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Sulla fotografia. Realtà e immagine nella nostra società Paperback – 24 febbraio 2004
Opzioni di acquisto e componenti aggiuntivi
- Lunghezza stampa179 pagine
- LinguaItaliano
- EditoreEinaudi
- Data di pubblicazione24 febbraio 2004
- Dimensioni11.3 x 1.5 x 19.8 cm
- ISBN-108806169068
- ISBN-13978-8806169060
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Dettagli prodotto
- Editore : Einaudi (24 febbraio 2004)
- Lingua : Italiano
- Paperback : 179 pagine
- ISBN-10 : 8806169068
- ISBN-13 : 978-8806169060
- Peso articolo : 140 g
- Dimensioni : 11.3 x 1.5 x 19.8 cm
- Posizione nella classifica Bestseller di Amazon: n. 18,822 in Libri (Visualizza i Top 100 nella categoria Libri)
- n. 23 in Singoli fotografi
- n. 41 in Collezioni e mostre fotografiche
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Qual è il motivo per cui ci sono recensioni a 4, 3, 2 e anche una sola stella? Semplicemente perché le persone che lo hanno letto, non erano mature al punto di intraprendere un percorso che in qualche modo è anche introspettivo. Posso solo dire che dopo la lettura, anzi... dello STUDIO di "Sulla Fotografia" della Sontag e "La Camera Chiara" di Barthes, qualche volta incollato a Wikipedia e dizionario per capire meglio, ho iniziato ad esporre in mostre fotografiche, perché ho iniziato a fare "lo stacco" dal fotografo di "foto belle" (paesaggi, macro e affini) intraprendendo un tipo di foto di reportage molto più profondo e ricercato.
E tu te la senti di intraprendere questo percorso? Se si, compra, leggi, rileggi, e quindi soprattutto STUDIA prendendo appunti (magari utilizzando le "mappe mentali"). Ci vorranno forse settimane, "a piccole dosi", ma ne uscirai davvero molto evoluto. Provare per credere.
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Nel complesso il libro è colto, didascalico, acuto, illuminante e spesso anche terribilmente noioso. La Sontag cerca di spiegare che cosa spinge la gente a fare fotografie. Spesso la ragione sta nel cercare di appropriarsi di una situazione, di un panorama, di una realtà. Lo scatto fotografico è un atto potenzialmente aggressivo, in quanto normalmente cattura l’immagine di persone o cose senza il consenso preventivo degli interessati. Qui la Sontag osserva in maniera molto interessante come questo non avvenisse nella Cina di quegli anni. Quando la fotografia veniva usata solo nelle occasioni ufficiali e dava una versione idealizzata e sempre coerente con gli obiettivi politici del regime. Purtroppo anche qui il libro fa sentire tutti i suoi anni, visto quanto è cambiata la Cina da allora. Anche se è vero tuttora che lo stato cinese controlla i mezzi di comunicazione e perfino internet in maniera molto ossessiva. Il fotografare nel corso di viaggi o vacanze è una attitudine molto pronunciata nei popoli fortemente laboriosi, come gli americani, i tedeschi e i giapponesi. I quali sentono costantemente l’impulso del dovere e dell’essere produttivi. Quindi riempiono i momenti di ozio con una delle poche attività possibili, e cioè fotografare. Mi vengono in mente quelle scenette in cui la moglie rimproverà al marito di assistere passivamente a qualche spettacolo e lo sollecita a scattare almeno delle foto. La fotografia rende più vera la realtà. Si è veramente stati in certi luoghi o vissuto certi avvenimenti solo se si sono documentati quei momenti con delle foto. In un altro passaggio la Sontag osserva come la fotografia sia uno straordinario strumento a favore dell’egualitarismo. Qualsiasi soggetto risulta ugualmente degno di essere fotografato. Una immagine bella può riferirsi a qualsiasi persona, o luogo o cosa. Si può essere ispirati da una particolare fotografia di uno sconosciuto e restare del tutto indifferenti di fronte alla foto di una persona illustre. Foto del tutto casuali e improvvisate di dilettanti possono risultare molto più significative di fotografie studiate e molto elaborate fatte da professionisti. Il segreto per realizzare un’immagine suggestiva, secondo Moholhy Nagy sta nel rilevare cioè che è nascosto, nel “defamigliarizzare” ciò che è comune e banale. Il soggetto spesso è anzi volutamente insignificante, un mozzicone di sigaretta, le spine di una cactus, un sasso. È questa arte? Interessa ai fotografi fare arte? La Sontag risponde di no. Chiedersi se la fotografia sia o meno una forma di arte è una domanda che non ha veramente senso. La fotografia si è ormai totalmente liberata dal complesso di inferiorità con la pittura. Ed ha liberato la pittura dall’esigenza di illustrare in maniera realistica il mondo. La pittura astratta è sorta non a caso dopo che la fotografia ha compiutamente affermato il proprio primato di rappresentazione fedele della realtà (a mio modo di vedere la fotografia è una forma d’arte. Qualsiasi fotografo cerca di comporre delle belle foto, delle foto in qualche modo artistiche).
Le esposizioni di fotografia si moltiplicano sempre più e i più famosi musei ospitano esposizioni personali o tematiche. Anche se risulta quasi impossibile attribuire una fotografia ad un autore nello stesso modo in cui si può attribuire un quadro ad un pittore. Pochissimi fotografi, come Man Ray o Ansel Adam, hanno prodotto un corpus di opere in cui si può individuare uno specifico stile personale.
Alcuni dei saggi centrali del libro danno evidenza degli sviluppi della fotografia e dei principali autori negli Stati Uniti ed in Europa. Sono parti interessanti del libro su cui non mi soffermo, ma che sono indubbiamente utili per conoscere l’evoluzione della fotografia dall’origine sino agli anni sessanta.
Complessivamente lo trovo un libro che vale assolutamente la pena di leggere. È una lettura impegnativa e dal linguaggio a tratti particolarmente oscuro. Fondamentalmente un testo di estetica, con riferimenti alla filosofia, alla storia dell’arte ed a volte anche alla sociologia. Non tratta in alcun modo di tecnica. Va letto con impegno e attenzione. Non sono poche le parti che risultano pesanti, fumose e quindi inevitabilmente noiose (nota dolente la totale mancanza di fotografie, che sarebbe invece state molto utili). Ma poi all’improvviso l’autrice sorprende con una intuizione, una suggestione che ripagano ampiamente della fatica. È un libro scritto, pensato e “vissuto” nel mondo della fotografia analogica e specialmente del bianco e nero. Si sposa poco con il digitale, di cui manca, per ovvi motivo cronologici, qualsiasi riferimento. Né tanto meno sono menzionati selfie o fotografie con i cellulari. Ci sarebbe certo da essere curiosi su quello che la Sontag potrebbe dire al riguardo! Sia lo stile che il contenuto sono totalmente in sintonia con il ritmo slow tipico dell’analogico e del lavoro in camera oscura. Devo anche a questo libro se mi sono convinto ad investire un po di quattrini in una Pentax 67II. Adesso sono in grado di fare disastri anche nel medio formato. Posso dire che almeno lo faccio con una certa cognizione di causa.
E' stata un'autentica passione leggerlo la prima volta. La seconda era come se mi fossi dimenticato di leggerne una parte, tanto coinvolgenti sono lo stile e il contenuto di cui si compone il testo.
Scritto alla metà degli anni 70, quando ancora la digitalizzazione fotografica era di là da venire, quindi prima ancora che l'invasione delle immagini potesse accadere, la Sontag presagiva quello che da lì a qualche anno sarebbe accaduto.
Un'autentica precorritrice per i suoi tempi come lo furono Pier Paolo Pasolini, Lev Tolstoi e Gustave Flaubert per i loro.
Non può mancare in nessuna libreria di persona che si ritenga interessata al dibattito culturale di questo faticoso inizio secolo. Anche se di professione non fa il fotografo e neppure se lo fa come amatore. A maggior ragione deve essere presente nella libreria di chiunque mastichi un po' di fotografia.
Da leggere e rileggere.