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Disorientale Formato Kindle
BESTSELLER INTERNAZIONALE
Finalista al National Book Award
In esilio a Parigi dall’età di dieci anni, Kimiâ, nata a Teheran, ha sempre cercato di tenere a distanza il suo paese, la sua cultura, la sua famiglia. Ma i jinn, i genii usciti dalla lampada (in questo caso il passato), la riacciuffano per far sfilare una strabiliante serie d’immagini di tre generazioni della sua storia familiare: le tribolazioni degli antenati, un decennio di rivoluzione politica, il passaggio burrascoso dell’adolescenza, la frenesia del rock, il sorriso malandrino di una bassista bionda…
Un affresco fiammeggiante sulla memoria e l’identità; un grande romanzo sull’Iran di ieri e sull’Europa di oggi.
«Emozionante, divertente, intenso e drammatico».
(Elle)
«Una voce che incanta e al tempo stesso ci stringe dolorosamente».
(Le Monde)
«Un’epopea romanzesca».
(Le Figaro littéraire)
«Una storia romanzesca all’ennesima potenza, piena di digressioni squisitamente orientali».
(Télérama)
Premio 2016 per il miglior esordio letterario della rivista Lire.
Premio 2016 dello Stile.
Premio delle Librerie Folies d’Encre & L’Autre Monde.
- LinguaItaliano
- EditoreEdizioni e/o
- Data di pubblicazione21 settembre 2017
- Dimensioni file4208 KB
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Dettagli prodotto
- ASIN : B073ZDPTCZ
- Editore : Edizioni e/o (21 settembre 2017)
- Lingua : Italiano
- Dimensioni file : 4208 KB
- Da testo a voce : Abilitato
- Screen Reader : Supportato
- Miglioramenti tipografici : Abilitato
- Word Wise : Non abilitato
- Memo : Su Kindle Scribe
- Lunghezza stampa : 331 pagine
- Posizione nella classifica Bestseller di Amazon: n. 86,821 in Kindle Store (Visualizza i Top 100 nella categoria Kindle Store)
- n. 1,298 in Narrativa su saghe familiari
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Il titolo – che suona allo stesso modo in italiano e in francese – si profila come un vettore di senso molto forte: si tratta, infatti, di un neologismo, che, premettendo a orientale il prefisso dis -, conduce nel cuore di una privazione, di una disappartenenza. Una disappartenenza, in questo caso, subita, ma in un qualche modo anche cercata e voluta, perché ancor più doloroso sarebbe per la protagonista il sentimento di appartenenza a un mondo che non c'è più e che ha smesso di esserci ben prima di lasciarlo.
A Kimiâ, protagonista e voce narrante, Djavadi presta molto di sé: in particolare due genitori simili ai suoi per ruolo sociale e scelte politiche, e l'esperienza, ancora bambina, della forzata e pericolosa fuga dall'Iran attraverso la Turchia, prima di salire, a Istanbul, su un aereo dell'Aire France diretto a Parigi. Ma di questo si parla a romanzo già inoltrato. La prima parte, infatti, è tutto un divagare fra memorie lontane legate alla sua infanzia e alle storie di famiglia, che era solito narrare soprattutto il cosiddetto zio numero due: i fratelli del padre, infatti, erano tanti che venivano designati con un numero in base all'anno di nascita.
Immagini e memorie cominciano a fluire nella mente della donna durante una lunga attesa nella sala d'aspetto di un reparto ospedaliero dove, dopo un lungo percorso, sta per esserle praticata un'inseminazione artificiale. È, dunque, quella che prende parola una trentenne che ha fatto una scelta di vita fondamentale e che è riuscita, dopo anni irti di difficoltà, a pacificarsi con se stessa e a non lasciarsi imbrigliare da un passato doloroso. Molti, infatti, sono i pesi che hanno gravato e che gravano su Kimiâ: la fine precoce di un'infanzia felice, ritmata dalle estati passate in Manzandaran con una composita famiglia allargata che conta tante cugine e tanti cugini, tante zie e tanti zii; lo strappo dalla perspicace nonna materna, rimasta sola a Teheran con un altro figlio che sta marcendo in prigione in quanto comunista; un paese d'origine amato e odiato, la cui deriva ne ha fatto un'esule sradicata. Così, toccato il suolo della Francia, che non si è proprio profilata come la dolce Francia che le è stata dipinta dai genitori, Kimiâ sente il bisogno di azzerare quello che fin lì è stata prendendo progressivamente le distanze dalla famiglia, anche perché, come dice a un certo punto, lo sradicamento ci aveva reso non solo stranieri per gli altri, ma estranei gli uni agli altri. Il padre, sempre più chiuso nel silenzio, pare svuotato da ore e ore di camminate quotidiane; la madre si ripiega progressivamente nel ruolo di vestale delle memorie familiari; le due sorelle maggiori si dedicano, con ferrea disciplina, agli studi per assicurarsi un avvenire nel paese dell'esilio; lei mette in atto una sorta di annullamento del suo passato e dell'identità in cui fin lì si è riconosciuta, determinata a recidere le sue radici. Cambia il suo aspetto esteriore - taglio corto e in parte rasato dei capelli, jeans e giubbotti trasandati e laceri -, si butta nella musica rock fino allo stordimento, cerca nei paradisi artificiali della droga la cancellazione dell'angoscia. Appena un po' cresciuta, lascia la famiglia vagando fra varie capitali europee; riesce a non perdersi e a trovare il filo per la costruzione di una rinnovata identità grazie ad incontri importanti e all'amore per la musica di cui fa la sua professione. Con la famiglia si riconcilia, ritrovandovi un luogo capace di accogliere e di far vivere le differenze. Ma il tormentato percorso di Kimiâ subisce un altro terribile colpo, quello che per gran parte della narrazione lei chiama il fatto, perché quell'esperienza atroce è contemporaneamente onnipresente e innominabile. Suo padre viene, infatti, brutalmente assassinato da sicari del regime iraniano che l'hanno raggiunto a Parigi e che rimangono impuniti nonostante non manchino rilevanti indizi.
Donne spezzate quelle che restano, eppure Kimiâ e le sue sorelle, ciascuna a modo suo, riescono a rimanere ancorate alla vita, le due maggiori grazie ai figli che hanno già avuto e di cui si sentono responsabili, Kimiâ grazie a un amore non scontato che accende in lei il desiderio di un figlio nonostante le difficoltà. E tutte e tre amorosamente sanno stare accanto alla madre, che, dopo aver sepolto il marito e aver pronunciato un'appassionata orazione funebre, regredisce nel mondo di prima, quello di sposa devota e innamorata che attende il ritorno del suo Darius, sempre in ritardo con tutti quei suoi impegni politici da lei condivisi con consapevolezza e determinazione.
L'architettura del romanzo, come un vecchio disco di vinile, prevede un lato A e un lato B.
Il lato A, quello che si dipana nella sala d'aspetto dell'ospedale, procede in modo non lineare: durante l'attesa sono soprattutto immagini dell'Iran a fare irruzione, storie di una genealogia familiare che ha conosciuto vorticosi mutamenti, scelte di vita differenziate, in cui è ben viva l'immagine della nonna paterna, mai conosciuta, nata in un harem dominato da un'ampia serie di mogli rancorose in perenne conflitto, prediletta dal padre perché da lui aveva ereditato occhi dello stesso azzurro del mar Caspio. E soprattutto ora c'è spazio in Kimiâ anche per lasciare fluire quella nostalgia che si è tenacemente negata, temendo di essere tirata all'indietro, di avere il corpo trascinato sulla ghiaia di una storia da cui cercava di scappare. In quel tempo vuoto per lei e per chi le sta accanto, non respinge il pensiero che in Iran quello spazio si sarebbe già trasformato in un caravanserraglio. Conversazioni e confidenze fioccherebbero in tutte le direzioni. Ognuno sarebbe al corrente delle vite dei vicini. Si troverebbero conoscenze in comune, magari legami di parentela, si scambierebbero indirizzi e numeri di cellulare. Alcuni uomini... andrebbero al ristorante più vicino a prendere da mangiare per tutti e poco dopo, sudati e fieri, tornerebbero con pentole piene di riso fumante, spiedini di carne, piatti di carta e posate di plastica. Prendendo in mano subito la situazione le donne si organizzerebbero per riempire i piatti e tutti si metterebbero a mangiare rumorosamente...
Il lato A, dunque, è alimentato dalla felicità narrativa con cui viene restituito il flusso dei ricordi fatto di esperienze vissute, di storie familiari che a Kimiâ sono state raccontate, di atmosfere magiche della cultura persiana ancora impastata di antichi fondi zoroastriani. Felicità narrativa non sempre viva, invece, nel lato B, in cui il racconto si snoda cronologicamente a partire dalla fuga turbinosa dall'Iran. Non mancano neppure qui episodi coinvolgenti e immagini folgoranti capaci di condensare la condizione dell'esule e di allargare e approfondire il suo stato sottraendolo a triti stereotipi; tuttavia si avverte anche la presenza di un intento didascalico, teso a far comprendere al lettore europeo il dramma iraniano e i tanti punti oscuri che hanno accompagnato il passaggio dal regime del trono del pavone a quello degli ayatollah. E soprattutto Djavadi, per bocca di Kimiâ, pone la domanda su che cosa abbia determinato il passaggio da un regime autoritario laico a un regime autoritario religioso quando la ribellione e la protesta erano alimentate da intellettuali e studenti democratici. Si tratta di temi la cui rilevanza è innegabile e che riguardano ogni lettore, tanto più che la forma romanzo è estremamente disponibile a raccontarci il mondo che abitiamo e a farci incontrare l'altro, ma qui si sente venir meno quel ritmo narrativo avvolgente che ci ha accompagnato nel lato A. Il problema, dunque, non è quello dei contenuti e dei temi, ma quello della forma che appare un po' soggiogata da un atto di volontà, dall'urgenza di offrire testimonianza di un vissuto e di una storia che incidono negativamente sull'andamento discorsivo.
Pur con questi limiti, Disorientale è un romanzo raccomandabile senza esitazione alcuna: una storia avvincente che permette al lettore di allargare il campo del suo sguardo sugli esuli in fuga da realtà invivibili che popolano le nostre città, a cui è negato anche il nome di esule, sostituito da fredde e classificatorie perifrasi burocratiche, schermo del dramma umano da cui ciascuno di essi è segnato.