. C’erano lì i compagni che dicevano che avevano fatto bene a menare i guardioni. Che quel giorno era stata una grossa lotta una grossa soddisfazione. E abbiamo fatto la riunione poi e tutte queste cose qua. Sono venuti in massa gli operai nel bar tanti che non ci si entrava” (pag. 94).
In questo meta-romanzo si discetta così, senza fiato, senza una virgola, una punteggiatura, un attimo di pausa, per quasi duecento pagine di cronache di un Sessantotto spartiacque: alle spalle la stagione utopica e spensierata dei Sessanta, davanti l’autunno caldo delle rivendicazioni sociali e lo spettro di piazza Fontana (1969), che darà la stura alla strategia della tensione. Perché “Vogliamo tutto” è l’anno fatidico inquadrato “dal dentro” di Potere Operaio, dello strapotere padronale (leggi Fiat), della questione meridionale, delle grandi prove generali della rivoluzione (fosse anche una rivoluzione in minore com’è stata quella italiana), che, come si sa, non è mai un pranzo di gala e lascia giocoforza sul suo cammino un bel po’ di vite e di macerie. Un romanzo che, per dirla con Luciana Castellina, “è innanzi tutto un documento politico”, il romanzo-cardine della corposa bibliografia di Nanni Balestrini, il più coerente, icastico, ironico, elegiaco, sfrontato dei narratori italiani. Soprattutto chi, per ragioni diverse, si fosse perso l’edizione “storica” del 1971 (Feltrinelli) vada a recuperare questo libro: a leggere davvero bene ci stanno dentro anche i prodromi della deriva ideologica attuale.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Vogliamo tutto: una nuova edizione del romanzo di Nanni Balestrini
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