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Recensioni di libri

Il gioco dell’angelo di Carlos Ruiz Zafon

In una Barcellona antecedente ai tormenti della Guerra Civile, David Martin è cresciuto con un sogno: diventare uno scrittore... Con uno stile scintillante e grande sapienza narrativa, l’autore di "L’ombra del vento" torna a guidarci tra i misteri del Cimitero dei Libri Dimenticati, regalandoci una storia in cui l’inesausta passione per i libri, la potenza dell’amore e la forza dell’amicizia si intrecciano ancora una volta in un connubio irresistibile.

Matteo Grimaldi, scrittore
Matteo Grimaldi, scrittore Pubblicato il 21-01-2009

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Il gioco dell'angelo

Il gioco dell’angelo

  • Autore: Carlos Ruiz Zafon

Dopo aver sfornato un capolavoro come "L’ombra del vento", caso editoriale in tutto il mondo, verrebbe quasi voglia di ritirarsi e lasciare ai posteri il ricordo di sé attraverso le pagine di quell’opera meravigliosa. Carlos Ruiz Zafón, invece, ci riprova con "Il Gioco dell’angelo", accantonando la paura di deludere.

A fare da sfondo è ancora la Barcellona degli anni Venti, con le sue atmosfere misteriose, col fumo che si mischia alla nebbia dell’inverno umido e delle poche persone per le strade, che David Martin percorre tormentato dall’insicurezza, ma sorretto dal pulsare di un cuore nobile e forte, il cuore di chi ha un sogno grande. David vuol diventare uno scrittore. I suoi inizi, però, non sono all’altezza delle aspettative e il solo posto di lavoro che riuscirà a trovare sarà presso un piccolo giornale, La voce dell’industria, come contabile. Qui, per una strana combinazione, avrà occasione di pubblicare un racconto, il primo di quella che diventerà la fortunata serie dei Misteri di Barcellona. Arriva il successo e con esso lo strano interessamento da parte di un potente e ambiguo editore francese, Andreas Corelli, che stravolgerà la vita di David con una proposta incredibile. Gli commissionerà un’opera sublime e blasfema, pagata a peso d’oro, la cui creazione scatenerà forze dannate e reazioni fuori da ogni possibile controllo. La vita di David è in pericolo, e non soltanto la sua, anche quella dell’amata Cristina e della bizzarra e dolcissima assistente/apprendista Isabella, che sposerà il figlio del Signor Sempere, padrone della vecchia libreria che ritroviamo con malinconia. David impara a conoscere Il cimitero dei libri dimenticati come era accaduto anche a Daniel Sempere ne "L’ombra del vento", ricordate? Beh, parrebbe proprio che quel piccolo Daniel sia proprio il figlio di Isabella e Sempere figlio...

"Il gioco dell’angelo" è un libro ben congegnato, un meccanismo perfetto, curato, perso tra la leggerezza dell’essere e la profonda oscurità del male. In fondo, è proprio tra queste coordinate che lo scrittore ha trovato la chiave di volta della sua narrativa. Zafon non si vergogna d’ispirarsi così spudoratamente ad alcuni classici della letteratura mondiale, anzi ne gode moltissimo. Così, cita Dickens, Poe, Kafka, Borges, Goethe, i grandi russi, il romanzo ottocentesco in genere. Rielabora i suoi miti, li stravolge, li plasma concedendo loro e a lui stesso una nuova opportunità. Un’opera immensa, che sembra voler dare seguito alle avventure dei suoi personaggi nel terzo romanzo previsto per l’anno prossimo. E se a me le saghe generalmente al secondo episodio stancano, questa volta non vedo l’ora di leggerne il seguito, perché Zafon riesce in maniera sublime a rinnovare il miracolo della narrazione, a stupirmi ogni volta, pur giocando a carte scoperte, e io mi lascio dolcemente trasportare lontano.

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Articolo originale pubblicato su Sololibri.net qui: Il gioco dell’angelo

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Commenti: 2

  • Anonimo
    10 novembre 2009, 20:06

    Bellissima recensione, invoglia a leggere entrambi i libri :) Mary

  • Sergio Magaldi
    27 febbraio 2010, 09:43

    Leggendo Il gioco dell’angelo (EL JUEGO DEL ÁNGEL, 2008) ho avuto l’impressione, almeno per circa una buona metà delle oltre 600 pagine, che l’abilità narrativa di Carlos Ruiz Zafón fosse venuta maturando rispetto al romanzo di sette anni prima, L’ombra del vento (LA SOMBRA DEL VIENTO) che pure gli era valso un ampio consenso di critica e di pubblico, con la vendita di più di 8 milioni di copie.

    Mi è sembrato che il “guazzabuglio” di successo, come ho definito il romanzo del 2001, avesse lasciato il posto ad un lavoro più maturo e raffinato, senza la velleità di ricreare l’atmosfera dei grandi classici della letteratura e mescolare tra loro alla rinfusa una pluralità di generi letterari.

    La ricostruzione della Barcellona anni ’20 funziona abbastanza, come pure appare convincente il dialogo interiore del giovane scrittore David Martin, lacerato e diviso da una duplice esigenza: quella della propria sopravvivenza che lo induce a scrivere sotto pseudonimo libelli per la serie intitolata “La città dei maledetti” di un piccolo editore senza scrupoli, e l’altra, cui aspira con tutte le sue forze, di scrivere finalmente un libro degno di questo nome. Probabile effetto di questa personale scissione della mente e dell’anima è la malattia mortale che lo colpisce e che lo porterebbe alla tomba senza l’intervento dell’ “angelo”, alias l’editore Andreas Corelli che, in cambio di una grossa somma di denaro e della guarigione, gli propone di scrivere un libro in grado di proporsi come il testo sacro di una nuova religione.

    Di quale religione si tratti, Zafón non dice, non tanto per permettere al lettore di liberare la propria fantasia, quanto perché questa cosiddetta nuova religione in realtà c’è già nota sin dai tempi biblici. E cosa se ne fa il diavolo di un testo sacro, visto che le pagine sulle quali egli scrive più volentieri sono quelle del mondo? Una volta almeno stipulava contratti di eterna giovinezza e successo in cambio dell’anima, mentre ora pare si accontenti di un libro…

    L’eterno “patto col diavolo” (com’è si sa il diavolo è un angelo decaduto) è comunque trattato abilmente da Zafón in una prospettiva seducente e singolare. Ciò che alimenta un clima di suspense e induce a proseguire nella lettura del romanzo. Come pure, la descrizione della spettrale “casa della torre”, in cui Martin finisce col ritirarsi, è gestita con abilità narrativa ancorché né nuova né originale per questo genere letterario.

    Poi, ad un certo punto, ecco riapparire “il guazzabuglio” nel quale Zafón s’era già mosso in L’ombra del vento, con figure improbabili e stereotipi che fanno “molto rumore per nulla”. Insomma, ancora una volta si ha l’impressione che i personaggi dello scrittore catalano non sappiano vivere di vita propria ma abbiano bisogno del filo doppio del burattinaio per muoversi in un labirinto di situazioni e di intrighi. Tutti, per la verità, con l’eccezione di David Martin e di Isabella, la ragazza che gli fa da assistente, la cui figura è tratteggiata con sufficiente perizia da farla apparire di carne e sangue e non semplice marionetta. Sposata ad un amico di Martin, Isabella concepirà un figlio di nome Daniel Sempere, lo stesso nome, cioè, del protagonista di L’ombra del vento. Bizzarrìa gratuita, introdotta probabilmente per incrementare il “passa parola” sul nuovo romanzo, giacché non esiste alcun motivo plausibile per la duplice attribuzione dello stesso nome. Esiste invece più di un collegamento nell’intreccio narrativo dei due romanzi, entrambi dalla trama esile e pretestuosa, entrambi zavorrati di improbabili quanto noiose avventure.

    (Dal BLOG: http://zibaldone-sergio.blogspot.com )

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