Alessandro Baronciani nasce nel 1976. Ha iniziato a farsi conoscere autoproducendo
albetti fotocopiati che spediva tramite posta alle persone che si abbonavano, fino a
raggiungere un pubblico sempre più vasto. Un esperimento diventato un piccolo caso
editoriale nel mondo del fumetto e un traguardo straordinario per un’esperienza di auto-produzione. Queste storie sono state poi raccolte nel volume ‘Una storia a fumetti’
pubblicato nel 2006 da Black Velvet Editrice. Per la stessa casa editrice pubblica il
romanzo a fumetti ‘Quando tutto diventò blu’ e ‘Le ragazze nello studio di Munari’.
Ha pubblicato illustrazioni in numerose riviste e lavora come grafico per le case
discografiche firmando le copertine di gruppi e cantautori come Bugo, Perturbazione, Tre
Allegri Ragazzi Morti e Baustelle. Tiene una rubrica a fumetti sulla storia della musica su
Rumore magazine. Nel 2010 per Rizzoli esce ‘Mi ricci – l’amore ai tempi del T9’, la
storia di un amore giovanile, quando il T9 ci mette lo zampino.
Alessandro, ti do il benvenuto a quella che non sarà la solita intervista chilometrica,
ma solo 4 chiacchiere contate.
- Prima chiacchiera: È vero che hai iniziato facendoti raccontare storie che poi
disegnavi e raccoglievi in una rivista solo per gli abbonati, che in poco tempo ha
raccolto più di 500 adesioni? Qual è al momento l’opera o l’esperienza lavorativa di
cui vai più fiero? E l’incontro che ti ha segnato?
Mica tanto in poco tempo. Ci sono voluti quasi quattro anni. Le autoproduzioni e in
generale questi lavori funzionano soltanto se sei costante nel tempo. Ogni tanto
presentare qualcosa di nuovo, o un nuovo capitolo della tua storia. Così crei un legame
forte con i tuoi lettori. Ti senti meno stupido quando disegni, perché sai che qualcuno sta
aspettando quello che fai, o meglio ha già pagato per averlo.
Sono molto fiero di tutte le esperienze lavorative che ho fatto. Ho iniziato a lavorare in
un’agenzia pubblicitaria dove ho imparato l’importanza di lavorare in gruppo. Si impara
osservando e anche ascoltando gli altri. Scritto così però sembra una di quelle frasi a
effetto che poi non vogliono dire niente. Insomma non è che ascoltando il tipo che passa
sotto casa si impara qualcosa, magari non gli interessa neanche quello che gli stai
chiedendo, però in un gruppo di persone che lavorano con te e che mettono tutto quello
che sanno vengono fuori degli ottimi lavori.
Non so dire quale è stato l’incontro che mi ha segnato di più. Il primo forse è stata la mia
maestra delle elementari che mi consigliò la Scuola del Libro di Urbino e poi i miei
insegnanti della Scuola del Libro: Michele Tranquillini, bravissimo illustratore, che mi ha
portato a Milano con uno stage per diventare visualizer e mi ha fatto capire come entrare
nel mondo della pubblicità e della illustrazione; Davide Toffolo, grande disegnatore,
musicista, fumettista e amico con cui ho vissuto parecchi anni nel mio appartamento a
Milano dove è passata, più o meno a dormire e far colazione, quasi tutta la scena
musicale indipendente italiana. Ospitavamo tutti i gruppi che suonavano in città o che
avevano un day-off tra un concerto e l’altro. Per un periodo abbiamo chiesto a tutti di
lasciare una firma sul muro, poi però alla mattina mi svegliavo con l’impressione di
vivere in uno squat e abbiamo tinteggiato.
- Seconda chiacchiera: Spieghi a un non addetto ai lavori le differenze fra il fumetto
classico e la graphic novel? Cosa spinge secondo te anche autori di bestseller a
sperimentarsi in un ambito che a prima vista sembrerebbe avere poco a che fare
con la letteratura pura?
Non so cosa spinga autori di bestseller a sperimentarsi in un ambito a prima vista che non
sembra letteratura pura, forse il mercato. O forse perché il mondo sta per essere divorato
dalle immagini e quindi anche i libri si stanno adeguando. Il fumetto classico, come
probabilmente intendi tu, è quello che si trova in edicola e ha sempre come personaggio
principale un eroe o un supereroe e di solito a un disegnatore viene associato un
sceneggiatore che scrive la storia. Per anni il fumetto, più o meno, è stato considerato in
questa accezione. In realtà il fumetto è un medium caustico e sempre originale che permette di
raccontare in modo diverso e sempre nuovo il fantastico o il reale. Maus di Art
Spiegelman spiega meglio di altri cosa intendo per fumetto. Il libro racconta le vicende di
un ebreo rinchiuso nei campi di concentramento durante la seconda guerra mondiale in
modo inedito e graficamente mai vista prima: gli ebrei sono topi, i gatti sono tedeschi, gli
americani sono cani. Oppure Pyongyang di Guy Delisle, dove disegna la sua esperienza
lavorativa come art director di cartoni animati che per lavoro è costretto ad andare in
Corea del Nord dove sappiamo esiste un regime fanta-comunista. Un disegnatore non ha
bisogno di fare fotografie di un luogo: si ricorda quello che ha visto e disegna quello che
si ricorda. Quindi Delisle invece di fotografare una stazione del treno di Pyongyang –
cosa per cui si potrebbe rischiare giorni di galera – una volta tornato in patria racconta e
denuncia in maniera ironica e divertita quello che ha visto. Memorabile nel libro è la
scena del ponte arrugginito che viene continuamente verniciato dai volontari del popolo
per evitare il peggio.
I fumettisti sono dei nuovi narratori. Registrano e illustrano quello che vedono e lo fanno
sempre meglio. Penso all’ultimo libro di Igort sul viaggio in Ucraina, oppure ai manga di
Taniguchi, alle storie del gatto del rabbino di Sfar, alla comicità di Tuono Pettinato su
Garibaldi, o alla rivisitazione del genere thriller-horror nel primo libro di Ratigher. È un
mondo in espansione e lentamente le grandi case editrici se ne stanno accorgendo.
Sul termine graphic novel, secondo me è andata così: un giorno dovevano mettere un
nome in alto nello scaffale dedicato ai nuovi fumetti nelle librerie e hanno trovato quello.
Il nome viene da una risposta che diede Will Eisner quando gli domandarono che cosa
esattamente stesse disegnando. Novel in America è la parola che viene messa insieme al
titolo e al nome dell’autore nella copertina dei libri. In Italia ci scriviamo “romanzo” loro
ci mettono “novel”. Graphic sta per disegno o illustrato. Quindi romanzo grafico o
illustrato. Che però in italiano un libro grafico non vuol dire niente mentre un romanzo
illustrato ricorda troppo un libro per ragazzi e quindi l’hanno lasciato in inglese. Un po’
come negli anni ottanta quando si voleva far credere di pubblicizzare qualcosa di nuovo e
lo battezzavano in inglese per creare più effetto.
- Terza chiacchiera: Tu nasci come fumettista, lavori come illustratore per le case
editrici e discografiche. Com’è stato il passaggio da fumettista ad autore del
libro ‘Mi ricci’ e come ti è venuta l’idea? Il T9 ha tradito anche te?
Mi piacerebbe diventasse una professione fare il fumettista, ma per adesso lo faccio
soltanto ad agosto o nei viaggi in treno tra Pesaro e Milano. Mi piacciono molto i fumetti e
si può dire che li leggo da quando ancora non sapevo leggere. Ho imparato a leggere con
i fumetti. Prima i baloon con poche parole e poi quelli con più righe. Hai presente
Asterix? L’avrò letto centinaia di volte. All’inizio guardavo soltanto le figure, impazzivo
per le espressioni e le sberle ai romani. Poi un po’ alla volta, con gli anni ho scoperto
tutto il resto. Anche oggi se lo prendo in mano scopro sempre qualcosa di nuovo. Le
ricostruzione storiche di monumenti e strade o tipo... hai mai provato a leggere Asterix
guardando soltanto cosa fa Idefix?
Mi ricci! era un’idea che avevo avuto un po’ di tempo fa. Una serie di errori che avevo
notato mandando via sms e che mi ero appuntato sul blocco da disegno. Volevo scrivere
e disegnare un libro per ragazzi, di solito mi capita soltanto di illustrare. Per scriverlo ci
ho messo tanto e devo dire grazie a Beatrice Masini che mi ha sostenuto e appoggiato per
tutto il tempo necessario a finirlo. L’idea alla base di Mi ricci! oltre al T9 era un libro
illustrato tipo prescolare, come quelli che si regalano ai bambini, ma indirizzato a ragazzi
delle medie. Quindi illustrazioni sparse tra le pagine e in animazione. E una cosa a cui
tenevo, sai come succede: all’inizio ti regalano libri bellissimi colorati e con tante
illustrazioni e poi crescendo le illustrazioni diventano sempre meno fino a scomparire.
Sai com’è, la mia generazione è cresciuta a 32esimi con quella tavola illustrata a colori
tipo delle collane Mursia dopo 64 faticosissime pagine.
- Quarta chiacchiera: Mi ha colpito una tua dichiarazione. “A scuola ero una capra
in Italiano col 4 fisso”. Non è usuale (per fortuna) sentire esternazioni di questo tipo
venir fuori dalla bocca di uno scrittore. Ti offro la possibilità di spiegarti prima che
un’orda di aspiranti autori si metta d’accordo per organizzare una protesta, armati
di pomodori e uova marce.
Perché dovrebbero protestare?
Questa era l’ultima chiacchiera: non mi resta che salutarti e ringraziarti per aver
accettato il mio invito. Se vuoi lasciare un messaggio al mondo intero, qui puoi farlo.
Grazie a te e leggete fumetti, sempre. Perché la cosa più bella di leggere i fumetti è rileggerli tante volte.
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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Alessandro Baronciani
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