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Ma gli androidi sognano pecore elettriche? Copertina flessibile – 20 febbraio 2020
Opzioni di acquisto e componenti aggiuntivi
- Età di letturaDa 3 anni in su
- LinguaItaliano
- Dimensioni12 x 1 x 24 cm
- EditoreFanucci
- Data di pubblicazione20 febbraio 2020
- ISBN-108834738888
- ISBN-13978-8834738887
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Dettagli prodotto
- Editore : Fanucci (20 febbraio 2020)
- Lingua : Italiano
- ISBN-10 : 8834738888
- ISBN-13 : 978-8834738887
- Peso articolo : 650 g
- Dimensioni : 12 x 1 x 24 cm
- Posizione nella classifica Bestseller di Amazon: n. 63,611 in Libri (Visualizza i Top 100 nella categoria Libri)
- n. 1,053 in Fantascienza (Libri)
- n. 20,054 in Narrativa di genere (Libri)
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Ma gli androidi sognano pecore elettriche? Incredibilmente mi mancava, non so, amo talmente Dick da aver cercato di allontanare il più a lungo possibile la lettura di questo libro. Volevo conservarlo… poi non ce l’ho fatta più. Ed eccoci qui.
Inutile ripetere, come gli altri milioni di recensioni esistenti, che questo è il capolavoro di Philip K. Dick, una colonna portante della letteratura di fantascienza, ma non solo, però facciamolo, dai... È il capolavoro di Dick ed è la colonna portante della letteratura di fantascienza, proprio per questo recensirlo penso sia un’impresa quasi disperata. Ma proviamoci.
Il mondo in cui vive Deckard, è altamente tossico, coperto costantemente da un velo di polvere radioattiva che ha danneggiato non solo il pianeta, rendendo le città in un certo senso instabili, ormai solo rovine di città, ma gli stessi esseri umani. Esistono infatti, tra i comuni uomini, i cosiddetti “cervelli di gallina”, quelli che sono rimasti debilitati da questa polvere. Moltissimi altri hanno malattie della pelle incurabili e altro ancora. È quindi un mondo diventato ostile, anche se vivibile.
Gli androidi si mescolano alla perfezione, silenziosamente. I Nexus 6 sanno esattamente come interpretare un uomo, spesso dimenticano persino di essere degli androidi, per questo riconoscerli sembra impossibile. Ma Deckard possiede un test, ed è impugnando questo unico strumento che tenterà di svelare i finti esseri umani. Staccar loro le maschere, senza farsi uccidere, sarà però molto più complicato di quanto si immagini. Questa caccia lo porterà a mettere in dubbio la sua stessa esistenza, e i valori che ha sempre condiviso, mentre una specie di Predicatore, chiamato Wilbur Mercer, molto somigliante a Cristo, assorbe e “intrattiene” le menti delle persone che si collegano con lui attraverso la scatola empatica, in una esperienza collettiva difficile da spiegare. Questi uomini cancellano la solitudine attraverso di essa. Possono collegarsi agli altri attraverso uno strumento che tengono in casa, possono soffrire e sorridere insieme a completi sconosciuti e questo sembra rendere la loro vita più piena e più giusta. La scatola empatica è l’unico valore che resta all’umanità, l’unica cosa a cui gli uomini restano attaccati, di cui sono schiavi. Ma non è tutto, possono anche modulare l’umore, affondare in stati d’animo depressi, tanto per autocompatirsi un po’, e uscirne quando desiderano. Questo modificare le proprie emozioni però li rende simili a delle macchine. Sembra quasi che non siano gli androidi a somigliare agli uomini, ma gli uomini agli androidi. È questo ciò che si insinua silenziosamente sotto pelle.
Difficile spiegare ed entrare nel merito del sottile meccanismo su cui Dick gioca con la solita abilità. Ciò che mi viene da dire subito di Ma gli androidi sognano pecore elettriche? È che è un libro sottile, sottile e molto ispirato, completo. Credo che tutto ciò che Dick ha sempre inseguito sia qui dentro.
In un’ambientazione del tutto catastrofica, con macerie di città che continuano a riempirsi di palta (rifiuti), e uomini che sanno di andare incontro alla morte se non emigrano su Marte quanto prima, Deckard è sfiduciato; con una moglie sempre depressa e alla ricerca di un contatto col Predicatore e il resto del genere umani, e un lavoro che lo sfinisce e che gli dà poco da vivere. Deckard sembra avere un solo obiettivo, riuscire a comprare un animale che non sia elettrico. Un’ossessione, per provare di essere ancora vivo. Ma gli animali sono così costosi… e l’unica cosa che ha potuto permettersi è la pecora elettrica del titolo. Un inutile ed ennesimo ammasso di cavi che finge solo di essere viva, come gli androidi. Gli animali elettrici nutrono la facciata ipocrita di questa società decadente: vengono acquistate per far vedere agli altri di avere un vero animale, di essere empatici, quindi umani. L’animale diviene uno status symbol irrinunciabile.
Potrei parlare per ore di ciò che questa parte del libro mi ha suscitato… ma sono sicura che rovinerei la lettura a chi volesse avventurarsi, quindi chiudo la bocca.
Gli androidi, come dicevo, vivono come esseri umani e aspirano a essere tali. Essere considerati esseri umani, o almeno individui, è il loro unico desiderio. E Deckard rappresenta l’unica barriera fra l’uomo e loro, la loro semplice copia. Riuscirebbero nel loro intento se non fossero privi di empatia. I Nexus 6 ci arrivano molto vicini, talmente tanto vicino che possono vivere solo 4 anni, per evitare che i confini tra uomo e macchina si confondano.
Deckard non ha mai sbagliato, ma entrando sempre più in contatto con questi Nexus 6 inizia a spalancare gli occhi su una realtà che è quantomeno confusa. E i confini purtroppo si confondono. Non appena inizierà a provare pietà vedrà il suo mondo crollare in pezzi, senza nessuna possibilità di tornare indietro. E attraverso i suoi occhi l’umanità verrà messa in discussione.
Gli androidi sono troppo umani, e gli umani troppo androidi. E solo il cervello di gallina Isidore tenta di fare delle domande, solo lui sembra provare sentimenti, sembra soffrire di una solitudine incancellabile, è lui l’ultimo pezzo di umanità che ormai si sta perdendo del tutto.
Non voglio gettarmi in interpretazioni filosofiche, ma dire solo ciò che è rimasto a me a fine lettura. Perché Dick va semplicemente vissuto, rielaborato nella mente, e per quanto lo si faccia, non sembra mai abbastanza. Ecco la sua grandezza.
Che amiate la fantascienza o che non l’amiate... leggete questo libro.
Recensione pubblicata originariamente su: [...]
Abbiamo un mondo devastato da una guerra nucleare, dove i meritevoli a livello fisico e mentale sono stati fatti quasi tutti emigrare fuori dalla Terra, mentre chi ha subito modifiche per le radiazione e pochi altri sono rimasti sul pianeta.
Abbiamo un mondo dove vengono prodotti androidi, androidi sempre migliori. Dove migliori significa più simili agli umani, al punto da essere indistinguibili dai loro creatori.
I cacciatori di taglie cercano nuovi sistemi per scovare gli androidi fuggiaschi, identificarli ed eliminarli. I produttori li osservano, prendono appunti e cercano di migliorare questi "difetti" che li rendono identificabili.
Un mondo dove l'anima della popolazione è divisa tra la religione empatica del Mercerianesimo e la televisione perpetua governativa di Buster Friendly.
Un mondo dove l'unica differenza tra umani e androidi, a parte la durata del corpo, sembra essere data dalla presunta empatia umana.
Ma se gli umani ricorrono a macchinari per gestire le loro emozioni, se hanno bisogno di Mercer e di accudire animali per dimostrare a sé stessi e agli altri di provare empatia, e se gli androidi provano desiderio di vendetta, esiste davvero questa distinzione?
Mercer è un uomo, un Dio, un archetipo o una finzione?
Dick non ci dà risposte, pone interrogativi a noi e a Rick, demolendo e ricostruendo il suo modo di pensare e la sua visione del mondo.
<i>«Nessuno può battere la palta» disse «(…) È un principio universale valido in tutto l’universo; l’intero universo è diretto verso uno stato finale di paltizzazione totale e assoluta.»</i>
Gli animali sono quasi tutti estinti, ma nuove imprese tecnologiche ne riproducono copie artificiali perfette: clonano gatti, pecore, cavalli, tutto ciò che agli umani rimasti può dare parvenza di una fauna ormai scomparsa e può colmare le nostalgie di un passato disintegrato. I rimasti vivono concentrati in grandi città cadenti, in palazzi bui e vuoti, il silenzio supera i rumori; sognano di possedere animali viventi, ma si accontentano di quelli elettrici; prima della pecora Dolly la pecora elettrica di Rick Deckard. Sognano di provare emozioni vere, ma si accontentano di modulatori d’umore Penfield, di stimolazioni artificiali comandate: se hanno bisogno di coraggio, digitano un codice, et voilà. Sognano di vivere in comunità, ma l’unica comunità reale è una comunità digitale, un’estensione mediale: la scatola empatica nera che fonde tutte le menti in un'unica entità gestita dal mistico maestro Wilbur Mercer. I rimasti sono uomini normali e uomini “speciali”; gli speciali hanno inalato così tanta polvere radioattiva che le loro facoltà cognitive sono seriamente compromesse e cui non è permesso di procreare.
<i>Lo slogan che a quel tempo i manifesti, gli annunci TV, e i dépliant postali del governo sbandieravano recitava: «Emigrate o degenerate! A voi la scelta!»</i>
Anche l’uomo è stato duplicato, per sopperire alla mancanza di manodopera nelle colonie extraterrestri, da droidi organici sempre più reali e nella loro ultima versione Nexus-6, con impiantate identità sintetiche emozionali. Ma un gruppo di androidi ridotti in schiavitù hanno deciso di fuggire sulla Terra e qui si agirano illegalmente confondendosi con i loro simili umani. Rick Deckard ha l’infausto compito di stanarli e ritirarli affidandosi a speciali test dell’empatia e a torce laser fatali, volando in macchina da un palazzo all’altro in una sporca San Francisco.
Rick è roso dai dubbi, dalla sua esperienza, si chiede in continuazione quanto di umano c’è in un androide, se essi possano sognare, quanto essi possano davvero amare, cosa provino nel fare l’amore, nel cantare, nell’uccidere un animale, se riescano a gestire l’emozioni, quanto sia giusto ritirarli, assassinarli; per lui il suo lavoro è diventato impossibile.
<i>«Dovunque andrai, ti si richiederà di fare qualcosa di sbagliato. È la condizione fondamentale della vita essere costretti a far violenza alla propria personalità. Prima o poi, tutte le creature viventi devono farlo. È l’ombra estrema, il difetto della creazione; è la maledizione che si compie, la maledizione che si nutre della vita. In tutto l’universo.»</i>
Ma gli androidi sognano pecore elettriche? è un lungo racconto esistenziale, di solitudine e angoscia, di ricerca filosofica su quanto la tecnologia possa spingersi al di là dei confini morali, la tecnologia che si evolve sempre troppo rapidamente, e l’umanità che al contrario pare regredire. È una distopia possibile e per questo visionaria; una riflessione sull’appiattimento dei sentimenti, sull’isolamento forzato, sull’affezione per il digitale. È quasi un inno al vuoto, all’impotenza di vivere, alla finzione del reale.
<i>Si chiese, allora, se anche le altre persone rimaste sulla Terra percepissero il vuoto allo stesso modo. O la sua era una sensibilità particolare, propria della sua identità biologica deviata, una bizzarria generata dal suo inadeguato sistema sensoriale? (…) lì in piedi in quel salotto sfatto, solo con l’onnipervasiva assenza di respiro del possente silenzio del mondo.</i>
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Peccato che in questa edizione ci siano parecchi refusi, oltre ai fastidiosi cambi di font 'a caso' (cosa riscontrata anche in 'un oscuro scrutare' sempre di Dick).
