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Niente Paperback – 7 maggio 2014
Opzioni di acquisto e componenti aggiuntivi
- Età di letturaDa 3 anni in su
- Lunghezza stampa128 pagine
- LinguaItaliano
- Dimensioni13 x 0.81 x 19.99 cm
- Data di pubblicazione7 maggio 2014
- ISBN-108807884380
- ISBN-13978-8807884382
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Dettagli prodotto
- Editore : Feltrinelli (7 maggio 2014)
- Lingua : Italiano
- Paperback : 128 pagine
- ISBN-10 : 8807884380
- ISBN-13 : 978-8807884382
- Peso articolo : 150 g
- Dimensioni : 13 x 0.81 x 19.99 cm
- Posizione nella classifica Bestseller di Amazon: n. 55,156 in Libri (Visualizza i Top 100 nella categoria Libri)
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Sembrerebbe, per i personaggi e per la tipologia di narrazione, un libro per ragazzi utile anche agli adulti; ma la mancanza di un lieto fine, di un proposito positivo (che gli avrebbe fatto meritare la mia quinta stelletta), a mio avviso non lo rendono adatto a degli adolescenti. Può far riflettere, però, gli adulti che, per genitorialità o per professione, con gli adolescenti hanno a che fare.
Adolescenti che hanno lasciato il mondo incantato della fanciullezza, che si trovano a misurarsi con il vuoto da questa lasciato, che devono cercare un senso alla loro esistenza, puntando a diventare adulti, ma senza volerlo divenire come gli adulti che loro hanno come esempio, con delle facce che esprimono tedio e rassegnazione. Una forte accusa nei loro confronti, che non riempiono il vuoto dei loro ragazzi, nemmeno se ne occupano, figuriamoci pensare di dare loro un significato per cui vivere.
Perdere la fanciullezza e trovare un nuovo senso è un travaglio; citando il libro, <<Piangevamo perché avevamo perduto qualcosa e trovato qualcos’altro. E perché è doloroso, sia perdere che trovare. E perché sapevamo che cosa avevamo perduto, ma non eravamo ancora capaci di definire a parole quello che avevamo trovato.>>.
Il ragazzo che si ritira a vivere sull’albero, per coraggio secondo l’autrice, più che il barone rampante a me ricorda il grillo parlante della favole di Pinocchio: viene detestato perché mette crudamente davanti alla nuda realtà.
E i ragazzi che, per rancore, vogliono dimostrargli che si sbaglia, immolano sull’altare ciò che per loro rappresenta il proprio importante significato. Ma, dato che la scelta di cosa sacrificare non avviene per via del soggetto, ma degli altri componenti del gruppo, come nel Boero di Ravel si ha un’escalation di richieste sempre più spietate per vendicarsi sugli altri della propria rinuncia, fino a perdere ogni confine di legalità, di morale e di decenza. Una continua perdita di senso, anziché una sua conquista.
Qui mi vengono due riflessioni: la prima che un’azione mossa dalla rabbia porta effetti deleteri, la seconda la potenza del gruppo dei pari nel condizionare i comportamenti dei singoli.
Alla fine tutti i loro sacrifici si dimostreranno vani agli occhi del loro compagno; ma avranno un riscatto dal mondo degli adulti, che renderà tutto ancora più assurdo. Una dimostrazione che il significato di un’azione viene modificato dalla lettura che di questa viene data dalla massa.
La morale che ci leggo è che le cose non hanno un senso intrinseco, ma lo hanno nel momento che noi glielo diamo; ma che senza un significato non si riesce a reggere, a vivere, oppure si può perdere il senno (“io so che con il significato non si scherza”, dice la protagonista narrante sul finale del racconto). Ma anche che, proprio perché il significato è una nostra attribuzione, non vale la pena di arrivare allo scontro con gli altri per le cose che, appunto, sono solo cose. “Il significato era relativo e perciò privo di significato”: questo è quello che comprende Pierre Anthon.
Una narrazione e una sintassi molto ben curate, una storia coinvolgente, l’impaginazione impeccabile e l’assenza di errori di ortografia completano il quadro positivo di questo libro.
Per una vera recensione vi consiglio il seguente link: [...]
Attenzione, però: la recensione affronta con maggior capacità gli aspetti psicologici del libro, però se la leggete vi lascia poco alla fantasia per quanto riguarda la trama, e non so quanto questo possa piacere per chi deve leggere un libro nuovo.
Credo infine che questo racconto si possa prestare come metafora di altre realtà. Ad esempio, gli adulti nel libro potrebbero essere rappresentativi della classe politica, che se agisce senza significato, influenza la popolazione (gli adolescenti) a comportarsi senza etica.
Oppure…
La vicenda è totalmente adolescenziale, siamo in Danimarca se ho capito bene, in un paesino di campagna dove i giovani crescono in modo piuttosto... Diciamo innocente. In un qualche modo il libro mi ha ricordato Il Signore delle Mosche, ma una sua versione all'acqua di rose.
Ebbene, è l'ultimo anno di scuola, prima di passare alle superiori. Pierre Anthon, uno degli studenti - tredici anni - decide di mollare tutto e di andare a trascorrere le sue giornate sui rami di un albero. I suoi genitori, degli hippy, non hanno nulla in contrario perché il ragazzo si è convinto che non valga la pena studiare, perché niente ha significato, e tutto ciò che si fa nella vita, in un modo o nell'altro, finisce in niente, e anche tutto ciò a cui normalmente si da valore, alla fine dei conti non vale nulla, e prima o poi viene dimenticato, o sostituito da altri valori, i quali pure questi finiranno per non valere niente, ed essere sostituiti da quelli che vengono dopo... E la vita stessa non conta niente, perché si nasce per morire, e di conseguenza, perché sbattersi per realizzare qualcosa, che un giorno tornerà a essere niente?
I suoi compagni di classe sono ovviamente sconcertati dal comportamento di Pierre, e decidono di dimostrargli che si sbaglia, sfruttando una vecchia segheria in disuso, e cercando di radunare lì tutto ciò che ha veramente un valore 'assoluto'.
L'iniziativa inizia con ogni buona intenzione, e così vengono raccolte le scarpe preferite di una delle bambine, la bicicletta di uno dei ragazzi, le treccine colorate di un'altra ragazzina... Ma poi l'accumulo diventa un'escalation, e nella raccolta vanno ad accumularsi un tappeto da preghiera, la bandiera danese che sventola da sempre davanti a casa di uno dei ragazzi, il crocefisso della chiesa del padre di uno di loro... E poi addirittura il corpo del fratellino morto, il criceto di una bambina, la testa di un cane randagio a cui tutti erano affezionati, la... verginità di una delle ragazze... il dito medio di un ragazzo bravissimo con la chitarra...
E per fortuna che questa attività viene scoperta, altrimenti chissà dove sarebbero giunti. Ma Pierre rimane sull'albero, e li denigra, e li fa ingastrire ancora di più, e li spinge ancora di più sull'orlo del baratro...
E qui mi fermo perché altrimenti non ci sarebbe più motivo di leggere il libro. Testo che per certi versi è una sfida verso il lettore a ritrovare la propria innocenza di quando era ragazzino, e la brutalità che l'ingenuità può produrre se non è guidata da persone con equilibrio. Qui ci sono dei ragazzini capaci di tutto, privi di una guida adulta, che decidono di fare di testa propria per ricondurre alla ragione uno di loro che ha deciso di uscire dal gruppo. E ovviamente la vicenda va a finire male, davvero male. Peccato però che la narrazione, in prima persona, sia necessariamente piatta - visto che i ragazzi non vedono nulla di male in ciò che stanno facendo - e di conseguenza sia priva del pathos necessario ad amplificarne la gravità.
E' per questo motivo che le mie aspettative sono state tradite. L'intero racconto avviene con un tono per certi versi asettico, come se il narratore non fosse coinvolto nel dramma, bensì fosse un freddo osservatore esterno.
Di sicuro questo libro è un esperimento interessante, ma non graffia, e tiene il lettore a una certa distanza, e non ottiene - a mio personale parere - l'effetto desiderato.
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