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Una storia di amore e di tenebra Copertina flessibile – 27 maggio 2015
Opzioni di acquisto e componenti aggiuntivi
- Età di letturaDa 3 anni in su
- Lunghezza stampa640 pagine
- LinguaItaliano
- Dimensioni13 x 4.06 x 19.99 cm
- Data di pubblicazione27 maggio 2015
- ISBN-108807886804
- ISBN-13978-8807886805
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Dettagli prodotto
- Editore : Feltrinelli; 10° edizione (27 maggio 2015)
- Lingua : Italiano
- Copertina flessibile : 640 pagine
- ISBN-10 : 8807886804
- ISBN-13 : 978-8807886805
- Peso articolo : 280 g
- Dimensioni : 13 x 4.06 x 19.99 cm
- Posizione nella classifica Bestseller di Amazon: n. 18,839 in Libri (Visualizza i Top 100 nella categoria Libri)
- n. 433 in Biglietti di auguri
- Recensioni dei clienti:
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Ed ecco che ci prende per mano e ci accompagna nel mondo della sua infanzia offrendoci in dono alcune immagini indimenticabili: gli ebrei di Gerusalemme che camminano lenti, con cautela per evitare che il piede si poggi su qualche asperità, spina o animaletto aggressivo e- allo stesso tempo -perché non lasci troppo in fretta quella terra che tanto è costato al suo popolo conquistare.
Visione fantastica che ci porta subito ad un quadro di Chagall ed anche alle pagine del Vecchio Testamento. Più avanti, ecco la frase che ognuno di noi lettori voraci ha sempre cercato: "Quando ero piccolo, da grande volevo diventare un libro. Non uno scrittore, un libro." Meraviglioso.
E mentre ci incanta, ci ammonisce a non cercare nei libri il loro autore, ma noi stessi, le nostre debolezze, i veri e propri obbrobri che non possiamo confessare a nessuno se non alla pagina che ce li presenta come il conto alla fine della cena. Sicuri di non aver mai desiderato ammazzare una vecchia strega, come il miserrimo Raskolnikov in Delitto e Castigo?
Poi c'è la saga della sua famiglia, inevitabilmente legata alla Storia ed alla nascita dello Stato di Israele e qui accade il miracolo: la sua prosa asciutta, di una nostalgia contenuta, è commuovente come e più di un racconto smaccatamente sentimentale; parla di nonni e prozii tenendosi alla giusta distanza per poterli raccontare dall'esterno, come se osservasse una cartolina sbiadita, una foto color ocra che fa tenerezza in quanto tale, indipendentemente da ciò che mostra.
Il nodo, terribile, del racconto arriva col suicidio della madre: qui Oz non può più tirarsi indietro e la descrizione dei suoi turbamenti di dodicenne di fronte alla morte della mamma è qualcosa di quasi intollerabile.
Presto, però, l'autore si raddrizza, lo vediamo dare un colpetto di tosse e passare oltre. Ora ci racconta con estrema ironia come si era trasformato (per colpa degli adulti che lo circondavano) in un seienne spocchioso, convinto di essere un genio perché tutti intono a lui glielo confermavano. E dal pianto si passa al riso. Grande!
Questo è un libro che SI DEVE leggere. Perché è ben scritto, perché contiene in sè le mille sfumature della vita, perché ci insegna a camminare saldi lungo il sentiero dell'esistenza che ci scuote e vorrebbe trascinarci a terra, magari sotto tera. Oz spiega cos'è per lui la dignità, il coraggio e la speranza. Che stanno strettamente allacciati al dolore ed al riso: SE NON TI RESTANO PIU' LACRIME PER PIANGERE, NON PIANGERE. RIDI.
E però stavolta mi ha suscitato più riserve di prima, nell’architettura del racconto, l’impressione di un che di disarmonico, come di parti originariamente concepite ognuna per conto suo e poi incollate tra loro senza troppa attenzione a ripetizioni e ridondanze, con una notevole inadeguatezza di un serio lavoro di editing. Inoltre mi hanno spazientito le parti del libro (nel corso degli anni tradotto in 28 lingue, compresi il cinese e, in un’edizione pirata, il curdo!) specificamente rivolte a un pubblico di lettori israeliani, con le tante divagazioni su aspetti lessicali e sfumature ortografiche della lingua ebraica, e con le lunghe e fastidiose liste di personaggi della vita culturale del paese, in genere completamente sconosciuti all’esterno. (Ma è stato con piacere, e con commozione, che tra di essi ho visto citato il grande e indimenticabile Uri Avnery.) Chiave questa in cui vanno viste anche le pagine e pagine coi minuziosi elenchi di nomi di villaggi, presumo minuscoli, coinvolti nella guerra del ’48. Aggiungo poi a tale, come chiamarlo?, cahier de doléances della seconda lettura, che Oz purtroppo soccombe continuamente al non elegantissimo gusto promozionale delle autocitazioni letterarie: contando, per dire, solo le menzioni del suo primo, e famoso, romanzo “Michael mio” si arriva alla bella cifra di 12.
Ma ciò che nella mia rilettura ho trovato, anche più di prima, fastidioso e irritante è il testo della versione italiana, che ho anche voluto confrontare con la celebre e molto lodata versione inglese di Nicholas de Lange (che abbrevierò in NdL) del 2003: A Tale of Love and Darkness.
Non discuto la fedeltà all’originale ebraico, per me assolutamente inabbordabile. Tante smagliature sintattiche, con gran fiorire di anacoluti, verbi di cui non si rintraccia il soggetto, etc. le posso pure attribuire ad un desiderio di rendere un qualche tono colloquiale del testo di partenza, e posso passar sopra a brutti neologismi (tanto per dirne uno, il verbo “apprendistare” nel cap.18). Ma mi riesce difficile accettare i molti passaggi decisamente incomprensibili. Ne cito un paio. Nel cap.10 mi ha fatto scervellare la parte di una dedica che recita “s’ha da andare sulla via cui conduce la coscienza e non l’umano gregge – in quell’ora la maggioranza predomina”, finché non ho fatto ricorso al chiarissimo testo di NdL: “one must follow one's conscience and not the human herd - the mass that rule at this time”. E che si potrebbe mai capire della distinzione, nel cap.22, tra “giornali ebraici e giornali in ebraico” (in NdL, naturalmente, “Hebrew and Yiddish newspapers”)?
Ci stanno poi scelte lessicali quanto meno discutibili. Per esempio quella di non usare il termine ebraico goy, che a favore di chi non lo conoscesse si poteva tranquillamente, al primo utilizzo, accompagnare con una nota esplicativa, mentre si è invece preferito scrivere “gentile”, secondo la tradizione ecclesiale. Così che nel cap.16, non potendosi cadere nell’ambiguità di contrapporre ad un “fanciullo ebreo, malinconico” un “fanciullo gentile”, si utilizza l’espressione “fanciullo delle genti”: “delle genti”!!! Poi, riferirsi (ancora nel Cap.16) a bombe in mano ai “savi di Sion” può darsi che sia più fedele all’originale ebraico dell’espressione “Hebrew scientists” in NdL, ma certo sembra consegnarsi un po’ troppo docilmente all’emblematico canone delle più tradizionali farneticazioni antiebraiche.
Ancora: quando si tratta di traslitterare in caratteri latini quella che si presenta ovviamente come traslitterazione in caratteri ebraici di nomi scritti originariamente in caratteri latini, di fronte in prima battuta alla collina “Ajo-Jima” dove i soldati americani issano la bandiera, alla nave dei pellegrini “Myflower”, ai pantaloni “nickerbocker”, non accorgersi che in partenza si trattava di nomi ben noti in occidente come Iwo-Jima, Mayflower, knickerbocker può essere perdonabile solo al livello di bambini che giocano al telefono senza fili, non a una qualunque persona di media cultura.
E così via.